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Il “TESTO UNICO” DEL CONTRATTO UNICO

Una serie di chiarimenti sulle proposte di contratto unico di lavoro, salario minimo nazionale e contributo nazionale uniforme. I temi, lanciati e sostenuti da tempo sulle pagine de lavoce.info, fanno discutere e molti lettori hanno chiesto precisazioni. Ecco un primo abbozzo delle regole per una riforma che possa conciliare flessibilità e tutele e permetta di superare il dualismo fra contratti permanenti e contratti temporanei.

  1. Il Contratto unico
  2. Il Salario minimo nazionale
  3. Il contributo previdenziale uniforme

1. Il Contratto Unico

I contratti di lavoro a tempo indeterminato di nuova stipulazione si articolano secondo uno schema unitario a tutela progressiva della stabilità (di seguito denominato contratto unico).

1.1 Tempo Indeterminato

Il contratto unico è a tempo indeterminato, e quindi non prevede alcun termine di scadenza. Il contratto unico prevede una fase di inserimento ed una fase di stabilità. La fase di inserimento dura fino a tre anni. La fase di stabilità inizia al termine del terzo anno.

1.2 Fase di Inserimento

La Fase di inserimento del contratto unico dura per i primi tre anni di vita del contratto. Durante la fase di inserimento il licenziamento può avvenire solo dietro compensazione monetaria, fatta salva l’ipotesi di licenziamento per giusta causa. Nei casi in cui il licenziamento sia determinato da motivi discriminatori si applica la tutela prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
La compensazione monetaria, durante la fase di inserimento, aumenta di un ammontare pari a 15 giorni di retribuzione per ogni trimestre di lavoro. A titolo di esempio, un contratto unico interrotto dopo 6 mesi di lavoro richiede una compensazione monetaria pari a 1 mese di retribuzione. Dopo tre anni di lavoro, la compensazione è pari a 6 mensilità.

1.3 Fase di Stabilità

Superata la fase di inserimento, il contratto unico viene regolato dalla disciplina dei licenziamenti oggi in essere. Per le aziende con più di 15 dipendenti, si applica quindi la tutela reale prevista dall’ordinamento esistente. Per le aziende con meno di 15 dipendenti, si applica la disciplina relativa alla tutela obbligatoria.

1.4 Riassunzione di Lavoratore presso la stessa azienda

Un’azienda che ha interrotto un contratto unico durante la fase di inserimento potrà riassumere lo stesso lavoratore, nei successivi dodici mesi, solo ripristinando il suo statuto, in quanto a tutele contro il licenziamento, all’atto dell’interruzione del rapporto di lavoro. Ad esempio, se licenziato dopo 6 mesi, avrà fin dal primo giorno diritto a un mese di indennità nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Dal nuovo contratto verrà scomputato il periodo di inserimento già consumato nel precedente contratto. Pertanto, nell’ipotesi di licenziamento dopo 6 mesi, il nuovo contratto avrà una fase di inserimento limitata a 30 mesi.
Nel caso in cui un lavoratore assunto con un contratto a tempo determinato venisse poi assunto con contratto unico, anche in questo caso le tutele offerte terranno conto del periodo già passato dal lavoratore presso l’azienda anche se nell’ambito di un altro tipo di contratto.  Ad esempio, se il lavoratore ha lavorato con un contratto a tempo determinato per due anni e poi viene assunto con contratto unico, fin dal primo giorno nel nuovo contratto avrà diritto a 4 mesi di indennità nel caso di licenziamento ed il nuovo contratto unico avrà una fase di inserimento limitata ad un anno.

2. Il Salario Minimo

Si istituisce il salario minimo nazionale da applicare a ogni prestazione di lavoro, incluso le prestazione di lavoro a progetto.

2.1 Commissione nazionale per il salario minimo

Con decreto del Ministero del Lavoro, si istituisce la commissione nazionale per il salario minimo. E’ formata da 5 membri e dura in carica 5 anni. La Commissione ha il compito di aggiornare il livello del salario minimo nazionale ogni 12 mesi.

 3. Il Contributo Previdenziale Uniforme

 Qualunque prestazione di lavoro, incluso le prestazioni di lavoro a progetto, sono assoggettate a un’aliquota previdenziale pari a 33 per cento.

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14 commenti

  1. giovanna dorigati

    Primo: riconoscenza a chi pensa proposte migliorative della situazione odierne poi, d’acchito, senza approfondimento, mi piace: non solo la semplificazione, che peraltro risolve la mortifera complessità attuale, ma anche la maggiore giustizia di base e un sentore di attenzione al merito

  2. Piero

    Ho 55 anni ed ho lavorato la maggior parte della mia vita a contratto ed in diversi paesi del mondo . A) Come cittadino mi vergogno che in Italia si stiano formando caste di lavoratori con trattamenti altamente discriminanti: lavoratori superprottetti ed altri "a perdere" senza nessun diritto. Il vostro contratto unico va nella direzione giusta , ma deve prevedere possibilita’ di licenziamento piu’ flessibile dell’attuale. B )La mia esperienza ( ho lavorato in differenti paesi ed ho perso 14 anni di contributi in Italia) mi dice che il lavoratore deve avere il diritto di scegliere come costruirsi la propia pensione.Una quota dei versamenti previdenziali vadano pure all’ INPS per la pensione minima e solidarieta’ , ma il lavoratore deve poter scegliere d’ investire la maggior dei contributi per pensione in fondi pensione in Italia, all’estero od in conti tipo 401(k) americani .

  3. Diego

    La proposta formulata dagli autori è molto interessante ma, secondo il mio parere, si espone ad alcune critiche e considerazioni. Ad esempio, consapevole dell’autorevolezza degli autori, mi pongo una domanda: da dove deriva la durata del periodo di inserimento di tre anni? perchè non due, uno o 5? letteratura, evidenza empirica di buon funzionamento in altre nazioni o cosa?. Perchè il salario minimo deve essere uguale per tutti i tipi di contratto compresi quelli a progetto che sono di natura totalmente differente? come lo si spiega?. Quale senso può avere una commissione politica nel determinare il "salario minimo" (che tra il resto suona parecchio anacronistico)?. Bene il contributo previdenziale uguale anche perchè proprio non si capisce il perchè deve essere differente e così basso per contratti per natura discontinui (co.co.pro). La questione che però ritengo più imbarazzante riguarda il cambiamento che questo nuovo "contratto unico" porterebbe nella propensione dei "datori di lavoro" a offrire il nuovo modello invece che un classico co.co.pro. Perchè un datore di lavoro dovrebbe preferire offrire un "contratto unico" al posto di un co.co.pro?. E’ inutile girarci attorno, per lavori che richiedono bassi skills un classico co.co.pro sarà sempre la soluzione ottimale per i datori di lavoro e soprattutto se il salario minimo sarà uguale a quello del contratto unico.

  4. luca

    Nonostante tante buone intenzioni, si va sempre verso inutili soluzioni. I contratti esistenti sono buoni ma migliorabili. Non ne servono di nuovi. Basta imporre al datore di lavoro un contributo del 10% sullo stipendio lordo, da versare in un fondo a tutela dei precari, cui si attinga al termine del contratto fino ad uno nuovo, così da stabilizzare l’entrata economica, ed il giocoè fatto. Resterebbe precario il lavoro, ma non la possibilità di vivere, pagare i propri conti. Nel frattempo ci si adopera per trovare un lavoro che ci gratifichi, senza l’obbligo di accettarne uno che non ci piace ed in cui non ci si realizza professionalmente. Sarebbe il caso che ogni settore lavorativo, commercio, industria, assicurativo, bancario etc., si dotasse di un fondo alimentato dal datore di lavoro, ma abolendo l’art. 18 dello statuto dei lavoratori. Dicersamente il sistema resta bloccato e/o sbilanciato verso il lavoratore. L’equilibrio, simbiosi tra datore e prestatore di lavoro, è fondamentale.

  5. romano calvo

    Condivido la vostra proposta e ritengo necessario stringere il confronto con sindacati e sinistra, per capire dove stanno le loro obiezioni. Attenzione però alla semplificazione sull’aliquota contributiva unica al 33%: ricordatevi che la base imponibile contributiva del cocopro o partita-iva è calcolata diversamente e quindi più ampia di quella del dipendente.

  6. hominibus

    Ponendo l’obiettivo di rispettare il naturale incontro tra bisogni reciproci, riteniamo che i due contraenti debbono esere lasciati assolutamente liberi di aprire e chiudere un rapporto di lavoro secondo la propria ed indiscutibile convenienza, in termini preventivi di durata, retribuzione ed eventuali indennizzi per ambo le parti in caso di parziale esecuzione. In uno scenario in cui entrambi i contraenti possono essere organizzati per categorie, al di fuori di un intervento regolamentare dello stato, riteniamo sia necessario eliminare l’obbligatorietà della contribuzione previdenziale, affinché ogni lavoratore possa provvedere autonomamente nelle forme che ritiene più opportune, e l’assurda applicazione di cunei fiscali che sono incostituzionali, incidono pesantemente sui costi di beni e servizi, e riducono la competitività sui mercati internazionali. Infine, il sistema sussidiario deve intervenire nei confronti di chiunque, cittadino italiano, lavoratore e non, giovane o anziano, si trovi nelle condizioni al di sotto del minimo economico complessivo ritenuto indispensabile, mentre deve astenersi dall’integrare i trattamenti pensionistici tramite la fiscalità generale.

  7. Maurilio Menegaldo

    La proposta sul contratto unico mi sembra decisamente buona, soprattutto associata com’è al salario minimo e alla contribuzione previdenziale unica. Certo vi potranno essere ulteriori suggerimenti, miglioramenti e integrazioni, ma intanto la sua semplicità ne fa un’ottima base di discussione. Temo però che proprio la sua chiarezza e razionalità siano le caratteristiche meno adatte a farla considerare in un paese come l’Italia che sembra amare molto complicarsi la vita con norme astruse e spesso contraddittorie… Un cordiale saluto e un augurio di buon lavoro.

  8. Fabio Berton

    La proposta Boeri-Garibaldi del contratto unico si muove nella condivisibile direzione di rimuovere le discriminazioni tra lavoratori che, pur svolgendo le stesse mansioni, sono soggetti a tutele anche molto diverse, spesso non per libera scelta individuale. Alcuni aspetti della proposta, tuttavia, non mi sono chiari. Primo: come rileva la fase "flessibile" del contratto unico nei confronti degli altri potenziali datori di lavoro? Se è irrilevante, in presenza di una larga quota di lavoratori permanenti al momento della transizione (quello che accadrebbe in Italia), l’incentivo per le imprese ad un utilizzo tipo "buffer stock" dei primi tre anni di contratto non cambierebbe molto. I giovani, in altre parole, continurebbero a saltare da un periodo iniziale all’altro. Secondo: perchè tre anni? Per uno screening sembrano molti, per dare flessibilità alle imprese diventerebbero inevitabilmente materia di scontro tra le parti sociali. Deve essere chiaro quale è lo scopo della fase iniziale. Terzo, ed ultimo: il salario del contratto unico sarebbe probabilmente materia di contrattazione collettiva. Quest’ultima non copre tutti i settori e tutte le categorie di impiego, ma mitiga il problema dell’assenza di un salario minimo. Più stringente rimarrebbe il problema del sostegno al reddito durante i periodi di disoccupazione, mediamente ancora molto lunghi nel nostro paese. Il nostro welfare, imponendo stringenti requisiti contributivi, tutela soprattutto i lavoratori stabili; pertanto, anche in presenza di una contribuzione uniforme, i lavoratori discontinui (si veda il primo punto), sarebbero a rischio di precarietà. Grazie per lo spazio.

  9. andrea

    Vorrei sapere come si rapporta ora la vostra proposta sul contratto unico alla luce dell’approvazione del disegno di legge del governo che recepisce l’accordo con le parti sociali. Nello specifico, non credete che la previsione dell’obbligo di reiterare un contratto di lavoro a termine per una sola volta dopo 36 mesi sia già una parziale attuazione dei principi ispiratori della vostra proposta? Più in generale non credete che il protocollo vada visto come un inizio verso la direzione da voi auspicata con la proposta del "testo unico" sul contratto unico e che le lacune siano dovute al fatto che è un accordo tra le parti sociali e non un decreto legge?Grazie per lo spazio e buon lavoro.

  10. giuseppe petrucci

    Bisogna sfatare il mito della contrattazione senza fare proposte d’inclusione nel mondo del lavoro di una generazione di precari, trovare forme di rappresentanza duale é il focus centrale del contratto unico ed aggiugo che sarebbe ora di discutere seriamente sulla partecipazione attiva dei lavoratori alla "vita" del lavoro e nuove forme di partecipazione aziendale. Soltanto, attraverso una rilettura del mercato del lavoro attuale si potranno attivare politiche di inclusione e le stesse proposte fatte nel libro verde come le politiche verso "la persona" o la "dote" possono trovare risposte se si riesce ad uscire fuori dagli schemi della vecchia contrattazione e fare nuove proposte. Le parti sociali devono uscire dal vecchio modello contrattuale soltanto di salvaguardia del "posto" di lavoro e proporre politiche a favore del lavoro.

  11. Luca

    Una volta letti i termini della proposta e letto (e riletto) il vostro interessante libro mi sento di porvi qualche interrogativo: chi ci assicura contro il fatto che, al termine del III° anno d’impiego, il datore di lavoro non licenzi il lavoratore adducendo, magari pretestuosamente, motivi economici e sbarazzandosene così con sei mesi d’indennità e subito dopo ne riassuma un altro da stabilizzare dopo tre anni e poi licenzi anche lui e così via all’infinito? Ma poi siete davvero davvero convinti che esista un gap di formazione consistente degli outsiders rispetto ai lavoratori insiders nel nostro paese? Davvero non credete che l’essenza del problema riguardi direttamente il cuore del sistema industriale di questo nostro paese?…ossia l’appartenenza dell’insieme delle nostre imprese ad un sistema industriale con caratteristiche di specializzazione produttiva sostanzialmente diverse (e peggiori) rispetto a quelle dei maggiori paesi europei!

  12. Umberto Franchi

    Ritengo che il riferimento al contratto di inserimento sia debole per il seguente motivo: – l’azienda al termine dei 3 anni del contratto di inserimento potrebbe interrompere il rapporto di lavoro con il lavoratore interessato ed assumere un altro lavoratore con contratto di inserimento. – Propongo di aggiungere quanto segue: " nel caso che l’azienda al termine dei tre anni del contratto di inserimento, non confermi il lavoratore con il passaggio a tempo indeterminato, la medesima azienda, in caso di assunzioni nei successivi tre anni, dovrà dare la precedenza al lavoratore che aveva già svolto il contratto di inserimento assumendolo a tempo indeterminato.

  13. Nuccio

    Da pensionato con figli laureati, di cui il minore (31 anni) precarissimo, commesso, cassiere, ecc.ecc. ma non insegnante (110 e lode in lettere classiche presso l’Università di Parma, con frequenza di un anno con promozione di 28/30 presso la scuola di drammaturgia delle Scuole Pubbliche Paolo Grassi di Milano) seguo con trepidazione e dolore le avventure/disavventure dei giovani italiani. Il contratto unico potrebbe essere l’inizio di una conversione del mondo di lavoro, ma solo l’inizio. Credo che tre anni per capire se ci sia bisogno o meno di un lavoratore è un periodo troppo lungo, basterebbero sei mesi, ma, per abbondare, si può arrivare a un anno, ma non di più, se si vuole evitare lo sfruttamento del lavoratore. Diventa indispensabile prevedere che il licenziamento avvenuto per motivi economici impedisca l’assunzione di altro elemento per almeno tre anni.

  14. bruno

    Studi empirici di Neumark e Wascher (2004) e di Pereira (2003) hanno dimostrato che il salario minimo nuocie all’occupazione giovanile poichè, eguagliando il costo del lavoro di giovani e non, si inducono le imprese a optare per i secondi. Un possibile rimedio a tale effetto indesiderato è dato, a loro dire, dalla previsione di un “sub-minimum wage” fatto apposta per i giovani. (ECB occasional papers no. 89 June 2008)

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