Perché va salvaguardata l’indipendenza delle Autorità? Perché la buona gestione degli organismi di controllo dei mercati richiede un’ottica di lungo periodo. E quando il potere politico consolida la sua presa sull’economia si aprono scenari bui.
Bilanciamento necessario tra poteri
“Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente” (Montesquieu). Quantomeno da Montesquieu in poi, abbiamo capito che la sana gestione di un sistema politico richiede un bilanciamento di poteri. Il grande filosofo francese pensava a quella tripartizione a cui siamo stati abituati tra potere legislativo (del parlamento), potere esecutivo (del governo) e giudiziario (del quale è poi fondamentale l’autonomia dai primi due). Diciamolo pure: bello in teoria, ma il nostro sistema politico nazionale ne ha fatto progressivamente strame, con una deriva di cui ci lamentiamo ora, ma che purtroppo viene da lontano.
Da molti anni il parlamento raramente legifera se non su iniziativa del governo. È ormai normale che un magistrato entri in politica e poi, dopo anni, provi addirittura a tornare in magistratura. E tuttora il comportamento di certi magistrati lascia perplessi. Cosicché anche il potere giudiziario – pur con tante meritorie eccezioni – non gode di quella riconosciuta autorevolezza e aura di indipendenza di cui avremmo bisogno. Le “sbavature” di alcuni hanno compromesso la reputazione di tanti.
I tanti modelli di autorità indipendente
Un problema simile si pone per le autorità indipendenti, che soprattutto a partire dagli anni Novanta hanno preso piede anche in Italia. Con la crescente importanza dell’economia, si è compreso che invece del controllo politico diretto su certi settori o funzioni, sarebbe stato più opportuno incardinare alcune competenze presso autorità amministrative indipendenti, e non più presso i ministeri. Così ci siamo dotati di una serie di organismi indipendenti (chiamiamoli “autorità”), dalla Banca d’Italia alla Consob, dalla Agcm all’Autorità per l’energia (oggi Arera) e, infine, l’Autorità per i trasporti.
Per questi soggetti il tema della separazione dei poteri si pone, sicuramente in modo meno fondamentale di quanto indicava il grande Montesquieu, ma comunque in un modo che chi ha a cuore la buona gestione della politica economica ritiene assai importante.
Si tratta di soggetti diversi, ma con molte similitudini. La Banca d’Italia è quella con più tradizione. Nasce a fine Ottocento come istituto deputato a controllare l’emissione della moneta, viene investita della sorveglianza sulle banche dopo la crisi del 1929, quando ci si rende conto che è necessario tutelare il sistema economico dai rischi connaturati alle attività bancarie. Curioso che perfino un governo totalitario come quello fascista abbia preferito incardinare queste funzioni in un organismo che non era diretta emanazione della politica.
Le altre Autorità sono più recenti, figlie dello sviluppo del mercato di borsa (la Consob, del 1974), dello sviluppo dei mercati e della concorrenza (l’Agcm – ossia l’antitrust – del 1990) e della liberalizzazione dei grandi settori a rete prima monopolizzati (l’Autorità per l’energia, acqua e ambiente, Arera, del 1995; quella per le comunicazioni del 1997, quella dei trasporti del 2011). L’Istat è altra cosa, anche se per molti entra nel dibattito anch’essa.
Il mito dell’indipendenza
Nelle direttive europee, il termine “indipendente” significa in primo luogo “indipendente dalle imprese che deve controllare” (e ci mancherebbe…). Quanto meno in Italia – ma prima ancora nel mondo anglosassone che ha inventato il sistema – viene però interpretato come “indipendente dal sistema politico”.
È lo snodo più delicato. Cosa significa? Ed è possibile avere un organismo pubblico che non dipenda dalla volontà del popolo? Per certi versi è un ossimoro, per altri non dimentichiamo che il sistema giudiziario è esattamente questo, un gruppo di persone pagate dallo stato per amministrare le leggi e non per rispondere in modo sistematico al governo o al parlamento. E anche le Autorità sono state create da leggi dello Stato…
Eppure, i collegi che guidano le autorità sono tutti di nomina in qualche modo politica, con gradi di “protezione” variabili; qualche volta la nomina è su indicazione del presidente del Consiglio, altre volte dei presidenti delle due Camere, altre volte è effettuata direttamente dal Parlamento. In alcuni casi il Presidente della Repubblica ha un ruolo diretto, in altri il suo intervento arriva dopo una selezione comunque già complessa e ricca di controlli e verifiche da parte di Commissioni parlamentari.
Quindi, nomine comunque di matrice del nostro sistema politico. E forse non potrebbe essere diversamente. Ma indipendenza non significa solo “nella nomina” – altrimenti il discorso si chiuderebbe subito. Credo che debba significare in primo luogo indipendenza del comportamento. E qui le cose si complicano ulteriormente.
È desiderabile un comportamento indipendente?
La mia personale risposta è nettamente “sì”. Mediamente, chi ricopre incarichi politici tende a far prevalere interessi di breve periodo (farsi finanziare la campagna elettorale; blandire gli elettori con regalie in vista delle prossime elezioni e così via) che male si conciliano con le esigenze di buona gestione degli organismi di controllo dei mercati. Buona gestione che generalmente richiede un’ottica di lungo periodo nella quale, ad esempio, le autorità monetarie non dovrebbero creare troppa inflazione, quelle di regolazione dei settori dovrebbero preoccuparsi di stimolare gli investimenti (dai quali nel lungo periodo dipende la qualità del servizio e la sicurezza delle forniture) e non solo di tenere bassi i prezzi.
Si noti che questo è riconosciuto dallo stesso sistema politico quando il Parlamento, attraverso una legge, conferisce a ciascuna Autorità un obiettivo specifico, privando in tal modo se stesso e il Governo della possibilità di intervenire direttamente su questa materia. E il Parlamento lo fa proprio perché riconosce che preservare quegli obiettivi dalle turbative di breve periodo della politica è alla fine positivo per il sistema economico e sociale. Perché creare un’autorità indipendente, per poi riassorbirla di fatto nel perimetro del Governo?
Nel passato, l’origine “politica” della nomina non ha impedito a tanti ottimi membri dei collegi di operare in modo che non rispondeva alle esigenze elettorali dei politici in carica in quel momento. Ma il comportamento è sempre una questione molto personale e si viaggia sullo stretto sentiero che separa la nomina politica – che potrebbe farsi risalire a una militanza precedente o alla gratitudine – dalla acquiescenza a eventuali richieste improprie. Per fortuna, abbiamo tanti casi positivi; purtroppo ne abbiamo diversi di segno opposto.
Esiste una regola che aiuti a discriminare? No. Abbiamo solo un appiglio debole, ma non ne conosco di migliori: è quella combinazione di competenza e di estraneità ai processi di rappresentanza politica che ha caratterizzato da sempre il vertice di Bankitalia, diversi presidenti dell’Arera (uno su tutti, Pippo Ranci), dell’Agcm (ad esempio, Giuseppe Tesauro). Credo che sarebbe minimale richiedere che al vertice di questi organismi vi siano persone con competenze specifiche nel settore sul quale opera l’autorità in questione (ciò che non è sempre richiesto dalle leggi istitutive) e senza precedenti incarichi politici.
La selezione dovrebbe avvenire in modo trasparente, con un’analisi dei curricula dei candidati che ogni tanto viene effettuata, altre volte – quando la nomina è comunque decisa “a prescindere” – viene invece del tutto ignorata. Non è condizione sufficiente, intendiamoci, e nel passato perfino la Banca d’Italia non ha sempre avuto una gestione impeccabile. Ma d’altronde, se il Barone di Münchhausen narrava di essere uscito da un banco di sabbie mobili tirandosi su per i suoi stessi capelli…
Cosa dobbiamo difendere oggi
Ci sono tanti sintomi della voglia della politica di oggi di occupare in modo prepotente gli spazi di autonomia di Autorità e istituti simili. Dalla candidatura a presidente dell’Istat di una persona molto competente, ma anche molto schierata politicamente, al tentativo di bloccare la conferma di Luigi Federico Signorini a vicedirettore generale di Banca d’Italia, alla candidatura del ministro Paolo Savona alla Consob, per finire – e forse è il tema peggiore – al disegno di legge che vorrebbe sottrarre le competenze sul settore idrico all’Arera, per restituirle alla “politica”.
Tante storie diverse, ma che sembrano legate tra loro da un filo rosso. È una novità? Sicuramente, no. Tanto che lavoce.info era già intervenuta alcune volte sul tema in riferimento all’Istat o all’Agcm. E più di recente qualcuno ha giustamente difeso l’Arera sul tema delle sue competenze in tema di acqua.
Ma chi oggi si lamenta non può dimenticare che, ad esempio, avere un (ex) politico a capo della Consob è quasi normale. Il che non significa che vada bene. Savona non sarebbe che “un altro”, dopo Enzo Berlanda, Luigi Spaventa, Lamberto Cardia o Giuseppe Vegas. Personalmente avrei preferito persone diverse da tutti loro e anche quella di Savona non mi parrebbe una buona scelta. Dopo la parentesi di Mario Nava – purtroppo breve, quanto opportuna – dare l’impressione che il governo voglia tornare a mettere le mani sulle operazioni delle società quotate sarebbe un ulteriore brutto colpo alla credibilità del nostro paese. Nulla di personale, ma che un ministro in carica passi alla Consob mi pare pessimo; ma anche se fosse un ex-ministro o senatore il giudizio sarebbe lo stesso.
Dovremmo tornare a chiedere la separazione dei poteri e ad affermare l’opportunità di affidare certe funzioni – che fatalmente richiedono competenze tecniche importanti – a corpi separati dalla politica. Forse non salveremo la nostra democrazia, ormai minata alla radice. Ma il potere economico passa attraverso le banche, la gestione delle transazioni di borsa, le grandi imprese, le infrastrutture. E quando il potere politico consolida la sua presa su questo, si aprono periodi sempre più bui.
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Savino
Indipendenza si, ma con capacità decisionali, in questo senso politiche. Toninelli, che vede mangiatoie dappertutto, ad esempio, crea cortocircuito con la politica.
serlio
Queste cosiddette autorità indipendenti avrebbero avuto maggiore autorevolezza ed indipendenza se avessero fatto il lavoro per cui vengono pagate; è chiaro che mi riferisco alle numerose banche in grande difficoltà e alle operazioni vergognose che hanno condotto per anni. Della loro effettiva efficacia non se ne parla, ma rimane il punto nodale della vicenda. Si sono limitate ad un controllo formale oppure sono limitate nella loro azione dalle leggi vigenti, oppure non sanno o vogliono fare il loro mestiere (vale a dire tutelare il risparmiatore e così anche il sistema bancario). Di questo sarebbe necessario un approfondimento.
Loris
Ma indipendenza non significa IRRESPONSABILITA’
Michele
Una authority indipendente in Italia è un ossimoro. Infatti è difficile tradurre in italiano l’espressione regulatory capture. Questo sistema di regolamentazione di certi settori dell’economia fa fatica a funzionare bene anche in contesti culturali e etici più favorevoli, dove peraltro è stato inventato. Forse in Italia dovremmo lasciare perdere un tentativo inutile di allinearci a pratiche non autoctone e ritornare a un controllo esplicito della politica con tutto cio che ne comporta. Anche come riduzione dell’ipocrIsia.
Vincenzo Cioffo
Condivido chi punta il dito conto le autorità per gli esempi negativi citati anche dal Prof. Carlo Scarpa, ma penso, come magistralmente viene spiegato dal Prof. Carlo Scarpa, che, ad oggi, non vi sia uno strumento migliore delle autorità per lo svolgimento di certe funzioni che richiedono (purtroppo è così!) importanti competenze tecniche.
Rosario Nicoletti
Io credo che sarebbe saggio rinunziare all’idea di avere “autorità indipendenti”. Le poche volte che mi è capitato di conoscerne la rilevanza, è stato semplicemente un disastro. Basta ricordare il ruolo della CONSOB nell’affare Parmalat. So per certo che le “autorità” costano centinaia di milioni anno. Lavoceinfo dovrebbe occuparsene.
Davide
C’è però un problema di fondo: non ci si può illudere che le autorità “indipendenti” siano per questo illuminate, altruiste, capaci, equilibrate e misericordiose. Altrimenti ricadiamo nello stesso errore che, per secoli, ha portato all’illusione del sovrano illuminato.
I passi in avanti si sono fatti quando ci si è resi conto di questo, e si è puntato sulla limitazione del potere, cioè sul minimizzare i danni, preso atto che il potere pubblico spesso finisce in mano ai poco di buono.
Le autority sono per forza impersonate da soggetti che rispondono agli stessi incentivi economici, di potere, di tornaconto personale, di chiunque altro.
Anche illudersi che siano indipendenti dalla politica è un’illusione, e credo che la magistratura lo dimostri perfettamente. Per cui anche l’autoreferenzialità funziona male, ed affidarsi ad essa un errore.
Per concludere: sbaglio o molte inchieste bancarie degli ultimi anni sono cominciate solo quando è arrivata l’attenzione della BCE, mentre prima per Bankitalia andava tutto bene o quasi?
Henri Schmit
Ho aspettato di commentare; le mie idee sono più teoriche. L’indipendenza è sempre relativa, da qualcosa; assoluta non esiste. Bisogna quindi precisare da quali poteri o interessi un’autorità o una funzione deve essere indipendente. In politica l’Indipendenza si misura in relazione ai partiti, tenendo conto del fatto che la maggioranza di oggi sarà minoranza domani. Per assicurare indipendenza politica, bisogna avere valori condivisi sui quali poggia l’autorità di chi è indipendente rispetto agli altri. Per il Presidente della repubblica i valori condivisi sono la costituzione. Il problema dell’Italia (ma non solo) è l’assenza, l’indeterminazione, o piuttosto l’uso abusivo di valori condivisi. Tutto è guelfi contro ghibellini, decide la maggioranza effimera, spesso manipolata. Che cosa succederà quando l’attuale maggioranza avrà eletto un suo presidente della repubblica? Servirà un altro organo stabilizzante. O sarà la fine?
Davide
Magari sarà la volta buona per rendersi conto che serve un sistema istituzionale e costituzionale che renda innocuo chiunque sia al potere, perchè al potere ci vanno persone più o meno pessime, e quasi mai “illuminati”.
La soluzione, nota da secoli di evoluzione liberale, è che il potere non sia nelle mani di qualche istituzione sovraordinata, ma di nessuno (potere limitato), oppure nelle mani delle singole persone, ognuna col suo piccolo pezzettino indipendente da tutto e da tutti.
Difficilmente sarà chi detiene il potere stesso a capirlo ed a farlo: gli stati diventano liberali quando vi sono costretti.
Sergio Cartabia
Arera pare non avere controllo, in alcune delibere “non si è accorta” di avere favorito la “pratica aggressiva” da me denunciata all’ AGCM di Enel Energia S.p.A. ed ha dichiarato la propria “impotenza”. Le posso inviare la documentazione se interessa. Saluti