La crisi ucraina riporta l’attenzione sulla nostra dipendenza energetica. Una questione da contestualizzare tra offerta e domanda: la prima è aumentata, la seconda continua a ridursi. Un articolo e un dossier sul tema.
QUANTO DIPENDIAMO DALL’ESTERO?
L’Italia dipende dall’estero per circa i quattro quinti della sua energia primaria e per quasi il 90 per cento del suo gas. Il metano è, nonostante il forte calo dei consumi degli ultimi anni, una fonte chiave nel nostro Paese per la sua centralità negli impieghi domestici, nell’industria e nella generazione di elettricità. Per questo il tema è tornato al centro dell’attenzione con la crisi tra Ucraina e Russia, storicamente uno dei nostri maggiori fornitori.
La dipendenza dall’estero è un dato strutturale per il gas italiano. Che nell’ultimo decennio si è andato però accentuando per il progressivo declino della produzione interna, scesa nel 2013 a circa 7,7 miliardi di metri cubi su consumi totali di circa 70. Un valore che non si vedeva dagli anni ’70.
Anche se non può escludersi una sua ripresa, come non vanno sottovalutate le potenzialità della produzione nazionale di biometano.
Quello che oggi sembra impensierire di più, tuttavia, sono le importazioni, in cui proprio nell’ultimo anno (almeno stando ai dati grezzi sui flussi in ingresso) la Russia ha acquisito una preminenza perfino superiore a quella del passato.
Negli ultimi anni, il gas fornito dall’ex Urss ha contato in media su base annua per circa un 30 per cento dei consumi italiani. Una quota grosso modo pari a quella dell’Algeria. Un altro 10-15 per cento ciascuna veniva dal Nord Europa (Olanda e Norvegia) e dalla Libia e poco meno via nave dai terminali di rigassificazione di La Spezia e Rovigo (in gran parte proveniente dal Qatar).
Con il crollo della domanda di gas dopo la crisi del 2008 anche le importazioni si sono contratte in misura più o meno corrispondente su tutte le frontiere, eccetto nel 2013-14, quando i flussi dalla Russia hanno recuperato (e superato) i livelli pre-crisi, registrando un record storico (1). Nel frattempo tutte le altre fonti sono crollate (v. figura). Nel 2013 il gas russo ha coperto il 50 per cento delle importazioni e il 43 per cento dei consumi e lo scorso febbraio è salito a quasi il 60 per cento delle importazioni.
Ne risulta un quadro di forte dipendenza del nostro Paese da Mosca, che porta con sé l’interrogativo su cosa accadrebbe in caso di interruzione delle forniture. La domanda è resa più pressante dalle criticità presenti su altri fronti. Come la Libia, le cui esportazioni di gas verso l’Italia non sono mai tornate ai livelli pre-guerra (–40 per cento circa) e sono tuttora minacciate dalle turbolenze interne. O come l’Algeria, con alcuni inattesi cali dei flussi sul gasdotto Transmed verificatisi nell’ultimo anno.
Importazioni di gas nei mesi di febbraio 2008 e 2014
Fonte: elaborazione su dati Snam Rete Gas e Staffetta Quotidiana
E SE LA RUSSIA CHIUDE I RUBINETTI?
Tuttavia l’immagine complessiva rischia di apparire più drammatica del dovuto. In primo luogo all’attuale sbilanciamento sulla Russia fa da contraltare il forte sottoutilizzo delle altre infrastrutture di import, che in caso di necessità potrebbero colmare l’ammanco (a un prezzo, naturalmente). Va inoltre tenuto presente che [tweetable]l’attuale straordinaria dipendenza dal gas russo è fondata principalmente su dinamiche contrattuali[/tweetable].
In presenza di un forte calo della domanda interna, infatti, i grandi importatori sono riusciti lo scorso anno a ottenere dall’Algeria una riduzione (in parte temporanea) degli obblighi minimi di ritiro di gas (take or pay). (2) Ciò ha consentito per il momento di accelerare al massimo l’import dalla Russia, verso la quale le imprese sono vincolate da obblighi di prelievo altrettanto stringenti.
Consumi di gas naturale per settore in Italia: Numeri indice (2003=100)
Fonte: Elaborazione su dati Ministero Sviluppo Economico, Snam Rete Gas e Staffetta Quotidiana
Ogni decisione in tema di offerta di gas (3) non può comunque prescindere dall’andamento della domanda, in forte calo negli ultimi anni.
Non è facile prevedere quanto tempo ci vorrà per tornare ai livelli degli anni 2005 (oltre 86 miliardi di mc), 2006, 2007, 2008 (quasi 85 miliardi), prima dell’arrivo della crisi economica, che tuttavia non può essere che una concausa del crollo.
La grande industria, per esempio, ha attraversato una fase di profonda ristrutturazione che è iniziata ben prima della crisi che comunque ha accelerato una corsa alla riduzione dei consumi (e dei costi) energetici, il cui traguardo è considerato un fondamentale fattore di competizione.
Anche per i consumi residenziali e dei servizi non paiono esserci le condizioni per rilevanti aumenti. La metanizzazione del Paese, può considerarsi ormai terminata (4), e il gas naturale ha crescenti concorrenti negli usi: dal pellet, alle pompe di calore, ai piani cucina a induzione. Notevoli, poi, sono le spinte alla riduzione dei consumi dovute agli incrementi di efficienza delle caldaie e degli stessi edifici.
Stesso destino anche per il gas utilizzato per generare energia elettrica. Il termoelettrico consuma ormai il 20 per cento in meno rispetto a dieci anni fa e oltre il 40 per cento rispetto ai massimi del 2007-2008, quando le centrali a ciclo combinato, alimentate a gas, erano state provvidenziali nel colmare il significativo deficit di potenza che accusava il sistema elettrico italiano. Da allora moltissimo è cambiato: al crescente apporto delle fonti rinnovabili si è aggiunta la debolezza dei consumi elettrici. Per questo mese, e per quest’anno, è facile prevedere un nuovo tracollo visto che i bacini idroelettrici sono ricolmi (5) e pronti per produzioni record come già successo nel 2009.
L’unico segmento che continua mostrare vivacità e ottime potenzialità è l’autotrazione, che tuttavia anche nel 2013 non ha superato il miliardo di mc. Le vendite di automobili alimentate a metano nel 2013 sono cresciute del 26 per cento (6), arrivando a pesare il 5,2 per cento sul totale delle immatricolazioni. La questione merita un discorso a parte (7): il gas metano, di grande aiuto per il conseguimento dei target sulle emissioni, oltre ai favori della Fiat, incontra quelli dell’industria tedesca, Gruppo Volkswagen in testa, che oltre a consumarlo sta lavorando non solo per pubblicità a produrlo in casa. (8).
(1) Staffetta Quotidiana del 16 gennaio 2014.
(2) Staffetta Quotidiana del 06 agosto 2013.
(3) Specie se a carico del sistema, cioè dei consumatori.
(4) Resta esclusa la Sardegna mentre va registrata l’istituzione di una cabina di regia per la metanizzazione del Cilento.
(5) Gennaio è stato il terzo mese più piovoso dal 1800 con precipitazioni superiori al 160 per cento rispetto ai valori medi.
(6) Più 5,1 per cento nei primi due mesi del 2014.
(7) Peraltro già avviato su lavoce.info.
(8) Da tempo i tedeschi lavorano a carburanti sintetici, ora lo stanno facendo anche in ottica green.
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Gertsen
L’articolo esamina in modo superficiale le implicazioni politiche della fornitura energetica. La strategia russa non è – e non è mai stata – quella del ricatto (se non fate come dico io, chiuderò i rubinetti), ma quella dell’insostituibilità, che infatti si esprime nella preferenza per la forma giuridica del contratto take or pay. Il potere acquisito consiste in un rapporto di interesse reciproco non sostituibile (o revocabile con costi elevati) con un segmento influente della classe dirigente locale, nel nostro caso ENI. Il condizionamento politico si manifesta ben prima di giungere allo stadio di una crisi internazionale conclamata, con le minacce di sanzioni, contro-sanzioni e relativo dibattito pubblico. E’ lo stesso soggetto locale a condizionare preventivamente la politica estera in modo da evitare la formazione un indirizzo sfavorevole alla Russia. Questo modello è dichiarato apertamente dagli analisti russi ed è stato adottato da tempo non solo in Italia, ma nei confronti di molti paesi europei, tra l’altro con Naftogaz in Ucraina. Per cui i dati qui riassunti sono effettivamente gravi e dovrebbero ispirare una riflessione seria.