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I Bric perdono smalto? Guardiamo ai mercati africani

Da almeno quindici anni l’Africa subsahariana registra una crescita sorprendente e sostenuta, con risultati via via in aumento. E gli investimenti esteri hanno oggi un peso simile a quello degli aiuti allo sviluppo. Per le imprese italiane rappresentano un mercato potenziale molto interessante.

L’AFRICA CHE CRESCE

Tra le venti economie in più rapida crescita nel 2014-2018, secondo le previsioni dell’Fmi, una su due si troverà a sud del Sahara. La complicata Nigeria, che grazie a un “rebasing” delle stime del Pil quest’anno dovrebbe scavalcare il Sudafrica e posizionarsi per dimensione (400 miliardi di dollari circa) come prima economia del continente, è ormai sulla bocca di gran parte degli analisti alla ricerca dei prossimi emergenti (a lei spetta la “n” dei paesi Mint, con Messico, Indonesia e Turchia). Ma se è vero che Nigeria e Sudafrica hanno al momento un diverso ordine di grandezza rispetto agli altri paesi della regione, l’espansione economica dell’Africa subsahariana va ben oltre Lagos e Johannesburg. Angola, Ghana, Mozambico, Etiopia o Tanzania sono solo alcuni dei numerosi paesi che hanno contribuito a una crescita regionale sorprendente e sostenuta ormai da almeno quindici anni, con risultati via via in aumento (4,7 per cento medio annuo per la regione tra 2000 e 2012, figura 1).

Figura 1 – Tasso di crescita del Pil (variazione % annua)
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Fonte: Banca Mondiale, World Development Indicators

Non si tratta di mercati facili. L’onnipresente corruzione, un’instabilità politica che resta diffusa e le lacune infrastrutturali sono solo i principali ostacoli per attività commerciali e investimenti. Dal Mali, al Centrafrica, al nord della Nigeria stessa, alla Somalia, le notizie sulle crisi che filtrano nei nostri media continuano a delinearci contesti economicamente poco attraenti. Ma si tratta di un’immagine in parte fuorviante. I paesi a sud del Sahara sono quarantanove, e molti di questi hanno compiuto, e continuano a compiere, grandissimi passi avanti in termini di stabilizzazione politica e sviluppo economico. Oggi sono diverse le ragioni per prendere seriamente in considerazione le opportunità economiche che i maggiori mercati della regione offrono.
Dal punto di vista commerciale, gli scambi con il resto del mondo sono esplosi negli anni recenti. E non si tratta solo di esportazioni di risorse energetiche e minerarie verso la Cina – che ha capito prima di tutti il potenziale dell’area: dal 2000, la quota rappresentata dal continente sul totale del commercio cinese è passata dal 2,2 al 5,1 per cento (2012) – o verso altre economie avanzate o emergenti. (1) Per Pechino stessa, ad esempio, su 198 miliardi di dollari di scambi con la regione nel 2012, ben 85 miliardi erano di esportazioni verso l’Africa (figura 2). Ma anche Turchia, Brasile, India, Corea del Sud, paesi arabi e altri stanno rafforzando la propria presenza, mentre Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno riscoperto un interesse per l’area che era scemato durante gli anni Novanta.

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Figura 2 – Scambi commerciali Cina-Africa, 2012
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Fonte: Unctad

Anche come destinazione di investimenti, il vento per l’Africa subsahariana ha cambiato direzione. Gli investimenti esteri hanno oggi un peso simile a quello degli aiuti allo sviluppo, qualcosa che pochi anni fa sarebbe sembrato a dir poco improbabile. Se è vero che i rischi reali e percepiti della regione restano comparativamente alti, sono almeno in parte controbilanciati dal tasso di rendimento sugli Ide più elevato a livello globale (11,4 per cento medio per il periodo 2006-2011), anche rispetto all’Asia (9,1 per cento). (2) Questa è la ragione per cui non passa settimana senza l’annuncio di un nuovo grande gruppo internazionale che sbarca nella regione, sia esso Nissan, Carrefour, WalMart o Marriott.

GLI OBIETTIVI ITALIANI

Geograficamente, all’Italia mancano pochi chilometri di terra per essere il ponte naturale tra le economie europee e il continente africano. Dal punto di vista economico, la forza che l’Italia ha con i beni di consumo del made in Italy, il settore agroalimentare e le costruzioni infrastrutturali – tre dei settori in maggior crescita – sono ulteriori punti di vantaggio. Non solo, ma il nostro modello di sviluppo industriale, con il ruolo centrale delle Pmi, dei distretti industriali, delle cooperative, si sposa perfettamente con le aspirazioni dei paesi subsahariani di passare dalla crescita alla trasformazione strutturale delle loro economie. E questo può essere un’altra leva su cui costruire relazioni economiche rafforzate con un numero selezionato di paesi africani promettenti, come Senegal, Ghana, Nigeria, Angola, Sudafrica, Mozambico, Kenya ed Etiopia. (3)
Già con il Governo Letta, il ministero degli Esteri, in particolare con il vice-ministro Lapo Pistelli, ha avviato una serie di iniziative per la promozione dei rapporti con i mercati dell’area. Alla fine del 2014 si terrà una conferenza Italia-Africa senza precedenti, che dovrebbe ulteriormente spronare le relazioni economico-commerciali tra il nostro paese e la regione subsahariana. Dal momento però che mancano le risorse e gli strumenti a disposizione degli altri paesi che ricorrono ad analoghi incontri in questi anni (dalla Cina all’India, dalla Francia agli Stati Uniti), è indispensabile che l’obiettivo di questa e di simili iniziative abbia per noi un orientamento diverso. A fianco o al di là dei paesi africani che interverranno, il target devono essere le nostre stesse imprese, in particolare le Pmi, per diffondere, anche laddove oggi è pressoché inesistente, una maggiore coscienza che quelli subsahariani sono sempre più mercati di frontiera su cui puntare.

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(1) State Council, China-Africa Economic and Trade Cooperation (White Paper), The People’s Republic of China, Beijing, agosto 2013.
(2) Unctad, World Investment Report 2013. Global value chains: investment and trade for development, New York, 2013, p.33.
(3) Giovanni Carbone, Gianpaolo Bruno, Gian Paolo Calchi Novati, Marta Montanini, La politica dell’Italia in Africa. Contesto, interessi e scenari della presenza politica e economica italiana nell’Africa subsahariana, Istituto per gli Studi di politica internazionale, Milano, 2013 (scaricabile da: www.ispionline.it).

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  1. rob

    Professore sarebbe possibile in un futuro lontano la realizzazione degli Stati Uniti d’ Africa? Forse la nuova generazione che anche con le migrazioni studia e frequenta l’Europa come l’ America avrà una mentalità capace di capire l’immensa potenzialità di un Continente del genere. Ricco di giovani e di risorse immense.

  2. Confucius

    Le merci che si possono vendere sui mercati di massa africani non troverebbero posto neppure sulle bancarelle del mercato di borgata e non sono quindi adatte alle nostre aziende di produzione (anche in Italia le merci dei mercatini a prezzi stracciati sono tutte cinesi), a meno che non si vogliano vendere Ferrari e bottiglie di Brunello di Montalcino d’annata alle corrotte classi dirigenti locali (ma questo lo stiamo già facendo, o mi sbaglio). Non è un caso che in Africa vendano molto bene le aziende indiane, con prodotti studiati per il mercato interno e che costano meno di un euro al pezzo. Gli investimenti in infrastrutture se li sono accaparrati i Cinesi, che offrono anche il finanziamento a tassi stracciati, visto che hanno un surplus di liquidità ed un orizzonte economico che va oltre la prossima trimestrale, ed accettano pagamenti in natura (leggasi materie prime). Una domanda: se togliamo dal PIL della Nigeria la quota dovuta al petrolio, quanto rimane? Altra domanda: quale dei cinque dipendenti medi delle PMI italiane sarà inviato nell’Africa subsahariana come Export Manager?

  3. alias

    Se si considerano quelle imprese italiane di proprietà o sotto il controllo ad esempio di nigeriani, nordafricani etc. si vedrà che rappresentano un target non marginale e soprattutto in crescita. Le medesime avranno una quota (magari nascosta) d’interscambio cospicua con l’estero, dati i legami con le terre d’origine (rimesse) per tradizione intensi e radicati. Perché non iniziare da lì?

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