Dopo una lunga campagna referendaria che del caratteristico aplomb inglese ha avuto ben poco, il verdetto è e arrivato: 52 per cento per il Leave, 48 per il Remain.
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Nelle ultime elezioni politiche sondaggi ed exit poll si sono rivelati molto lontani dai risultati effettivi. Cinque fra i più importanti sondaggisti italiani hanno cercato di spiegare perché. Hanno anche accettato di rispondere ad alcune domande de lavoce.info. Un commento alle loro affermazioni.
Certamente i sondaggi elettorali hanno dei limiti, ma merita una riflessione anche il controverso rapporto con i mezzi di informazione. I media e la politica chiedevano una “predizione” che fotografasse molto precisamente l’esito del voto. Con tanto di domande impossibili rivolte ai sondaggisti.
I sondaggi sono uno strumento di marketing molto efficace per le aziende. Più difficili quelli sulle intenzioni di voto. Perché fotografano le opinioni degli elettori in un momento diverso da quello della consultazione. E in un quadro politico che muta rapidamente. Costi e qualità delle ricerche.
Al di là dei problemi che rendono difficile la rilevazione, al sondaggista può capitare di cadere nella trappola dell’opinione dominante. Dubita così dei numeri che ha raccolto e, occhieggiando i risultati dei colleghi, attenua le tendenze che ne emergono. Che poi a urne aperte si rivelano corrette.
I sondaggi non hanno “previsto” il boom del M5S alle ultime elezioni perché era difficile inquadrarlo in uno scenario, proprio per i suoi elementi di peculiarità e novità. Ma probabilmente anche perché gli elettori dell’area di centrosinistra erano riluttanti a dichiarare l’intenzione di votarlo.
Non appaiono così sbagliate le previsioni dei sondaggi nelle ultime elezioni italiane se le si interpeta nella loro accezione corretta, ovvero indicare una tendenza degli elettori. Fin da metà gennaio molti elementi erano chiari, a cominciare dalla forte ascesa dell’M5S. Instant poll e cellulari.