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Crisi bancarie, ci risiamo?

Il fallimento di Silicon Valley Bank trae origine da errori del management e carenze della vigilanza. E un ruolo ha giocato la deregulation di Trump sulle banche medie. La gestione della crisi sembra però in grado di evitare un allargamento del contagio.

Gli errori della Silicon Valley Bank

La settimana scorsa una banca statunitense di dimensioni rilevanti (la sedicesima banca del paese) è stata chiusa dalle autorità sotto la pressione dei suoi creditori: la Silicon Valley Bank (Svb). I depositanti avevano avviato un massiccio ritiro dei loro soldi, costringendo la banca a vendere titoli e ad accusare perdite. Un tentativo di aumento di capitale per ripianarle era andato a vuoto. Di fronte all’impossibilità per la banca di rispondere ai suoi impegni verso i depositanti, la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) ha disposto il trasferimento delle attività a un altro istituto creato appositamente. Domenica 12 marzo il governo, di concerto con la banca centrale, ha annunciato che provvederà a rimborsare tutti i depositi della banca fallita, non solo quelli garantiti dal fondo di assicurazione (cioè quelli fino alla soglia dei 250 mila dollari). Nel frattempo, la stessa sorte è toccata ad un’altra banca: la Signature Bank di New York. 

All’origine del fallimento della Svb c’è un clamoroso errore di gestione. La banca aveva un business molto concentrato: raccolta di depositi ed erogazione di prestiti ad aziende californiane del settore high-tech, molte delle quali nuove start-up. Il bilancio della Svb aveva due particolarità. Dal lato del passivo, la raccolta proveniva in larga parte dalle imprese e molti depositi eccedevano il limite dei 250 mila dollari: non erano quindi coperti dall’assicurazione. Dal lato dell’attivo, la banca era molto esposta (per oltre la metà delle sue attività) in titoli a medio-lungo termine e quindi assai vulnerabile di fronte a un aumento dei tassi di interesse: quando questi aumentano, i prezzi dei titoli si riducono. In effetti, l’aumento dei tassi di interesse attuato dalla Fed da un anno a questa parte ha messo in crisi il modello di business della Svb, che sembrava basato sull’ipotesi che i tassi rimanessero fermi (a livelli molto bassi) all’infinito. Un aumento di 4,5 punti dei tassi di policy ha ridotto i prezzi dei titoli in portafoglio e ha messo in allarme i depositanti, che sapevano di non essere coperti dalla assicurazione. Ciò ha scatenato il classico bank run: la corsa al ritiro dei depositi, che ha fatto precipitare la situazione. Trova qui applicazione il modello economico che ha fruttato ai loro autori (Douglas Diamond e Philip Dybvig) il premio Nobel per l’economia l’anno scorso: per sua natura, l’intermediazione bancaria è esposta al rischio di corse agli sportelli, che amplificano gli effetti di un evento negativo. C’è da domandarsi come mai coloro che avevano la responsabilità di gestire la banca non si fossero resi conto che, con il ritorno dell’inflazione e l’inversione della politica monetaria, il mondo era cambiato: occorreva alleggerire l’esposizione al rischio di tasso (oltre a diversificare il modello di business).   

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Vigilanza inadeguata, gestione della crisi efficace 

Se il giudizio sulla gestione della banca non può che essere negativo, quello sulle autorità di vigilanza è più sfumato. Da un lato vi sono state evidenti falle, visto che si è lasciata correre una situazione insostenibile. La riforma del 2018 (sotto l’amministrazione Trump) che ha elevato da 50 a 250 miliardi di dollari la soglia di attività al di sotto della quale le banche sono esentate dalle regole e dai controlli più stringenti, che vengono invece applicati alle grandi banche, ha sicuramente pesato in questa situazione. Dall’altro, si è intervenuti tempestivamente e nella giusta direzione, una volta che il problema è emerso. La Fdic ha provveduto immediatamente al trasferimento delle attività della Svb a un’altra banca di nuova costituzione. Il governo ha garantito tutti i depositi della Svb (e della Signature Bank). Questa mossa è molto costosa e foriera di polemiche: non è mai bello vedere che il conto dei danni provocati dai banchieri viene pagato dalla collettività, che sia il settore pubblico o il sistema bancario (come ha promesso Joe Biden). Tuttavia, è l’unica cosa da fare per evitare che la crisi di fiducia, che ha colpito la Svb, si allarghi e coinvolga altre banche esponendole al rischio di subire un bank run. Il costo di una crisi generalizzata del sistema bancario sarebbe molto elevato per l’economia reale e per il bilancio pubblico stesso: alla fine il conto sarebbe ancora più salato del rimborso dei depositi della Svb. L’esperienza di Lehman Brothers è istruttiva: la scelta di lasciarla fallire e imporre ingenti perdite ai suoi creditori, con l’intento di “dare una lezione ai banchieri”, fu il detonatore della trasmissione a macchia d’olio, anche fuori dagli Usa, della crisi finanziaria.

Le differenze con la crisi del 2007-2008 
Vi sono peraltro importanti differenze tra questa crisi bancaria e quella del 2007-2008, che portò appunto al fallimento di Lehman Brothers. La grande crisi finanziaria fu causata dalla forte esposizione di molti intermediari, non solo americani ma anche europei, verso il settore delle obbligazioni emesse a valle di operazioni di cartolarizzazioni di prestiti, compresi quelli (spesso immobiliari) concessi a debitori di cattiva qualità creditizia (sub-prime): le famigerate asset backed securities (Abs). La crisi fu aggravata dalla carenza di informazioni sul settore delle Abs: chi le deteneva e per quali somme? Come veniva determinato il loro prezzo (spesso al di fuori dei mercati organizzati)? La Svb era invece esposta verso il settore pubblico, detenendo un ampio portafoglio di titoli di Stato: in questo caso, il mercato è molto più trasparente. C’è quindi da ritenere che i motivi per un allargamento della crisi, soprattutto in Europa, siano minori adesso di allora. Certo, resta da stabilire quali istituzioni finanziarie abbiano sottovalutato il rischio di tasso, come ha fatto la Svb: a giudicare dalle quotazioni di borsa, alcuni altri intermediari americani sono al momento sotto la lente dei mercati.

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11 commenti

  1. Savino

    Una cosa è certa: non si può dare la colpa alle Banche centrali che, in Europa e in America, hanno alzato i tassi e saranno costrette a continuare a farlo. Il tema dell’inflazione, che sta a cuore a BCE e FED, è stato completamente sottovalutato dai Governi soprattutto dal punto di vista del consumatore, tant’è che leggo proprio oggi i consumi sono praticamente inesistenti. Il rialzo dei tassi avviene per scoraggiare investimenti a sproposito e non sempre il settore delle start up è oro che luccica.

    • Marcello Romagnoli

      Le banche centrali hanno il dovere di controllo degli istituti di credito. Evidentemente non lo hanno fatto.
      Alzare i tassi in una condizione di inflazione non dovuta a un eccesso di liquidità nell’economia reale non è la scelta migliore

      • Marco Chiodini

        Sulla frase “condizione di inflazione non dovuta a un eccesso di liquidità nell’economia reale” proverei a riflettere un attimo.
        I cosiddetti “sostegni” dati in tempo di pandemia (non solo dall’Italia, ma da tutti i paesi occidentali) cosa sono? Soldi piovuti dal governo senza che vi fosse un sottostante scambio di beni e servizi e senza contro-partite. E cosa sarebbero questi soldi se non un aumento della liquidità nell’economia reale?
        E i soldi dei bonus edilizi cosa sono? Soldi piovuti dal governo per l’acquisto di beni e servizi “per conto terzi”, quindi di fatto come se fossero 120 miliardi piovuti nei conti correnti dei proprietari di immobili senza contro-partite…

      • Emanuele

        Gentilissimo credo lei non abbia mai letto i dati sugli aggregati monetari; 10 anni di QE secondo lei a cosa sono serviti? Non c’è stata nella storia un frangente tanto lungo ed intenso di allentamento quantitativo della politica monetaria. Comunque il problema non è da dove è venuta l’inflazione: dopo un anno il problema è l’inflazione e come riassorbirla

  2. Marcello Romagnoli

    Sta accadendo ancora. La Storia è una buona maestra, ma nessuno la ascolta. Le agenzie di rating quotavano A1 poche settimane fa. Quanto ci si può fidare? Ricordiamo che sono loro a valutare il rischio del debito pubblico delle nazioni. Possiamo fidarci veramente delle loro valutazioni? Gli organismi di controllo pubblici non hanno fatto meglio.

    E’ giusto che a pagare siano i cittadini, magari con ulteriori tagli alla spesa pubblica e allo stato sociale?

  3. Luca Malfatti

    In generale ci si domanda come tutto questo possa essere avvenuto in presenza di un framework regolamentare che riguarda la governance ed il calcolo dei requisiti di solvibilità. Peraltro è evidente a chiunque che “sane regole” di gestione del rischio prevedono una diversificazione dei portafogli (e il calcolo dei requisiti di solvibilità si basa proprio sulla misurazione e gestione del rischio). Mi domando, poi, quali fossero le valutazioni delle agenzie di rating in merito a SVB.

  4. Maurizio Cortesi

    Non capisco perché l’autore equipari il sistema bancario a quello pubblico sostenendo che in entrambi i casi paga la collettività. Non capisco anche perché i ricchi correntisti debbano essere salvati: la diversificazione del rischio è un metodo prudente ed efficace di investimento anche per le persone e le imprese, non solo per le banche. Ho il sospetto che i problemi della Svb derivino dal fatto che gli amministratori assomigliano troppo ai loro correntisti, a conferma di quanto sopravvalutato sia proprio il settore hi-Tech e il suo super istruito capitale umano, che sembra poco propenso al rischio – cioè poter incorrere in perdite – e infatti ricerca sistematicamente il monopolio e le relative rendite. Questo è il vero senso e scopo dei tanto decantati investimenti in ricerca, perché la sinistra anche quando capitalista mira sempre alla pensione, dei professori universitari innanzitutto, e il vecchio sessantottino Biden si è subito premurato di garantirla ai suoi elettori radical-chic.

  5. Marco Chiodini

    Alla crisi attuale può essere data la seguente lettura: durante il Covid i governi si sono fortemente indebitati. I tassi d’interesse ai quali potevano indebitarsi erano estremamente bassi a causa di:

    – bassa inflazione storica (in parte diventata anche artificialmente bassa a seguito dei lockdown)
    – politiche di acquisto di titoli di stato delle banche centrali (soprattutto in EU) mai veramente interrotte a seguito della crisi post-2008
    – mancanza di opportunità per investimenti alternativi, visto che i lockdown avevano ridotto le attività economiche al lumicino

    Succede poi che alla fine della crisi Covid una combinazione di spesa governativa a pioggia mai così alta e strozzamenti nelle catene produttive generano in modo brusco una forte crescita dell’inflazione. Se l’inflazione sta al 10% che valore possono avere quei bond pubblici comprati nel recente passato che magari rendono solo il 2%?
    Ovvio che le banche, avendo prestato una marea di soldi ai governi per finanziare i deficit di bilancio che ci sono stati durante il Covid, stanno perdendo un sacco di soldi. Questo succede perché pochi o nessuno avevano previsto un così potente ritorno dell’inflazione, quindi i tassi di interesse a cui i governi si sono indebitati erano in realtà troppo bassi.
    La situazione non è così diversa dalla crisi dei sub-prime 2008. Solo che stavolta i “junk bonds” non sono i prestiti immobiliari, sono invece le obbligazioni statali sottoscritte nel recente passato a condizioni che sono adesso completamente fuori mercato!

    Come se ne esce? Purtroppo se non si ferma l’inflazione i suddetti “junk bonds” continueranno a perdere valore. E per fermare l’inflazione bisogna passare attraverso rialzi dei tassi e/o riduzione della spesa pubblica. Chi invoca un abbassamento dei tassi sta solo aggravando la situazione (mentre chi dice “regolamentazione” sta solo sparando slogan e non ha capito qual è il problema).

  6. Fabio

    Sinceramente bisognerebbe anche mettere in discussione la qualità della FRB di supervisionare e regolamentare il proprio settore bancario.

  7. Marcello

    Se il fallimento di SVB è generato da una crisi di liquidità, che si trasforma in crisi di solvibilità non vedo cosa ci sia di nuovo. Se i tassi aumentano il valore dei titoli obbligazionari pubblici e prvati si riduce e quindi la banca che vende attività per far fronte alle richieste di lquidità per investimenti più remunerativi nel breve periodo, almeno, fallisce. E’ il mercato belllezza, come ogni manuale di economia insegna. Vogliamo parlare delle migliaia di miliardi di dollari pompati nell’economia globale che hanno preso la strada non di investimenti produttivi, ma della produzione di carta (ttoli) a mezzo di cartaccia? Se la borsa come dice Keynes nel 1936 è dventata solo un casino, dove si scommette e basta, dove i fondamentali delle attività non contano., dove aziende come Amazon che in 26 anni non ha MAI distribuito un dividendo, hanno un P/E inguardabile, perchè vi meraviglaite? Ora si discute se continare ad alzare i tassi e far fallire a catena molte banche e dissanguare i fondi pensione (quelli iglesi sono già falliti, i nostri sono sulla buona strada), oppure far esplodere i prezzi. Verrebbe da dire ai geni delle BBCC come fece la Regina Elisabetta Seconda: “ma come avete fatto a non accorgervi di quello che stacvate facendo?
    Ora siamo proprio nella tempesta perfetta: Gurra, Inflazione a due cifre, Debito pubblico esplosivo, catene del valore interrotte, disoccupazione ….Complimenti proprio un capolavoro.
    Ma tanto “paga sempre Pantalone”

  8. Emanuele

    L’incapacità e l’ignoranza del managment della SVB è un ennesimo esempio di fallimento della teoria dei mercati efficienti. Possibile che “il mercato” nella figura di tutte le parti in questione non si sia mai accorto di queste deficienze?! A posteriori poi siamo tutti bravi e viene sempre possibile, quanto inutile analizzare l’accaduto, ma la domanda che mi pongo è questa: quali e quanti altri casi di deficienze negli intermediari finanziari vi sono in giro? Personalmente ho inaugurato la teoria dei mercati de-ficienti. Nel particolare sono da sempre fautore di una separazione netta tra politica monetaria e vigilanza. Come ebbe modo di dirmi un dirigente della vigilanza, là dove la vigilanza è parte integrante della policy, il fine ultimo non è una vigilanza attiva ma passiva, una moral suasion che in presenza di moral hazard non può certo bastare. Tutti in vigilanza sapevano delle deficienze di alcune nostre banche, poi saltate a carico dei contribuenti, e nonostante questo si rimandava sempre alla “prossima visita”. Non credo che negli USA dove le lobbies sono anche più determinanti sia poi molto diverso. Seguendo il detto puramente anglosassone “i know my chickens”, io sono per una vigilanza “asfissiante” per gli intermediari finanziari. La soluzione trovata in questo caso era l’unica possibile certo, scaricando nuovamente sul debito USA, cosi come fatto dal 2008 ad oggi. Il congresso USA continua a votare anno dopo anno continui sforamenti del debito a pena default: non vorrei che anche questa volta un bel giorno ci si alzasse dal letto e si scoprisse che quegli attivi in bilancio delle banche USA, non hanno più la AA. D’altronde ricordo che già nel 2008 quei titoli tossici, cosi come la Lehman Brothers avevano tutti rating AA. Molti economisti si sono affrettati nel delineare le differenze tra il 2008 ed il 2023. Io leggo ed ascolto tutto e tutti, ma poi mi vado a cercare la mia verità: amo i dettagli, dove spesso si cela la verità. E tra tanti mi sono focalizzato su questo dettaglio: i regolatori ed i politici ci dicono che gli intermediari bancari (non tutti i finanziari) sono più capitalizzati ed hanno degli attivi qualitativamente di livello assoluto rispetto al 2008. Ne sono certo, ma i dati della Federal Reserve hanno mostrato che un record di 152,85 miliardi è stato preso in prestito nella finestra di liquidità offerta a sconto in data 15 marzo. Perchè se le banche sono cosi capitalizzate prendono a prestito (pagando benche a sconto) tanta liquidità, quando nel 2008 non si era andati molto oltre i 100 miliardi? Le banche USA siedono su di minusvalenze “virtuali” per oltre 600 miliardi di dollari. In europa la situazione è anche peggiore perchè a fronte di regole certamente più stringenti, abbiamo tutte medie e piccole banche ne più ne meno che una SVB: la nostra banca più grande, Intesa SanPaolo, capitalizza la metà di quanto capitalizzava la SVB prima del default. Circa la vigilanza non siamo messi meglio degli USA; qualcuno un giorno ci dirà che fine abbiano fatto i 93 miliardi di euro in derivati della DB. Ci spiegherà come sia possibile considerate “sicuro” un attivo di bilancio come quello delle banche italiane che possiedono btp con rating che va da BBB a Baa3 e che riesce a stare dentro all’investment grade, solo grazie a continui interventi della BCE. Per non parlare del fatto che le banche possono contare su di un prestatore di ultima istanza, ma gli intermediari finanziari non sono solo banche; lo stesso problema nell’attivo lo hanno fondi pensione, fondi assicurativi, che non hanno prestatori di ultima istanza. Qualcuno ci dovrà spiegare come si concilia tanta nuova liquidità immessa sul mercato dalle banche centrali con la loro politica monetaria restrittiva in funzione antinflazionistica. Signori non ci siamo!

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