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Transizione energetica e politica industriale: il caso del fotovoltaico

Pandemia, inflazione e guerra in Ucraina hanno reso più difficile il processo europeo di transizione energetica. In più, per il solare c’è da fare i conti con il ruolo predominante della Cina nella produzione di componenti e con la concorrenza degli Usa.

La transizione energetica e i “piccoli problemi” del triennio

Il processo di transizione energetica connesso con gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti nelle Cop (Conferences of Parties) – a partire da quella di Parigi (dicembre 2015) – è stato sicuramente facilitato dal calo del costo delle energie rinnovabili (in particolare solare ed eolico), ormai più convenienti per la generazione elettrica delle energie fossili, inclusi i cicli combinati da gas naturale.

Ma i “piccoli problemi” verificatisi in questo triennio – la pandemia e le sue conseguenze (2020-2021), la risalita generalizzata dell’inflazione dall’agosto del 2021, poi la guerra Russia-Ucraina da fine febbraio 2022 – hanno reso molto più complicato il processo.

L’invasione russa ha inoltre inserito esplicitamente i problemi di carattere geopolitico nella transizione energetica, sottolineando la necessità di ridurre la dipendenza energetica dall’estero in tempi il più possibile brevi.

Si è così recuperata l’importanza di compiere e portare avanti scelte di politica industriale in relazione alla transizione energetica (non è una novità: in Europa, ad esempio, se ne è dibattuto ai tempi della Energiewende tedesca).

Il ruolo della Cina

Se ci focalizziamo sul solare – che ha un peso fondamentale nella transizione energetica – è facile rendersi conto che una politica industriale dove il fotovoltaico svolga un ruolo importante comporterebbe una forte crescita della dipendenza dalla Cina, almeno per quanto riguarda le fasi upstream della sua catena del valore (circa il 50 per cento del valore del prodotto finale).

In effetti, lo sviluppo del fotovoltaico cinese durante l’ultima decade è stato uno dei casi di maggiore successo della politica industriale. Intorno al 2010, nell’industria fotovoltaica mondiale la Cina e altri paesi condividevano una quota di capacità produttiva simile, tra il 15 e il 30 per cento. Oggi l’industria è fortemente concentrata nella sola Cina, predominante in tutte le fasi della catena del valore (tabella 1).

In realtà il predominio cinese è ancora più forte, perché la presenza in classifica di Vietnam e Malaysia è dovuta allo spostamento – nel 2018 – di una parte delle attività produttive cinesi in paesi vicini, per rispondere alla guerra commerciale di Donald Trump.

Nel 2009, ma ancora nel 2014, la metà delle imprese leader mondiali non era cinese, mentre negli ultimi anni non sono di proprietà cinese solo l’americana First Solar e la coreana Q Cells (nata in Germania, ma acquistata nel 2012 dalla coreana Hanwha).

Sin dall’inizio, lo sviluppo dell’industria cinese ha guardato soprattutto alla crescita dei mercati esteri, non di quello interno: nel 2009 il 5 per cento della capacità produttiva bastava per il consumo domestico, il resto era destinato alle esportazioni. Economie di scala ed elevato grado di integrazione verticale raggiunti spiegano il successo cinese in questa industria, mentre i sussidi governativi e il basso costo del lavoro hanno inciso relativamente meno (intorno al 10 per cento ognuno). Oggi comunque, secondo Iea, i costi di produzione in Cina sono minori del 10 per cento rispetto a quelli ottenibili in India, del 20 per cento rispetto agli Usa, del 35 per cento rispetto all’Europa.

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A spiegare la divergenza concorre il costo dell’elettricità – in Cina prodotta per il 65 per cento con carbone – che conta per il 40 per cento dei costi di produzione del silicio policristallino, e per circa il 20 per cento per lingotti e wafer (Iea, 2022b).

Per quanto riguarda il futuro, il Net Zero Scenario dell’Iea – il 14mo Piano quinquennale 2021-2025 non dà indicazioni quantitative precise per il fotovoltaico – prevede per la Cina fino al 2030 una crescita annua almeno del 25 per cento della generazione elettrica da solare, simile a quella – elevata – già sperimentata negli scorsi anni. Per l’industria fotovoltaica cinese significherebbe una sempre maggiore importanza del mercato interno, con il rischio però di rendere sempre meno disponibili per l’estero alcuni minerali, tra cui importante è soprattutto l’argento, di cui si prevede un gap fra domanda e offerta pari al 30 per cento nel 2030.

I riflessi sulla politica europea

La maggiore dipendenza dalla Cina, quale possibile conseguenza della transizione energetica, non è l’unico problema all’orizzonte per i paesi europei. Si è ora aggiunto lo statunitense Inflation Reduction Act (Ira) dell’agosto 2022, con i generosi sussidi alle imprese legati al local content (per il solare vedi pv-magazine, 2022). I soli interventi in campo energetico e climatico – meno del 30 per cento dell’Ira – sono pari allo 0,17 per cento del Pil Usa, per dieci anni: per avere un riferimento, l’intero piano Marshall contava per il 2,1 per cento del Pil Usa di allora.

Ciascuno degli shock esogeni avvenuti (incluso l’Ira) ha dato luogo a una modifica delle strategie di intervento della Ue nella transizione energetica:

  • Il punto di partenza è Fitfor55 del luglio 2021 (come sviluppare in Europa una transizione energetica ancor più estesa di quanto proposto nel Recovery and Resilience Facility – la reazione istituzionale Ue alla pandemia, che si realizza nei Pnrr – portando dal 50 al 55 per cento la riduzione delle emissioni Ue di GHG rispetto ai livelli del 1990);
  • Il RePowerEU del marzo 2022 (subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina: come coniugare la riduzione delle emissioni con l’eliminazione della dipendenza energetica, e in particolare di gas naturale, dalla Russia). Per ottenere il raggiungimento dei due obiettivi si promuove un’accelerazione dello sviluppo interno delle fonti rinnovabili che, nel caso del solare, prevede anche un intervento di politica industriale (EU Solar Strategy) che riguarda a) la domanda (promozione dei tetti solari), b) i meccanismi di regolazione (lo snellimento delle procedure autorizzative), c) il capitale umano (la disponibilità di una abbondante forza lavoro qualificata), d) l’offerta, ovvero il “varo di un’alleanza dell’Ue per l’industria solare fotovoltaica che agevoli lo sviluppo, trainato dall’innovazione, di una catena del valore resiliente dell’industria solare nell’Ue, in particolare nella produzione del fotovoltaico” (Ue, 2022, prima dell’Ira). In esso si fa riferimento anche al sostegno agli stati membri mettendo in comune risorse pubbliche, attraverso gli importanti Progetti di comune interesse europeo (Ipcei).
  • Il discorso sullo stato dell’Unione del settembre 2022, dove si comincia a definire la risposta europea all’Ira del mese precedente.
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Tuttavia il Green Deal Industrial Plan del 1° febbraio 2023 (Ue, 2023) fa parzialmente macchina indietro sull’uso diretto della politica industriale previsto nel RePowerEU: il testo pecca – a detta di molti – di genericità e l’ammissione del solare alla categoria di progetti Ipcei è relegata a una nota del testo, data non per sicura ma possibile.

Non è chiaro quali fattori abbiano rallentato l’impegno europeo nella produzione interna di componenti di fotovoltaico. È probabile però – per i motivi accennati in precedenza – che l’intervento a favore di una produzione diretta in Europa delle componenti tradizionali upstream sia considerato da alcuni stati al di fuori della portata della Ue, mentre resta un obiettivo per l’India o per i paesi Asean.

Resta l’ipotesi di operare solo sui segmenti tecnologicamente più avanzati, come nel caso dell’impianto di Catania da parte dell’Enel Green Power, parzialmente finanziato dalla Ue: ma la prevista replica dell’impianto negli Usa (nota Enel del novembre 2022) sembra mostrare che la concorrenza da parte dell’Ira sta cominciando comunque a dare i suoi frutti.

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  1. Marcello Romagnoli

    Purtroppo c’è una certa miopia di visione anche dal punto di vista tecnico. I pannelli fotovoltaici sono prodotti soprattutto in Cina e questo provoca un diverso tipo di dipendenza energetica: dalle fonti fossili alla tecnologia.
    Esistono però tecnologie sostitutive altrettanto efficaci, non basate sul fotovoltaico, ma su sistemi prodotti nella CE….mi domando perché non si possa ampliare la visione, in nome anche del principio di neutralità tecnologica e ci si debba per forza concentrare solo su alcune soluzioni e non su altre altrettanto valide.

  2. Paolo Vivani

    Non direi che siano più convenienti con questa nonchalance.
    Se si prende a riferimento il principio, per tutte le fonti, di garantire la produzione 365 gg e 24 ore le rinnovabili hanno grandi problemi sia per la loro intermittenza su base giornaliera che su base stagionale. Quindi dovremmo aggiungere i costi a loro carico per eliminare questa flessibilità. E mi pare siano tutti concordi sul fatto che tenere turbogas in std by o ipotizzare montagne di batterie le renderebbe assai più costose di molte altre. Se si continua ad alimentare la visione puntuale del quando c’è il sole a giugno il costo di quel kWh è più basso non diamo, a mio avviso, una informazione corretta.

  3. Lorenzo Luisi

    Nonostante tutto continuo a stupirmi e sempre più a irritarmi delle misere performance dell’Italia nel settore delle energie rinnovabili. Altri Paesi fin dalla prima crisi degli anni ’70 presero sul serio la questione e oggi primeggiano. Un paio di anni fa pubblicai un post su linkedIn con gli esiti del riscontro, sull’ortofoto del 2019 della Regione Puglia, sulla presenza di impianti fotovoltaici in un’area della zona industriale di Bari. Ecco uno stralcio “… Lo Stato Italiano, recependo la direttiva europea 2001/77/CE, ha introdotto un sistema di incentivi del fotovoltaico che prendono il nome di “Conto Energia”: su Bari in più di vent’anni meno del 10% delle imprese ne ha approfittato e in questo momento di penuria di energia sembra essere stato un delitto di autolesionismo …”. Senza considerare che a inizio secolo, proporzionalmente, l’Italia prendeva più gas dall’Algeria che della Russia, poi, eventi internazionali (Primavere Arabe) e amicizie personali (Berlusconi – Putin) hanno cambiato gli assetti commerciali e siamo sempre qui a guardarci l’ombelico …

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