Ringraziamo il direttore dell’Acri per l’attenzione dedicata al nostro intervento sul tema delle fondazioni bancarie, un po’ meno per il tono della sua risposta.

COSA DICE LA LEGGE

Nel nostro intervento chiedevamo alle fondazioni semplicemente di rispettare la legge, non solo nella forma, cosa che sicuramente fanno, ma nella sostanza. La legge chiede espressamente alle fondazioni di attenersi al principio della conservazione del loro patrimonio che deve essere amministrato osservando “criteri prudenziali di rischio, in modo da conservare il valore ed ottenere una redditività adeguata” (articolo 5 decreto legislativo 153/1999). Inoltre la legge richiama il principio della diversificazione degli impieghi (articolo 2, lettera c, legge 461 del 23/12/1998) uscendo dal capitale della banca conferitaria. Per questa uscita venivano previsti anche incentivi fiscali, rivelando la chiara volontà del legislatore di separare le fondazioni dalle banche. La legge è altrettanto chiara nell’incoraggiare la concentrazione delle aree di intervento delle fondazioni, definendo al massimo “tre settori rilevanti” (articolo 11, comma 2 della “legge Tremonti”). Quindi né l’opzione di indebitarsi e svenarsi per capitalizzare la banca di riferimento (come ancor più di altre ha fatto la Fondazione Monte dei Paschi), né l’opzione di interventi “variegati” e generalizzati a favore della comunità (come fanno tutte le Fondazione bancarie) sono coerenti con lo spirito profondo della legge. Sorprende davvero che queste opzioni  vengano difese dal direttore dell’Acri con tanto livore.

LA TRASPARENZA DEI BILANCI

Ma ci sono altri due aspetti della lettera del dott. Righetti che ci appaiono alquanto preoccupanti.
Il primo è che il direttore dell’Acri mostra di considerare il patrimonio delle fondazioni come un bene privato di cui poter disporre liberamente. Ricordiamo al dottor Righetti che si tratta di soldi pubblici, raccolti a partire dalla cessione di aziende e casse di risparmio che erano di proprietà dello Stato o erano riferimento di comunità locali. Le fondazioni bancarie sono diventate private con uno strappo legislativo, sono quindi cosa ben diversa da fondazioni che nascono come private con soldi di privati.
Il secondo motivo di preoccupazione è che Giorgio Righetti dimostra di non conoscere i bilanci delle fondazioni iscritte all’Acri. Presenta solo dati incompleti e non fa cenno alcuno alle recenti perdite nelle quali sono incorse (secondo lo studio Mediobanca, le sei fondazioni più grandi, quelle che raccolgono i due terzi del patrimonio totale, hanno visto dimezzarsi il valore della loro dotazione) in virtù della strategia di investimento seguita nel passato. Lo sfidiamo a pubblicare dati dei bilanci delle 88 fondazioni sotto la sua giurisdizione secondo criteri contabili omogenei e utilizzando valori di mercato attuali, onde permettere di analizzarli in modo coerente. Ancora meglio se lo facesse il Tesoro che è per legge preposto alla supervisione delle fondazioni di origine bancaria. Fin quando questi bilanci redatti secondo criteri omogenei e utilizzando valutazioni di mercato non verranno resi pubblici – e devono esserlo in virtù proprio del ruolo sociale delle fondazioni – continueremo a basarci sulle informazioni che, con grande merito, ha raccolto Mediobanca, consentendo per la prima volta di affrontare la valutazione dell’operato delle fondazioni con evidenze sistematiche ancorate ai dati. Questo permette di valutare la performance delle Fondazioni rispetto a quelle di istituzioni affini a livello internazionale, come facevamo nel nostro articolo.
Quanto ai costi sostenuti dalle fondazioni, un indicatore appropriato è rapportarli al flusso delle erogazioni come faceva Roberto Perotti in una articolo sul Sole 24 ore del 2006. Ebbene, quello che si evinceva allora è che per molte Fondazioni bancarie i costi di struttura superavamo la metà del valore delle erogazioni; in alcune eccedeva l’80 per cento tra queste la Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania (87 per cento), Banca Nazionale delle Comunicazioni (91.4 per cento), Fondazione Cassa di Risparmio di Fano (101%), Cassa di Risparmio di Puglia (120%) e al top dell’inefficienza la Fondazione Banco di Sicilia con spese totali di amministrazione e funzionamento pari al 182 per cento delle erogazioni! Una delle fondazioni, quella di Tortona, che nel 2004 (l’anno a cui si riferiscono i dati citati da Perotti) erogava un milione di euro in beneficienza aveva una assemblea che poteva arrivare fino a 180 componenti. Perotti si chiedeva se non fosse il caso di chiudere enti così inefficienti. Quel quesito, valido ieri, lo è a maggior ragione oggi.  In effetti, se queste sono i costi che si incorrono per fare queste erogazioni, non è detto almeno in alcuni casi non sia preferibile distribuirli facendoli calare alle comunità locali da un aereo!
Su un altro punto il dott. Righetti merita una risposta. Quando si chiede obiettando alla nostra insistenza sul fatto che le fondazioni dovrebbero cedere i loro pacchetti investiti nelle banche “chi metterebbe le risorse nelle banche al posto delle Fob non è dato sapere”. Infatti non c’è bisogno di saperlo. Quando si vuole vendere qualcosa non è necessario conoscere in anticipo l’identità del compratore, si mette sul mercato e si vende. Proponga alle Fondazioni di farlo e vedrà che i compratori spunteranno senza troppi problemi.

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L’IMPORTANZA DEL TERZO SETTORE

Infine, preghiamo il direttore Righetti di non utilizzare strumentalmente il riferimento al terzo settore. È proprio perché riteniamo cruciali le attività del terzo settore, soprattutto in questa fase di ridimensionamento dello Stato, che chiediamo alle Fondazioni bancarie di perseguire strategie di impiego del proprio patrimonio in grado di preservarne l’entità. Il rapporto Mediobanca mette in luce il problema di fondo dell’attuale configurazione delle fondazioni: voler essere banchieri e allo stesso tempo enti di pubblica utilità alla lunga pregiudica il raggiungimento di questo obiettivo. Non poche fondazioni stanno attualmente erogando patrimonio, il che rende insostenibile la missione che la legge loro assegna, condannandole all’estinzione. E questo ci preoccupa.
Oggi le fondazioni non stanno nel terzo settore, ma in un guado ambiguo, scelto e difeso con le unghie, in cui il perseguimento esclusivo delle finalità di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico che la legge assegna loro è inquinato dal perseguimento di obiettivi di potere attraverso la gestione di rilevanti pacchetti di influenza nelle banche. D’altra parte, dottor Righetti, non le sembrerebbe strano se la Croce Rossa dopo aver raccolto donazioni presso il pubblico le usasse non già per comprare ambulanze, ma per ricapitalizzare una banca o il 3 per cento di Rcs, ancor più se quel 3 per cento di Rcs rappresentasse l’80 per cento delle donazioni?
È per lo stesso motivo (l’importanza che diamo al terzo settore) che chiediamo alle fondazioni di specializzarsiin settori di grande rilevanza (ad esempio, il contrasto della povertà o la promozione della ricerca) anziché disperdere gli interventi in una marea di iniziative di dubbia efficacia.
E invochiamo altresì trasparenza dei bilanci perché vogliamo che “Il manifesto” delle fondazioni non diventi il paravento per operazioni che non hanno alcuna finalità sociale, ma servono solo al mantenimento di posizioni di potere. L’Italia è piena di aziende e istituzioni che si riempiono la bocca di richiami al terzo settore e alla responsabilità sociale, ma che nella pratica, nei loro comportamenti quotidiani, fanno ben altro. Le fondazioni di origine bancaria non meritano proprio di appartenere a questa categoria.
Proprio perché siamo convinti infatti che tanti servizi, vitali per la collettività, non possano essere forniti né dallo Stato né dal mercato, ma in modo molto efficiente dal terzo settore, pensiamo che ciascuno di questi segmenti possa contribuire meglio al funzionamento della società facendo il suo mestiere. A nostro avviso, le fondazioni farebbero meglio il loro mestiere se non si occupassero di banche.

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