In seguito all’adozione delle misure non convenzionali di politica monetaria, le banche centrali detengono oggi una quantità di titoli di Stato molto superiore al passato. Titoli che generano interessi riversati nelle casse dei ministeri del Tesoro. Un’implicita e automatica azione di quantitative easing.

La crisi economica ha visto una risposta determinata da parte delle banche centrali, che si sono avventurate interritori prima inesplorati, varando nuove misure di politica monetaria basate sulla modifica delle dimensioni e della composizione del proprio bilancio. Le cosiddette misure non convenzionali di politica monetaria. Lo scopo era quello di fornire liquidità al sistema bancario e di sostenere il valore di titoli obbligazionari di vario tipo contenendone gli spread.
Il risultato è stato che i bilanci delle banche centrali sono esplosi in termini quantitativi e queste adesso detengono una quantità di titoli molto maggiore che in passato.

UN CARTEGGIO MOLTO BRITANNICO

Mentre in una prima fase della crisi finanziaria, l’azione si è concentrata sulla liquidità del mercato interbancario e su una varietà di titoli, successivamente le banche centrali si sono impegnate soprattutto nell’acquisto (e conseguente riduzione dei rendimenti) dei titoli di Stato, dato il forte aumento dei debiti pubblici nazionali dei paesi sviluppati.
Alcune implicazioni del fatto che le banche centrali di vari paesi sviluppati possiedano titoli di Stato in quantità molto superiore al passato, per quanto ovvie, sono implicite, ed è bene ogni tanto farle emergere con chiarezza. Come è successo recentemente nel Regno Unito, grazie allo scambio di lettere fra il Chancellor of the Exchequer, cioè il ministro del Tesoro britannico, George Osborne, e il governatore della Bank of England, Mervyn King. (1)
Per gestire la situazione, la Bank of England ha costituito un veicolo separato, chiamato Apf, Asset Purchase Facility. Apf compra quasi esclusivamente “gilts”, ossia titoli di Stato britannici. Il 9 di novembre in una lettera al Governatore della Bank of England, il ministro del Tesoro rammenta che il totale dei titoli detenuti dall’Apf ammonta ormai a 375 miliardi di sterline, e gentilmente fa notare che sarebbe opportuno che gli interessi maturati su questi titoli fossero girati al Tesoro.
Il primo commento è che non stiamo parlando di noccioline. La Apf aveva originariamente un limite di 150 miliardi, ormai ampiamente superato, e si stima che entro marzo 2013 avrà accumulato redditi per 35 miliardi di sterline. Non sorprende che il ministro ci metta gli occhi sopra.
Il secondo commento è che da territori inesplorati, ho l’impressione che si entri in territori scivolosi. In sostanza, la Banca centrale compra titoli del Tesoro, e poi gli gira gli interessi. Dovrebbe essere chiaro che siamo su un crinale. Il ministro scrive: “detenere grandi somme di moneta liquida nell’Apf non è efficiente economicamente” e “trasferire il reddito netto dell’Apf permetterà al Governo di gestire la propria liquidità in maniera più efficiente e dovrebbe portare a risparmiare interessi sul debito nel breve periodo”. Dalle banche centrali rispondono semplicemente che è sempre stato così. Ed in effetti è vero, il profitto delle banche centrali (derivante dalle varie operazioni di mercato aperto e dal signoraggio) è girato da sempre ai governi: le banche centrali non sono organizzazioni “profit”. D’altra parte, eventuali perdite dell’Apf (o della banca centrale) sono garantite e appianate in ultima istanza dal Tesoro, ossia dai contribuenti – lo ricorda anche il cancelliere dello scacchiere, in linea con la pratica internazionale di altre banche centrali, come quella del Giappone e la Federal Reserve americana.

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INTERESSI IPERBOLICI

Negli Stati Uniti, la Fed non ha un Apf, ma fa tutto in casa. Come per la maggior parte delle banche centrali, gli interessi guadagnati e i capital gains sui titoli (al netto dei costi operativi) sono girati direttamente al Tesoro. (2)Nel 2010 il tutto ammonta a una cifra iperbolica e mai raggiunta prima: 79 miliardi di dollari, divenuti 77 nel 2011. Dato che la crisi è destinata a perdurare, continueranno anche i trasferimenti di queste dimensioni. Ma credo che si possa sostenere che strumenti di politiche monetarie non convenzionali continueranno a essere usati anche dopo la crisi, visto il loro successo e il fatto che, utilizzandoli, le banche centrali acquisiscono conoscenza sulla loro operatività e sui loro effetti.

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Tanto per dare un’idea, 79 miliardi di dollari rappresentano il 16,55 per cento di quanto speso dallo Stato federale nel 2010 per Medicare, il 29 per cento circa delle risorse per Medicaid, e il 34 per cento della spesa per interessi (vd. White House tables ).
Il punto che si vuole sottolineare qui è che l’esplosione dei bilanci delle banche centrali ha cambiato la “natura” di questi trasferimenti, negli Stati Uniti quadruplicati dal 2005 al 2010.
Nel momento della sua istituzione, non si era scritto che cosa l’Apf dovesse fare con i profitti derivanti dagli interessi. Immagino perché si pensava fossero comunque poca cosa. Il ministro successivamente si deve essere accorto che non è proprio così.
Per parte sua, il governatore della Bank of England, nella sua risposta, fa presente due cose.
In primo luogo, ricorda al Tesoro che, come oggi i profitti, in futuro l’Apf girerà al Tesoro eventuali perdite. Queste ultime peraltro sono facilmente pronosticabili qualora la Banca d’Inghilterra decida, prima o poi, di alzare i tassi (e quindi verosimilmente di dover sopportare perdite in conto capitale sui “gilts” detenuti). Questo peraltro pone un ulteriore problema di conflitto d’interessi di cui finora nessuno ha parlato: le decisioni della Banca, in termini di tasso d’interesse, hanno effetto sul valore del suo stato patrimoniale, oggi esploso.
Inoltre, il governatore fa notare che questa è sostanzialmente una operazione “nascosta” di quantitative easing. Supponiamo che il transfer della Banca sia usato per ricomprare debito (comunque lo si usi, implicitamente, stante la definizione della politica fiscale, significherebbe in ogni caso non dover emettere nuovo debito per quell’ammontare). “Ne deriva che in questa ipotesi il settore pubblico deterrà meno titoli e più moneta. Questo implica un’espansione delle condizioni monetarie rispetto alle attuali in cui il pagamento degli interessi è detenuto in deposito presso l’Apf”. Cosa fa la Bce? Tramite il suo governatore ha dichiarato di essere pronta, sotto certe precise condizioni, ad acquistare titoli di Stato dei paesi in difficoltà. Anche in maniera massiccia: farà tutto ciò che è necessario per difendere l’euro. La differenza è che la Bce è una banca centrale di diciassette paesi e in questo caso i profitti sarebbero distribuiti fra i diciassette paesi dell’Eurozona (tramite le banche centrali nazionali come azionisti) e non solo fra i paesi il cui debito è acquistato. Quindi, la Bce è in parte (se ne può discutere) protetta dall’implicita monetizzazione degli interessi. D’altra parte, la distribuzione dei profitti e delle perdite sui titoli di stato detenuti tra i diciassette paesi azionisti della Bce genera impliciti trasferimenti di risorse tra un paese e l’altro. L’opposizione tedesca nasce anche dal timore di doversi accollare eventuali perdite future in conto capitale sui titoli dei paesi in difficoltà detenuti dalla Bce. Nel frattempo, però, gli interessi sui titoli acquistati tramite il Programma per il mercato dei titoli finanziari (Security Markets Programme) si generano e vengono distribuiti alle diciassette banche centrali nazionali. (3)
In conclusione, il cambiamento di dimensione dei bilanci delle banche centrali in seguito a politiche non convenzionali comporta conseguenze sull’interrelazione fra politica monetaria e politica fiscale, che devono essere rese trasparenti. Queste politiche sono destinate a perdurare, a mio avviso, anche dopo la crisi, diventando uno strumento “normale” di politica monetaria. Il fatto che si acquistino massicce quantità di debito pubblico e si girino gli interessi al Tesoro, significa che il Tesoro riceve finanziamento a costo zero. Possiamo chiamarlo monetizzazione degli interessi (attenzione: non del debito), ma comunque è un’implicita e automatica misura di quantitative easing. La cui dimensione non è irrisoria.
Anche a me piacerebbe trovare una banca che mi restituisce gli interessi che pago sul mutuo.(1) Si veda anche http://www.hm-treasury.gov.uk/press_109_12.htm
(2) È importante rammentare che diversamente dall’Apf, la Fed non opera solo su titoli di Stato, ma su uno spettro ben più ampio di tipologie di titoli. I profitti del 2011 derivano principalmente da 83,6 miliardi di dollari in interessi su titoli acquistati tramite operazioni di mercato aperto: U.S. Treasury securities, federal agency and government-sponsored enterprise (Gse) mortgage-backed securities, and GSE debt securities.  http://www.federalreserve.gov/newsevents/press/other/20120110a.htm .
(3) Si legge nel bilancio annuale 2011, p. 218: “In queste voci affluiscono anche interessi attivi netti per 165,7 milioni di euro (140,4 milioni nel 2010) sui titoli acquisiti dalla Bce nel quadro dei Programmi per l’acquisto di obbligazioni garantite, [..] e interessi attivi netti per 1.002,8 milioni di euro (438,0 milioni nel 2010) sul portafoglio costituito nell’ambito del Programma per il mercato dei titoli finanziari”.

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