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Populismi: simili nella tattica, diversi nelle strategie di governo

Esistono varie forme di populismo, di destra e di sinistra. Perché si tratta di una tattica per generare consenso, non di una strategia di governo. In uno studio le differenti politiche adottate una volta al potere e le conseguenze sulla spesa pubblica.

Un’ideologia sottile

Il governo giallo-verde a trazione Cinquestelle “abolì la povertà” per decreto legge, il 28 gennaio 2019, con l’introduzione del Reddito di cittadinanza, ammortizzatore sociale che garantiva un reddito minimo ad alcune categorie di cittadini. Si stima che il provvedimento sia costato allo stato circa 9 miliardi l’anno. La sua vita, invece, è stata molto breve. La prima legge di bilancio promulgata dal governo Meloni ne ha infatti stabilito l’abrogazione a partire dal 1º gennaio 2024.

Entrambi i governi, quello giallo-verde e quello Meloni, hanno reso palpabile l’ascesa del populismo in Italia. Ma il provvedimento che per Giuseppe Conte era un fiore all’occhiello, agli occhi di Giorgia Meloni è stato il primo retaggio del passato da cancellare una volta entrata a Palazzo Chigi. Dunque, il populismo sembrerebbe essere, almeno nel nostro paese, un concetto piuttosto vago e capace di accogliere al suo interno visioni della società diametralmente opposte. 

In realtà, l’eterogeneità dei movimenti populisti che si sono presi la scena negli ultimi venti anni non è caratteristica solo italiana. Secondo la definizione più ampiamente riconosciuta, per populismo si intende infatti un insieme di idee incentrate sull’esistenza di un conflitto di fondo fra popolo (immacolato) ed élite (corrotta). Si tratta di una definizione molto vaga, o “sottile”, compatibile con molte (e molto diverse) declinazioni ideologiche. In quanto tale, gli attori più rilevanti sulla scena politica, da destra a sinistra, possono combinare la retorica populista con un’ideologia dominante, sia essa di stampo nazionalista o sovranista (da destra) o socialista (da sinistra).

Il populismo, dunque, può essere meglio descritto come un approccio alla politica più che come un modo ben delineato di esercitare l’azione di governo. Si tratta di una tattica, una tattica di comunicazione per essere più precisi, che è stata a lungo utilizzata, almeno a partire dal XIX secolo, per ottenere e mantenere il potere.

Globalizzazione e populismi

L’ultima ondata di populismo ha fatto seguito alla globalizzazione dell’economia mondiale. A metà degli anni Novanta, poco prima della fioritura di movimenti populisti in molte parti del globo, il trade round con il più grande mandato negoziale di sempre si è concluso con successo a Marrakech con la creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), e ha aperto la strada a una più libera circolazione di imprese, investimenti e persone tra paesi.

Rendere gli investimenti più liberi ha favorito a dismisura il capitale, il più mobile fra i fattori di produzione, aumentandone il potere contrattuale rispetto al lavoro. I salari reali hanno smesso di crescere, o lo hanno fatto in misura molto minore rispetto alla redditività del capitale. Al contempo, l’accresciuta esposizione all’immigrazione, in un momento di insicurezza economica generalizzata e di crescente diseguaglianza, ha favorito il diffondersi il di ansie, paure e diffidenza verso gli stranieri, specie quelli di origini etniche differenti.

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In questo contesto, i movimenti populisti di sinistra hanno costruito le loro proposte politiche sulle crescenti proteste contro la disuguaglianza e le istituzioni capitaliste, combinando le tradizionali politiche redistributive a una retorica populista, mentre i movimenti populisti di destra hanno compiuto la stessa operazione sul lato opposto dello spettro politico, concentrandosi sulla protezione degli elettori dall’immigrazione e sugli scontri culturali.

Le diverse declinazioni della nozione di “popolo”, e i diversi nemici che contribuisce (per antitesi) a identificare, bene illustrano la dicotomia. Il populismo di destra si riferisce al “popolo” come a una nazione in difficoltà che affronta i suoi nemici esterni: immigrati, rifugiati, terrorismo islamico, cospirazioni internazionali e così via. La sinistra, in netto contrasto, definisce il “popolo” in relazione alle strutture sociali e alle istituzioni esistenti – come lo stato e il capitale – che ostacolano le sue aspirazioni all’autodeterminazione. Un impianto che non preclude l’adozione di un atteggiamento benevolente verso gli immigrati.

Dalla retorica alla realtà

In un articolo recente abbiamo documentato la natura multiforme del populismo. In particolare, la nostra ricerca mostra come i governi populisti di sinistra, che costruiscono il loro successo sulle proteste contro la disuguaglianza e le istituzioni capitaliste, siano generalmente caratterizzati da un aumento marcato della spesa pubblica e sociale. Al contrario, i governi populisti di destra, più propensi ad adottare una retorica basata su posizioni anti-immigrazione, sono caratterizzati da una gestione più ortodossa del bilancio pubblico.

Nell’articolo impieghiamo una base dati che cataloga come populisti quei leader che impostano le loro campagne elettorali e di comunicazione sull’esistenza di un conflitto latente fra popolo ed élite. I dati permettono anche di distinguere tra populismi di sinistra e di destra rispetto alla tipologia di “nemico” identificato dai leader: élite economiche e istituzioni capitaliste oppure immigrati.

La figura 1 dà un’idea di quali siano le conseguenze immediate sulla spesa pubblica di un’ascesa al potere di partiti populisti di varia appartenenza ideologica. Riscontriamo un aumento medio di circa 3 punti percentuali nella spesa pubblica media annuale nel caso di governi populisti di sinistra, sia rispetto al tasso di spesa di lungo periodo del paese (barre bianche) che al tasso di spesa medio globale (barre grigie). Al contrario, nel caso di governi populisti di destra si registra una riduzione di quasi 1 punto percentuale rispetto alla spesa media annuale, mentre la riduzione rispetto alla media globale è solo marginale.

Figura 1 – Cambiamento della spesa pubblica dopo l’ascesa al potere di movimenti populisti – Risultati disaggregati per ideologie di sinistra e di destra

Fonte: elaborazione degli autori

La figura 2 fa uso di una tecnica econometrica più rigorosa, il cosiddetto metodo di controllo sintetico (Scm), che ci permette di prendere in considerazione le specifiche condizioni socio-economiche dei paesi in cui si sono affermati i movimenti populisti. La figura mostra come il profilo di spesa dei governi populisti di sinistra inizia a divergere visibilmente dal trend che ci saremmo aspettati in assenza della loro ascesa (quello che si definisce un “controfattuale”) subito dopo l’ingresso dei populisti al governo, e supera i dieci punti percentuali dopo pochi anni. Anche il profilo di spesa dei populisti di destra diverge nettamente da quello del controfattuale, ma nella direzione opposta: dopo cinque anni è di quasi cinque punti percentuali più basso. Non sorprende che, aggregando i due gruppi, le differenze positive e negative tendano a bilanciarsi.

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Figura 2 – Cambiamento della spesa pubblica dopo l’ascesa al potere di movimenti populisti – Risultati disaggregati per ideologie di sinistra e di destra

Fonte: Fortunato et al. (2024)

Quando esaminiamo invece la composizione della spesa pubblica, scopriamo come il cambiamento possa spiegarsi, almeno in parte, con il marcato aumento (diminuzione) della spesa sociale messo in atto dai governi populisti di sinistra (di destra).

La figura 3 illustra, ad esempio, l’andamento delle spese per l’istruzione pubblica.

Figura 3 – Cambiamento nella spesa per l’istruzione dopo l’ascesa al potere di movimenti populisti – Risultati di base disaggregati per ideologie di sinistra e di destra

Fonte: Fortunato et al. (2024)

Simili solo nella tattica

Una vasta letteratura ha esaminato le ragioni alla base del successo di leader populisti. Molti autori sottolineano il ruolo giocato dal processo di globalizzazione nel favorire una serie di shock economici, e un deterioramento della distribuzione del reddito, che potrebbero aver aggravato le divisioni sociali e culturali esistenti e alimentato movimenti anti-establishment.

Minore attenzione è stata invece dedicata all’esame del comportamento dei leader populisti, e delle loro scelte politiche, una volta al potere. Questa asimmetria può essere in parte spiegata dal fatto che la definizione del fenomeno su cui convergono ora sia i politologi che gli economisti è estremamente vaga. In quanto tale, finisce per abbracciare un’ampia varietà di movimenti politici con visioni della società, obiettivi e priorità che possono essere anche estremamente diversi. Il collante è semplicemente la narrazione e il tono utilizzato per la propaganda politica. Ma una tattica per generare consenso può coesistere (e in effetti lo fa) con più di una strategia per governare un paese.

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  1. Savino

    Ai tempi in cui andava forte Grillo suggerivo sempre una conventio ad excludendum, cioè escludere e isolare a priori i movimenti populisti dall’arco governativo. Sarebbe stata la soluzione più opportuna, perchè queste forze non hanno cultura di Governo o, al più, la improvvisano. Ecco, ora è il momento di affrontare la questione su cosa fanno di diverso dagli altri e come si comportano i populisti quando vanno al Governo. Quelli ottenuti, infatti, non sono stati semplici voti di protesta o di opinione, ma hanno permesso, nelle ultime 2/3 legislature a tutti i livelli istituzionali, di fare e disfare i Governi.

    • Ennio Rossi

      Alla luce della storia che l’umanità ha vissuto in questo ultimo secolo dopo esser passata nei fallimenti ideologici del comunismo e del fascismo e due orrende guerre mondiali,ora si sta mettendo in discussione anche il capitalismo che per la ricerca del solo profitto sta massacrando il pianeta.
      Quindi in presenza di questa storia stiamo sempre continuando, specialmente in Italia,con una forma politica basata su un innumerevole numero di partiti.
      La nazione il bene comune è unico per tutti e ritengo vada governato in una maniera più tecnica direi quasi aziendale tenendo conto di tutte le realtà socioeconomiche.
      Qualcosa bisogna fare e non so se un premier eletto dal popolo che poi costituisca un governo fatto di persone di specchiata competenza possa diventare un modo migliore per gestire una nazione.
      Beneinteso con tutti i controlli necessari.
      I governi che si son succeduti sino ad oggi stanno portando l’Italia al fallimento. Abbiamo un debito monstrum e servizi, strade, evasioni, ecc.ecc. che stanno continuamente peggiorando.
      Continuare in questo modo mi sembra sia impossibile e ciò è evidente a tutti.

      • Savino

        Le ideologie, depurate dagli assurdi aspetti sanguinari e utopici, non erano poi male. La differenza tra politiche di destra e di sinistra può ancora sussistere e essere resa concreta, con la base di valori nazionali comuni e, certamente e prioritariamente, con la presenza di competenze tecniche da formare in quelle strutture chiamate partito.

  2. Pietro Della Casa

    Articolo estremamente interessante, grazie

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