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Le misure di povertà durante la pandemia

Nel 2020 è aumentato il numero di famiglie in povertà assoluta. Le misure di povertà si basano sui consumi. Ma in tempi eccezionali alcune famiglie potrebbero aver speso poco non per mancanza di risorse, ma per scelta. Un fenomeno di cui tener conto.

La povertà nel 2020

I dati sulla povertà recentemente diffusi dall’Istat restituiscono un quadro drammatico, come segnala anche Massimo Baldini. Nell’anno della pandemia, la quota di individui in famiglie in condizione di povertà assoluta è salita dal 6,4 al 7,7 per cento, pari a oltre un milione in più rispetto al 2019. L’incidenza della povertà assoluta è aumentata per quasi tutte le tipologie familiari e ripartizioni geografiche; sembrano essersi salvati solo i nuclei più piccoli e quelli con anziani o in cui la persona di riferimento è titolare di un reddito da pensione.

Secondo le misure di povertà basate sui consumi, quale quella adottata dall’Istat, una famiglia è in condizione di povertà assoluta se la sua spesa complessiva è inferiore a quella necessaria per acquistare un paniere di riferimento (il cosiddetto paniere di povertà assoluta) di beni e servizi ritenuti essenziali, che pertanto tiene conto delle caratteristiche della famiglia e del contesto in cui vive. Per la costruzione del paniere, l’Istat raggruppa gli acquisti necessari in tre macrocategorie: quella alimentare, quella abitativa e quella “residuale”. Le prime due sono quantificate sulla base di dettagliate valutazioni oggettive, ad esempio, del fabbisogno nutrizionale, degli spazi abitativi e dei servizi minimi; la terza, definita come il minimo necessario per arredare e manutenere l’abitazione, vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute, è stimata in base alla relazione di queste poste con la spesa alimentare rilevata nei dati e tenendo conto delle caratteristiche familiari.

Al di là delle questioni tecniche, l’interpretazione della misura si basa sull’ipotesi che una famiglia che non riesca ad acquistare le quantità strettamente necessarie di beni e servizi ritenuti essenziali non abbia neanche le risorse economiche sufficienti per raggiungere un livello minimo di benessere. Tuttavia, la misura adottata non distingue se una data famiglia riesce a spendere il minimo necessario per alcuni capitoli essenziali, ma confronta sinteticamente il valore finale del paniere di riferimento con la spesa complessiva della famiglia. Questa riflette, oltre che le effettive possibilità economiche, le preferenze, le esigenze e le aspettative.

Un aspetto da tenere in considerazione

Consideriamo due famiglie identiche e con lo stesso livello complessivo di spesa e ipotizziamo che sia inferiore alla soglia di povertà. Secondo il criterio adottato entrambe le famiglie sono povere, ovvero spendono meno di quanto necessario ad acquistare il loro paniere di riferimento. Se però entrassimo nel dettaglio dei capitoli di spesa delle due famiglie, potrebbe darsi che una abbia speso molto più della soglia minima per i beni alimentari e per i servizi per la casa e abbia speso pochissimo in abbigliamento, trasporti e attività ricreative, mentre l’altra potrebbe mostrare per ogni singolo capitolo una spesa inferiore a quella ritenuta necessaria.

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Le due famiglie sono classificate entrambe come povere, ma la prima non sembra avere problemi ad allocare risorse per soddisfare necessità chiaramente prioritarie. Probabilmente, se avessimo anche informazioni sul reddito ci accorgeremmo che la prima famiglia ha accresciuto i suoi risparmi, mentre la seconda ha speso larga parte dei suoi introiti.

È probabilmente un esempio estremo. In periodi normali e a fronte di shock macroeconomici tradizionali le diverse componenti di spesa mantengono tra loro una relazione pressoché stabile e le necessità minime di una famiglia per condurre una vita decorosa non sono strettamente limitate all’alimentazione e alla casa, ma giustamente comprendono, ad esempio, l’abbigliamento per recarsi al lavoro o a scuola, i trasporti, una puntata al cinema o al teatro, una breve vacanza, qualche intervento di manutenzione dell’abitazione.

Ma il 2020 e lo shock pandemico non sono stati affatto “tradizionali”. Facciamo il confronto con la crisi dei debiti sovrani di un decennio fa, quando tra il 2011 e il 2012 la quota di individui in povertà assoluta salì dal 4,4 al 5,9 per cento, un aumento pressoché analogo a quello delle stime preliminari per il 2020. In quell’anno, secondo la contabilità nazionale, il reddito disponibile lordo delle famiglie diminuì, a prezzi correnti, del 2,8 per cento e la loro spesa per consumi, in Italia o all’estero, dell’1,2 per cento, con una riduzione della propensione al risparmio.

L’indagine sui consumi delle famiglie svolta dall’Istat nel 2012 (e da allora rivista nella metodologia) segnala che la spesa media mensile familiare in beni alimentari e quella per l’abitazione ed energia diminuirono, rispettivamente, dell’2,7 e dell’1,4 per cento, mentre il complesso delle restanti voci di spesa si ridusse del 5,2 per cento (figura 1).

Nei primi tre trimestri del 2020, per cui sono disponibili i dati dei conti dei settori istituzionali, il reddito disponibile delle famiglie è diminuito in misura analoga, del 2,5 per cento. Per contro, nello stesso periodo la spesa delle famiglie è crollata dell’11,2 per cento, comportando uno straordinario accumulo di risparmio; secondo i dati dell’Indagine sulle spese, la flessione si è però concentrata sulla componente “residuale” (-19,4 per cento), mentre la spesa media familiare in beni alimentari è lievemente aumentata (0,8 per cento) e quella per l’abitazione (che include anche interventi di manutenzione) è appena diminuita (-0,4 per cento).

Il confronto tra i due episodi suggerisce che la natura eccezionale dello shock pandemico e delle misure di contenimento abbia alterato profondamente la relazione tra l’andamento della spesa delle famiglie e le loro effettive possibilità economiche e, pertanto, il contenuto informativo della prima circa l’effettivo stato di povertà. In particolare, la flessione della spesa di molte famiglie ha probabilmente riflesso l’impossibilità di realizzare alcune spese dovuta alle misure restrittive, i rischi connessi con le attività ancora possibili come segnalano le indagini della Banca d’Italia, l’inutilità di determinati acquisti come, ad esempio, l’abbigliamento o la maggiore economicità di alcuni consumi realizzati in casa, come ad esempio i pasti. La riduzione della spesa a causa di questi vincoli esterni, pur avendo un significato profondamente diverso da quella causata dall’indisponibilità di risorse, ha però effetti analoghi sulla misura della povertà complicandone l’interpretazione e rendendo difficoltosa la valutazione dell’efficacia degli interventi di contrasto.

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Indicatori eccezionali per tempi eccezionali?

La misura della povertà dell’Istat poggia su consolidate basi teoriche ed è il frutto di un costante processo di affinamento dei metodi e delle fonti. Lo shock pandemico è invece (sperabilmente) un unicum: non ne invalida il senso, ma richiede riflessioni aggiuntive. La ricchezza delle informazioni sottostanti le misure diffuse dall’Istat offre molte possibilità.

Innanzitutto, nel rilascio definitivo si potrebbe affiancare alla misura tradizionale un indice di diffusione della povertà assoluta costruito usando solo la spesa effettiva e quella minima necessaria in beni alimentari e servizi per l’abitazione. Ciò permetterebbe di distinguere le diverse condizioni delle famiglie accomunate da un ridotto consumo di beni e servizi che, socialmente necessari in condizioni normali, sono stati sottoposti a forti vincoli nelle condizioni eccezionali della pandemia. In secondo luogo, si potrebbe sfruttare il dettaglio delle spese rilevate presso le famiglie e usate per la costruzione del paniere per misurare il numero di volte che una famiglia spende meno del minimo necessario per una specifica voce, analogamente a quanto Eurostat fa con l’indicatore di deprivazione materiale. Il confronto in serie storica di queste misure complementari con quella tradizionale non restituirebbe un quadro meno preoccupante, ma avrebbe il pregio di individuare più precisamente i profili familiari meritevoli di attenzione, aiutando il disegno di misure adeguate di supporto.

Vi sono pochi dubbi che la pandemia abbia comportato un considerevole peggioramento delle condizioni economiche di un’ampia parte delle famiglie. Tuttavia, è necessario riflettere in modo più attento sul significato delle misure tradizionali di povertà nei tempi eccezionali che viviamo. Tenere conto del fatto che molte famiglie abbiano speso poco non per carenza di risorse, ma per scelta o per gli ostacoli oggettivi all’acquisto rende giustizia a chi ha effettivamente fronteggiato le difficoltà economiche causate dalla pandemia.

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  1. Marco

    Penso che per integrare il calcolo della povertà sia assolutamente necessario tenere conto anche del reddito familiare e del capitale. Non credo siano rari esempi di persone che guadagnano bene e spendono poco, per i piú svariati motivi: mangiano ancora dai genitori o vengono riforniti da questi, hanno una casa propria o in comodato e dunque non pagano l’affitto, comprano pochi vestiti perché hanno già grandi armadi pieni di vestiti, con smart working non sentono il bisogno di rinnovare gli abiti, per i figli scambiano abiti con gli amici, vivono in zone turistiche e non sentono il bisogno di viaggiare tanto, sono sensibili all’ambiente e cercano di non sprecare inutilmente, vanno a lavorare a piedi o in bici e tornano a mangiare a casa, preferiscono stare in famiglia o con pochi amici, anziché girare per locali.

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