La voglia di protezionismo e isolazionismo non riguarda solo gli Usa di Trump. La si vede in molte democrazie occidentali, dove le conseguenze della globalizzazione e della crisi finanziaria hanno modificato il posizionamento di elettori e partiti.
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Nel tentativo di trovare un equilibrio tra contenimento della spesa farmaceutica e garanzie di ritorni all’industria per la ricerca, si sono sviluppati modelli di pagamento innovativi. Messi ora a rischio dalle decisioni dell’amministrazione Usa.
Gli americani chiudono i cordoni della borsa sugli aiuti internazionali. Valutare l’efficacia dei programmi diventa così ancora più importante. Infatti, anche quando non sembra, subiscono sottili interferenze politiche, che ne minano l’utilità.
Nell’avvicinamento delle big tech all’amministrazione Trump gli interessi economici contano più dell’adesione ideale a tesi libertarie. A dar fastidio sono i tentativi di regolamentazione in patria e soprattutto in Europa, dove le regole sono incisive.
L’Iva è diventata un bersaglio negli Stati Uniti: il presidente la equipara a un dazio, alcuni commentatori la ritengono un incentivo alle esportazioni. Ma come la sales tax Usa, l’imposta europea non fa distinzioni sulla provenienza delle merci.
Il problema della spesa per la difesa in Europa è oggi la frammentazione nei diversi stati. Un semplice aumento delle percentuali non servirebbe a molto. Si dovrebbe invece investire su progetti comuni. Farlo nella Ue a 27 è però praticamente impossibile.
Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, ha annunciato nuovi dazi sulle importazioni, colpendo inizialmente la Cina con una dazio del 10 per cento e minacciando misure simili per Canada, Messico e Unione europea. Messico e Canada sono i principali partner commerciali degli Stati Uniti e dipendono fortemente da questo mercato, con oltre il 70 per cento delle loro esportazioni dirette lì. La Cina, invece, ha ridotto la sua dipendenza dagli Usa a seguito della guerra commerciale iniziata nel primo mandato di Trump. Infine, nel 2023 gli Stati Uniti sono stati il principale mercato di sbocco dell’Unione europea, con la Germania e l’Italia tra i maggiori esportatori. Il commercio tra Italia e Stati Uniti, in particolare, è cresciuto costantemente, con esportazioni italiane pari a 67,3 miliardi di euro e un saldo commerciale positivo di 42,1 miliardi.
I dazi potrebbero avere in generale conseguenze economiche significative, aumentando i prezzi negli Stati Uniti e riducendo il commercio internazionale. Ne parliamo in questa serie di grafici.
Canada, Messico e Cina sono i primi destinatari dei dazi promessi dal presidente Usa. Ma le tariffe non daranno i risultati economici sbandierati. Perché sono soprattutto uno strumento di pressione. La reazione però potrebbe essere diversa da quella voluta.
È probabile che l’amministrazione Trump imponga dazi anche sulle esportazioni europee negli Usa. Nello scenario peggiore la Bce potrebbe trovarsi a fronteggiare contemporaneamente il rallentamento dell’attività economica e il rialzo dell’inflazione.
I mercati finanziari americani, così come quelli delle scommesse, avevano anticipato la vittoria di Trump. Come in altre occasioni, sono rimasti inascoltati. Ma i mercati delle previsioni non sono Cassandre, sono fonti di informazioni sempre più precise.