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Povertà assoluta: aggiornato il metodo di calcolo*

L’Istat ha rivisto la metodologia per calcolare l’incidenza della povertà assoluta. Tra le principali novità il fatto che i prezzi delle singole componenti sono distinti tra le venti regioni. Uno strumento prezioso per definire le politiche pubbliche.

La metodologia rivista

L’Istat ha recentemente rivisto la metodologia adottata per calcolare l’incidenza della povertà assoluta. La struttura generale del metodo rimane quella definita nel primo decennio degli anni Duemila da una precedente commissione di studio (vedi “La misura della povertà assoluta”, Istat 2009), ma vi sono alcune novità significative.

In questo articolo discutiamo solo dei cambiamenti del metodo di calcolo. Sugli effetti che hanno prodotto sui livelli di povertà assoluta nel 2021-2022, si veda un precedente contributo.

La povertà assoluta si differenzia da quella relativa per due principali motivi:

  1. nel criterio relativo la linea di povertà (che distingue chi è povero da chi non lo è) è una certa percentuale del reddito o del consumo medio o mediano della popolazione di riferimento, nel criterio assoluto la linea coincide con il valore monetario di un paniere di beni e servizi il cui consumo è ritenuto essenziale per vivere in condizioni dignitose.
  2. nel criterio relativo la soglia di povertà viene ogni anno aggiornata in base sia all’andamento del reddito medio sia del livello dei prezzi, in quello assoluto cambia solo in base al tasso di inflazione. 

A livello europeo il criterio relativo è di gran lunga prevalente, tanto che l’Eurostat calcola la povertà solo secondo questo metodo, mentre l’Istat utilizza non solo l’approccio relativo (sia in termini di reddito che di spesa per consumi), ma anche quello assoluto. E sono proprio le stime della povertà assoluta quelle più citate sui media e nei dibattiti di politica sociale ed economica degli ultimi dieci anni.

La povertà assoluta dal 1997 a oggi

Nel nostro paese le prime stime della povertà assoluta risalgono al 1997 quando, su sollecitazione dell’allora Commissione di indagine sulla povertà presieduta da Pierre Carniti, un gruppo di studio dell’Istat coordinato da Massimo Livi Bacci mise a punto una metodologia di misura della povertà assoluta che affiancasse i tradizionali indicatori di povertà relativa (vedi “La povertà in Italia”, Commissione di indagine sulla povertà e sull’emarginazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, dicembre 1998). A partire dalla pubblicazione dei dati sul 1998 (vedi “La povertà in Italia nel 1998”, Note Rapide Istat, 14 luglio 1999), l’Istat ha continuato a diffondere annualmente stime della povertà assoluta, a fianco di quelle sulla povertà relativa, con l’unica interruzione nel quinquennio 2003-2008, quando la pubblicazione fu sospesa proprio per permettere la revisione metodologica dei primi anni Duemila. La diffusione dei dati sulla povertà assoluta, riferita al triennio 2005-2007, è ripresa nel 2009 e da allora accompagna di nuovo quelli sulla povertà relativa.

La definizione di un insieme di bisogni essenziali a partire dai quali individuare un paniere minimo di beni e servizi varia ovviamente a seconda del contesto d’analisi. In un paese economicamente avanzato come il nostro, non è assimilabile al concetto di sopravvivenza, bensì a quello di un livello di vita minimamente accettabile definito per convenzione come somma di tre distinte componenti: alimentare, abitativo e residuale (quest’ultima voce include il minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute).

Sotto questo profilo, l’esperienza italiana rappresenta quindi un’applicazione assolutamente pionieristica, rispetto alla quale non esistono standard internazionali consolidati o esperienze comparabili in ambito europeo.

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Le novità

La stima della povertà assoluta ha bisogno però di una manutenzione periodica e ogni tanto deve essere rivista. Questo avviene per tante ragioni: i cambiamenti nelle abitudini, nella tecnologia e nelle scelte di consumo determinano variazioni nel paniere di beni e servizi minimo che una famiglia dovrebbe permettersi per non essere povera, possono cambiare i criteri nutrizionali per stabilire la composizione delle diete individuali, nuovi dati relativi a diverse componenti del paniere diventano disponibili, e così via.

Le linee di povertà definite nel 2009 dipendevano da tre dimensioni principali: tipo di famiglia in base a età e numero dei componenti, area geografica (Nord, Centro e Mezzogiorno), tipologia di comune (centro di area metropolitana, periferia di area metropolitana e comuni con almeno 50mila abitanti, altri comuni con meno di 50mila abitanti).

La revisione del metodo appena conclusa ha riguardato i seguenti aspetti principali:

– le classi di età degli individui passano da 6 a 7

– prezzi differiscono non più tra le tre macro-aree geografiche, ma tra le 20 regioni

– viene aggiornata la dieta alimentare individuale giornaliera raccomandata, considerando anche un numero di beni molto maggiore. Si aggiorna anche il metodo di calcolo dei prezzi dei singoli beni

– cambiano i criteri per individuare i fabbisogni e i valori monetari di energia elettrica e di riscaldamento

– si aggiorna anche la componente residuale.

La popolazione utilizzata per le nuove stime deriva da quella del Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni condotte nell’autunno 2021 (per le vecchie stime i dati erano relativi alla popolazione residente nel 2005, derivati a partire dai risultati del 14° Censimento generale condotto nel 2001).

L’incidenza dell’inflazione per regioni

Una delle principali novità del paniere di beni e servizi essenziali, a parte gli aggiornamenti necessari, consiste nel fatto che i prezzi delle singole componenti sono distinti non più tra tre macro-aree, ma tra venti regioni. C’è quindi un insieme di linee di povertà per ogni regione, che negli anni futuri saranno aggiornate con indici specifici della regione stessa.

Finora sono disponibili le linee calcolate con la nuova metodologia per il 2021 e il 2022 (la ricostruzione delle serie storiche dei principali aggregati di spesa e degli indicatori di povertà è prevista per la fine dell’anno). È quindi interessante sfruttare queste informazioni per due tipi di confronti tra regioni: come sono cambiati i prezzi tra 2021 e 2022 e come si differenziano i prezzi del paniere nelle diverse regioni nel 2022.

La figura 1 mostra la variazione tra 2021 e 2022 del valore del paniere che definisce la linea di povertà assoluta per ciascuna regione. Non è un indice del costo della vita per tutte le famiglie, ma può essere considerato una misura di come l’inflazione ha inciso sulle famiglie a basso reddito. Il paniere è quello di una famiglia di quattro persone, due tra 11 e 17 anni e due tra 30 e 59 anni, che vivono nelle periferie delle aree metropolitane o nei comuni con almeno 50mila abitanti. Si va dall’8,7 per cento in Abruzzo all’11,6 per cento del Trentino-Alto Adige. In media, le maggiori variazioni si rilevano al Nord, ma non c’è una forte differenza tra macro-aree.

Figura 1 – Incremento del valore della linea di povertà assoluta tra 2021 e 2022. Famiglie di due adulti e due minori che vivono nelle periferie delle aree metropolitane o nei comuni con almeno 50mila abitanti

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All’interno di ogni singola regione, si può anche verificare per quali tipi di famiglie i prezzi siano cresciuti di più. In Emilia-Romagna, per esempio, l’inflazione ha colpito decisamente di più le famiglie con anziani: per i nuclei con uno o due over 75enni il valore del paniere è salito di quasi il 15 per cento, in media quasi 4 punti in più di quello delle famiglie giovani con figli. Anche in altre regioni si registra lo stesso andamento.

I dati offrono nuove e interessanti informazioni anche sulla differenza nel costo medio della vita per regione. Nella figura 2 sono riportati i valori mensili del paniere di povertà assoluta per una famiglia tipo con due adulti e due minori nelle regioni, a seconda della dimensione del comune di residenza. Le regioni sono ordinate in base al valore del paniere per le famiglie che vivono nei piccoli comuni (fino a 50mila abitanti). Nell’area milanese, ad esempio, il paniere vale 2.150 euro, a Roma 1.969 euro e a Napoli 1.602 euro.

Figura 2 – Valore del paniere della linea di povertà assoluta per una famiglia con due minori e due adulti nel 2022

Gli stessi dati della figura 2 vengono presentati nella figura 3 sotto forma di rapporto con il valore del paniere regionale più basso, per ognuna delle tre dimensioni urbane. Ad esempio, nei comuni fino a 50mila abitanti del Trentino-Alto Adige il paniere costa quasi il 40 per cento in più di quello dei comuni fino a 50mila abitanti della Basilicata, che ha il paniere che costa meno tra tutte le regioni.

Figura 3 – Rapporto tra il valore del paniere per una famiglia di quattro persone e il valore regionale più basso

Con questo aggiornamento del metodo di calcolo delle linee di povertà assoluta l’Istat attribuisce un’importanza ancora maggiore alla variabilità spaziale dei prezzi, sfruttando informazioni che l’Istituto stesso possiede. Così facendo, emerge una notevole differenza tra i livelli medi dei prezzi a seconda della regione e del tipo di comune di residenza. 

Le stime della povertà assoluta prodotte dall’Istat si riferiscono alla sola dimensione economica, cioè alla capacità di spesa delle famiglie. Il tenore di vita è un concetto più ampio e multidimensionale e dipende anche da fattori come la disponibilità dei servizi pubblici. Spesso questi servizi sono meno presenti e di qualità inferiore proprio nelle zone in cui il costo della vita è più basso. Cionondimeno riteniamo che la revisione della metodologia di stima della povertà assoluta svolta dall’Istat consegni alla politica nuovi e indispensabili elementi di conoscenza per interventi mirati di riforma in tema di politiche pubbliche per l’assistenza, dal contrasto alla povertà al sostegno delle responsabilità familiari alla cura della non-autosufficienza.

* Stefano Toso ha fatto parte della Commissione scientifica inter-istituzionale che ha elaborato la nuova metodologia di stima della povertà assoluta. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell’autore e non riflettono necessariamente quelle della Commissione.

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  1. Mahmoud Abdel

    2.150 euro mensili complessivi per una famiglia di 4 persone che vive nel milanese mi sembra incredibile tolto l’affitto e senza altri averi. Si sopravviverebbe ma sotto alla soglia di povertà IMHO

    • Aldo Piperno

      Quanto si osserva è ragionevole e condivisibile.
      Mi viene in mente che il reddito mensile di 2150 euro non è lontano da quello oltre il quale si è considerati “benestanti” o oltre il quale si riducono o non sono ammessi vari tipi di benefit. Ergo, i ” benestanti” non sarebbero lontani dai poveri !!

  2. Marco Esposito

    Resta un problema di fondo, nella metodologia Istat. L’Istat rileva i prezzi al fine di misurare l’inflazione e quindi per ciascuno specifico prodotto segue il prezzo del più venduto nell’esercizio campione. Ciò vuol dire che il prodotto “pasta” non è necessariamente lo stesso ma può essere una pasta low cost a Napoli e una premium a Milano. Ma la stessa pasta low cost a Napoli può costare quanto a Milano (o con differenze minime). Ciò spiega i notevoli differenziali di prezzo territoriali, inesistenti se ci si reca nei supermercati italiani ad acquistare identici prodotti. In pratica il modello prevede che il “povero” milanese debba acquistare prodotti migliori del “povero” napoletano. E non è tema di poco conto.

  3. Bruno

    non ci sarà mai un calcolo esatto x i poveri, ma solo x i ricchi sarà esatto!!!

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