Gli interventi sul mercato del lavoro sono la vera eredità del governo Renzi. Se l’obiettivo di Jobs act e nuovo contratto a tutele crescenti era ridurre l’occupazione precaria, i risultati sono soddisfacenti. Se invece si voleva aumentare il numero dei giovani al lavoro, gli esiti sono deludenti.
Gli effetti del contratto a tutele crescenti
Il governo Renzi si è dimesso a dicembre 2016. In termini di riforme, la sua eredità più importante è probabilmente quella legata al mercato del lavoro. Il contratto a tutele crescenti ha resistito all’assalto della Cgil e la Corte costituzionale ha respinto il referendum sul punto, la novità più importante inserita nel pacchetto di riforme denominato Jobs act ed entrato in vigore nel 2015.
La maggior parte delle altre riforme sono state bocciate dagli italiani (la riforma costituzionale) o smontante in parti sostanziali dalla Corte costituzionale (la riforma della pubblica amministrazione e – la scorsa settimana – quella elettorale). Il contratto a tutele crescenti è quindi la vera eredità del governo Renzi ed è destinato a rappresentare il posto di lavoro a tempo indeterminato delle nuove generazioni. Chi scrive e lavoce.info ne hanno sempre sostenuto l’opportunità.
L’Istat ha appena pubblicato i dati occupazionali al dicembre 2016. Possiamo quindi abbozzare un bilancio quantitativo in materia occupazionale dell’intero anno.
Se confrontiamo l’occupazione tra dicembre 2016 e dicembre 2015, osserviamo un aumento del numero di occupati superiore all’1 per cento e corrispondenti a 242mila nuovi posti nel solo 2016. Un numero certamente soddisfacente e superiore alla crescita del Pil dell’intero anno, che dovrebbe attestarsi sotto l’1 per cento. Inoltre, la totalità dei nuovi posti di lavoro sono coperti da lavoratori dipendenti, mentre l’occupazione autonoma è addirittura calata. E 111mila posti sono a tempo indeterminato.
Questi numeri aggregati sono forse la miglior notizia per il vecchio governo, anche perché il 2016 non era più caratterizzato dalla forte decontribuzione che ha facilitato, e in parte drogato, l’espansione occupazione del 2015.
Il problema della disoccupazione giovanile
Al di là dei buoni numeri aggregati, vi sono però molte ombre. Innanzitutto, i dati congiunturali dell’ultimo mese e dell’ultimo trimestre indicano una busca frenata occupazionale. Sembra quasi che lo slancio sul lavoro del governo Renzi abbia seguito la parabola politica, arrivando a fine anno come un elettrocardiogramma piatto. Se guardiamo i dati mensili, tra dicembre e novembre 2016 l’occupazione è addirittura calata.
Il dato più impressionante, e in qualche modo preoccupante, riguarda invece la distribuzione occupazionale per classi di età. Nel 2016 tutta la crescita occupazionale ha interessato i lavoratori di età superiore ai cinquanta anni, aumentati addirittura del 5 per cento. I lavoratori più giovani sono invece fermi, mentre le classi centrali diminuiscono in modo sensibile.
La dinamica degli ultra-cinquantenni è dovuta a due fattori che poco dipendono dalle scelte del governo Renzi. Innanzitutto, deriva dall’invecchiamento della popolazione che tende a far entrare nella categoria degli ultracinquantenni lavoratori nati a metà degli anni Sessanta, sostituendo coorti di lavoratori nati negli anni Cinquanta con tassi occupazionali decisamente inferiori, specialmente tra le donne. Si tratta di un fenomeno strutturale in parte inevitabile. In aggiunta, ha contribuito al fenomeno l’aumento dell’età pensionabile introdotto dal governo Monti nel dicembre 2011. Nel frattempo, il tasso di disoccupazione è di nuovo al 12 per cento e quello giovanile è tornato al 40 per cento. Nel 2007, quando è iniziata la grande crisi, la disoccupazione totale era intorno al 6 per cento, mentre quella giovanile addirittura al 18 per cento.
Riassumendo, se l’obiettivo del Jobs act e del nuovo contratto a tutele crescenti era quello di ridurre l’occupazione precaria, i risultati sono soddisfacenti. I lavoratori a tempo indeterminato sono cresciuti notevolmente e l’Inps ha recentemente stimato in quasi 3 milioni il numero di lavoratori coperti dal nuovo contratto. La transizione verso il nuovo contratto è più veloce di quanto si immaginasse.
Se invece il vero obiettivo del Jobs act era immettere giovani nel mercato del lavoro, stando ai dati gli esiti sono assai deludenti. Forse non è un caso che proprio i giovani abbiano contribuito in modo determinante alla vittoria del “no” al referendum costituzionale del 2016.
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Giorgio
Quando si parla di occupazione ci si dimentica di andare in profondità senza analizzare che tipo di occupazione si stia delineando dopo la grande crisi del 2008 oramai stabilizzata ad uno stile consolidato del sistema economico e produttivo del nostro paese. Se non ci sono politiche per il lavoro ma ci sono solamente politiche per il mondo della finananza va da sè che nessun progresso per l’occupazione potrà nascere. Una classe dirigente illuminanta dovrebbe essere attenta alla persona vista come chiave di volta ce possa contribuire a sostenere questa economia traballante. Purtroppo la mancanza di continuità lavorativa tra le generazioni ha generato solamente giovani disoccupati oramai pronti ad accettare ogni tipo di lavoro anche privo dei minimi diritti così faticosamente conquistati negli anni dai lavoratori che oggi vorrebbero andare in pensione ma che non lo possono fare grazie alle ultime riforme “economiche” dalla Fornero alla riforma del lavoro (Jobs Act) del governo Renzi. Se per il modo delle banche 20 miliardi sono stati trovati in una notte non si capisce perchè no li si possano trovare per il mondo del lavoro……
Vic
Prof, però non diciamo post-verità anche in questa sede.
1) la legge MADIA è stata cassata solo ed esclusivamente per il coinvolgimento delle regioni. Niente “parere” ma “intesa”. Tecnicismo che vale il 2% della riforma (posto che il 90% delle regioni sono governate dal CS).
2) italicum: se nelle motivazioni della Corte esce fuori che il ballottaggio è stato cassato per via del 4 dicembre (incongruenza tra i due regimi Camera e Senato), allora l’ITALICUM è di fatto costituzionale in tutti i suoi pilastri
3) Unioni Civili, Buona Scuola, Terzo Settore, Reati Ambientali, Divorzio Breve, Responsabilità Civile Magistrati, Dopo di Noi, Caporalato ecc ecc. Non entro nel merito e non do giudizio di valore, ma sono tutte riforme attese da decenni nel nostro Paese.
Fabrizio
Le mie domande per il dott. Garibaldi sono queste:
1) non si poteva ottenere lo stesso risultato semplicemente eliminando tutte quelle forme che lei chiama di “occupazione precaria”?
2) Il job acts non ha apportato il precariato per tutti?
Grazie
Qualwelfare
+111mila a tempo indeterminato….+155mila quelli a termine…..ai ai Garibaldi le omissioni…….
Qualwelfare
Il principale obiettivo del jobs act, nelle parole del Presidente del Consiglio, era il contrasto alla disoccupazione (7 gennaio 2016: “La disoccupazione continua a scendere, oggi 11,3%, e’ dimostrazione che #jobsact funziona.L’Italia che riparte, riparte dal lavoro #lavoltabuona”. Tweet di Matteo Renzi) e invece: disoccupazione 11.6% a dicembre 2015, 12.0% a dicembre 2016….ai ai… diminuita la dose di droga…sparito l’effetto..
Andrea
ottimo commento! per le banche si devono trovare 220mld per i NPL, ma il tema non viene affrontato e il sistema resta in stallo! Fa rider eche le banche chiedano alle imprese di essere patrimonializzate…Per il lavoro Renzi quindi ha creato 242mila nuovi posti meno i 111mila della contrazione autonomi….quindi 131mila, come dire un successo annunciato!
Giangi
Come al solo si tende ad accreditare per “posto di lavoro” chi dichiara all Istat di aver lavorato almeno un ora nella settimana sicché grazie a voucher e Garanzia giovani dato sembra positivo. Ma la realtà è ben diversa…
Giangi
Quanto al dato Inps le sfugge che le aziiende licenziano gli ultracinquantenni per riassumerli con le tutele crescenti.Dunque dovrebbe misurarsi il saldo cessazioni-assunzioni per fascia d’età e si capirebbe meglio il distratro di precarizzazione che si è orodotto.
Vittorio
Il lavoro flessibile si sarebbe dovuto accompagnare a strumenti di welfare dignitosi per l’essere umano: un tetto sicuro nel caso di perdita del lavoro, istruzione e sanità completamente gratuita per tutto il nucleo familiare, nuovi corsi “seri” per la riqualificazione, si sarebbe restituita dignità al cittadino, così come succede in molti paesi europei.
Inoltre quando sono andato in visita in Germania, ricordo di essere stato colpito dall’elevato numero di commessi in un semplice panificio e quindi dal minimo tempo di attesa per prendere del pane; in quel panificio ci tornavo sempre perché non sprecavo la mia giornata. Quando sono ritornato in Italia mi sono accorto che c’era una sola persona per esercizio commerciale, ergo il dipendente in Italia è un costo che si cerca di ridurre al minimo soffocando ancora di più il mercato interno (Ford docet), il darwinismo economico e la forte tendenza a diminuire le risorse umane sta modificando di molto l’economia italiana e le leggi sul lavoro poco potranno fare.
Michele
1) Il jobs act ha resistito alla cgil solo perche il quesito era scritto male, ma l’esito sarebbe stato scontato se si fosse celebrato il referendum. 2) il jobs act é costato 20 mld con risultati modestissimi, ha solo aumentato i profitti = un regalo alle imprese pagato con maggiori tasse. 3) l’ulteriore precarizzazione del lavoro insieme con il disastro dei voucher non aiuta la domanda, non educa le imprese a comportamenti più orientati ad aumentare la produttività e la sostenibilità dei business models.
Raffaele Cauzzi
Penso di non essere intelligente: in un paese in cui la disoccupazione giovanile è al 40% (ma non farebbe differenza se fosse anche al 30 o al 25!) un governo pensa di risolvere il problema con due provvedimenti come quelli varati dal governo presieduto dal signor Renzi. Ecco, non capisco proprio. Anche se mi era sembrato evidente, sin dal loro apparire, che non avrebbero potuto risolvere alcunché, ma solo portare a minime differenze puntualmente registrate dall’ISTAT, che, però, in un paese di 60 milioni di abitanti, risultano del tutto prive di significato. Quanto sopra regolarmente confermato nella (triste) realtà di oggi (e di ieri e dell’altro ieri) in cui chi se lo può permettere (economicamente e psicologicamente) se ne va dall’Italia non solo per lavorare, ma per vivere e non per sopravvivere.
Dott. Garibaldi, al di là dell’essere d’accordo o meno sulla sua analisi, sarebbe opportuno, anche nella poche righe che lavoce.info le mette a disposizione un pizzico di profondità in più nell’analisi della realtà. Altrimenti si rischia di darne interpretazioni approssimative e confuse. E i commenti che precedono il mio formulano esattamente questo tipo di contestazione.
PAOLA BORGHINI
Trovo davvero incredibile che il primo governo che affronta il problema della precarietà e ottiene dei risultati venga letteralmente linciato su questo tema e accusato di aver precarizzato il mondo del lavoro.
Le forme di lavoro precario furono introdotte per la prima volta a livello di legge dal ministro Treu durante il governo Dini e non trovarono mai nessun freno nei successivi governi di centrodestra o di centrosinistra.
Ma queste misure legislative avallarono di fatto forme di precarietà già diffuse, sottoscritte nei contratti nazionali da quei sindacati confederali che ora attaccano qualsiasi misura di questo governo. Sono stata per anni delegata sindacale e dirigente nella FILCAMS dove ogni contratto nazionale esigeva lo scambio su nuove forme di precarietà e so di cosa parlo. Un’intera generazione, che oggi non è più neanche giovane, ma ha già raggiunto i quaranta e i cinquant’anni (con prospettive terribili sul suo futuro pensionistico) è stata rovinata e non ha conosciuto altro che queste forme di precarietà.
Per questo ritengo che, pur con tutte le ombre giustamente messe in luce da questo articolo, avere consentito la stabilizzazione di circa un milione di posti di lavoro non sia una “piccola differenza” e sia uno dei migliori risultati del governo uscente. E penso anche che bisognerebbe essere grati a studiosi come Garibaldi o Boeri che hanno indicato la via del contratto a tutele crescenti.