Lavoce.info

Come si finanzia l’autonomia differenziata?

L’ultimo Rapporto sulla finanza pubblica italiana dedica un capitolo all’autonomia differenziata. Una simulazione mostra i limiti del Ddl Calderoli sul finanziamento delle materie devolute. Sarebbe più adeguato uno schema di compartecipazione dinamico.

Il Rapporto sulla finanza pubblica

Pubblicata dalla casa editrice Il Mulino, è da poco uscita la nuova edizione del Rapporto sulla finanza pubblica italiana, relativo al periodo 2022-2023. Il Rapporto contiene una rassegna dei principali sviluppi che hanno interessato le politiche pubbliche del nostro paese nel 2022 e nella prima parte del 2023. Il quadro degli argomenti trattati è, come nelle precedenti edizioni, molto ampio, e fornisce una panoramica sui temi dell’imposizione fiscale, della spesa per assistenza, della previdenza, della scuola, della sanità, delle infrastrutture, dei trasferimenti alle famiglie, del sostegno alla non autosufficienza, delle politiche per il clima, del contrasto all’evasione fiscale e delle prospettive del debito pubblico, toccando anche ambiti finora poco trattati ma sempre più attuali come le comunità energetiche. Altri contributi si concentrano su argomenti particolarmente “caldi”, quali la legge delega sulla riforma fiscale, la riforma del patto di stabilità e crescita e l’autonomia differenziata.

di Massimo Baldini, Massimo D’Antoni, Carlo Mazzaferro, Leonzio Rizzo e Stefano Toso.

Di seguito le conclusioni del capitolo di Massimo Bordignon, Leonzio Rizzo e Gilberto Turati su quest’ultimo tema.

L’autonomia differenziata nel Ddl Calderoli

La riforma del Titolo V della Costituzione ha introdotto la possibilità che molte funzioni di spesa e ordinamentali possano essere gestite dalle regioni. Questa eventualità ha dato luogo nel 2018 a intese firmate tra tre regioni del Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) e lo stato centrale in cui si prevedeva la gestione decentrata di alcune materie. Il ventaglio delle materie richieste si è allargato con le pre-intese stilate nel 2019 in cui di fatto si contemplavano tutte quelle previste dall’art. 117 della Costituzione. Tale approccio sembra essere confermato anche dal recente disegno di legge Calderoli. Tuttavia, ci sono buone ragioni, tratte dalla teoria economica, per ritenere che la maggior parte di queste materie dovrebbero essere gestite a livello centrale: molte di esse sono beni pubblici nazionali o addirittura globali, o sono beni pubblici locali con forti esternalità in altre regioni; per alcune, la loro fornitura implica elevate economie di scala. Vi sono poi materie di tipo ordinamentale, molte delle quali fanno già riferimento a standard e regolamenti comunitari o che comunque è quasi sempre opportuno assoggettare a regole valide sul territorio nazionale, anche per evitare complicazioni burocratiche. È un problema che nessuna di queste considerazioni venga esplicitamente considerata nel disegno di legge proposto dal governo Meloni, che invece affida alla pura contrattazione politica tra esecutivi la definizione delle materie da devolvere. Il rischio è che la devoluzione sia eccessiva, sia in termini di materie sia in termini di regioni a cui queste materie vengono attribuite.

Leggi anche:  Donne e potere politico: meglio su Twitter-X che in Parlamento

Una volta stabilito quali siano le materie da devolvere, si pone il problema del loro finanziamento. Nel disegno di legge Calderoli è previsto un sistema molto simile a quello già in uso per le attuali regioni a statuto speciale; un sistema di compartecipazioni differenziate a tributi erariali che garantisca la fornitura dei beni e servizi devoluti in ogni regione. Un simile schema, se fisso nel tempo, potrebbe però creare problemi, se la dinamica della crescita dei fabbisogni fosse differente dalla dinamica della crescita del gettito compartecipato. Una regione potrebbe trovarsi con risorse in eccesso a quanto necessario, o viceversa incapace di finanziare i livelli di spesa.

Abbiamo fatto un esercizio controfattuale che mette in luce questa difficoltà. Se ciascuna regione dovesse finanziare la spesa devoluta – che abbiamo ipotizzato, nella nostra simulazione, essere la spesa per istruzione scolastica e mobilità – con una quota di gettito riferito al proprio territorio, ciò implicherebbe aliquote di compartecipazioni molto differenti da una regione all’altra, sia per la presenza di allocazioni diverse di spesa sul territorio, che per la presenza di forti divari regionali nei gettiti compartecipati. Ad esempio, se il tributo compartecipato fosse l’Irpef, nel 2011 si sarebbe richiesto il 15,7 per cento del gettito in Lombardia, ma il 61,9 per cento in Calabria. Una tale struttura desta naturalmente qualche dubbio sulla sua fattibilità politica.

Logicamente sarebbe preferibile un sistema di finanziamento diverso, come spesso proposto in passato. Per esempio, per le funzioni devolute a tutte le regioni si può ipotizzare una compartecipazione uniforme sul territorio che finanzia la regione che ha il rapporto tra spesa e gettito Irpef più basso, associata a un fondo perequativo verticale che finanzia il fabbisogno residuale delle altre regioni una volta incassata la compartecipazione (meccanismo deducibile dall’applicazione dell’articolo 8 della legge n. 42 del 2009). Tuttavia, di questo fondo, pur previsto nella legge n. 42, non vi è traccia nella bozza di legge Calderoli. In alternativa, si potrebbe prevedere un’aliquota uniforme sul territorio che finanzi il totale dei fabbisogni e la conseguente costituzione di un fondo che verrebbe poi ripartito in base ai fabbisogni. Entrambi gli schemi consentono di definire, una volta soddisfatti i fabbisogni e nel caso di crescita delle basi imponibili, una quota del gettito residuo che vada alle regioni ove questo è prodotto e una quota che invece venga redistribuita secondo un criterio perequativo da definire.

Leggi anche:  Passi avanti nella digitalizzazione della Pa

La simulazione sulle compartecipazioni

Tuttavia, prendendo alla lettera il Ddl Calderoli, abbiamo effettuato una simulazione in cui si ipotizzano aliquote di compartecipazione differenziate sul territorio e fisse per gli anni successivi. Nella simulazione le regioni possono quindi fruire di un incremento di risorse disponibili solo se il loro gettito Irpef aumenta in misura maggiore delle spese devolute. Abbiamo confrontato il gettito da compartecipazione nel periodo 2011-2019 con la dinamica delle spese statali da devolvere (per istruzione e mobilità), così come si è effettivamente svolta nel periodo 2011-2019. La conclusione è che solo poche regioni – Campania, Calabria e Basilicata – sarebbero riuscite a finanziare la loro spesa statale devoluta, registrando inoltre un surplus. Tutte le altre, con la sola compartecipazione, sarebbero finite in deficit, incluse, e va sottolineato, le tre regioni del Nord più attive nelle richieste di devoluzione. Il risultato, all’apparenza paradossale, deriva dal fatto che la spesa di Campania, Calabria e Basilicata è rimasta praticamente immutata tra il 2011 e il 2019, mentre i loro gettiti da compartecipazione sono invece cresciuti.

In conclusione, pare evidente come il sistema di compartecipazioni fisse nel tempo ipotizzato dal Ddl Calderoli non sia sostenibile, se si intende finanziare i fabbisogni come si è finora fatto. La crescita della spesa per le regioni del Centro e del Nord è stata superiore alla crescita dei gettiti Irpef. Se dunque il processo previsto dal Ddl andrà avanti, sarà necessario pensare, come anche l’Ufficio parlamentare di bilancio evidenzia, a uno schema di compartecipazioni dinamico, che tenga conto sia della variazione del livello dei fabbisogni, che della differente crescita delle basi imponibili sul territorio nazionale.  

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Passi avanti nella digitalizzazione della Pa

Precedente

Una via d’uscita dal vicolo cieco del Superbonus

Successivo

Borse-lavoro, una “politica attiva” che funziona

  1. Savino

    Serve coerenza con gli articoli 5, 53 , 81 e 119 della Carta. L’Italia è una, la capacità contributiva alle spese pubbliche è un fatto economico in proporzione alla ricchezza, il bilancio deve essere sostenibile ed in pareggio, occorre perequazione tra territori.

  2. bob

    ” Tuttavia, ci sono buone ragioni, tratte dalla teoria economica, per ritenere che la maggior parte di queste materie dovrebbero essere gestite a livello centrale..”
    Buone ragioni?
    Direi buonsenso, onesta intellettuale e spessore culturale che in questa “classe politica” manca del tutto.
    Io mi chiedo con quale faccia un cosiddetto “politico” chiede queste cose e con quale intelletto possa essere preso in considerazione.
    Cittadini? Direi più “popolino”

  3. ALESSANDRO PETRETTO

    Avete dato la risposta. Regolare nel tempo il trasferimento perequativo previsto dalla 42/2009. Il principio è che per ogni regione i fabbisogni standard di spesa devono uguagliare la capacità fiscale standard con aliquote delle compartecipazione fissate (nel simmetrico come nell’asimmetrico aumentate) più il trasferimento perequativo a integrazione. Le aliquote di compartecipazione del simmetrico derivano dal bilancio in pareggio della regione autosufficiente. Ma tutto ciò non c’è nel decreto Calderoli né nella Delega fiscale, per cui probabilmente sballeranno entrambe

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén