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Statistiche che sfidano il buon senso

I giornali hanno ripreso una ricerca sui salari in alcune province. I numeri sono spropositati, ma non c’è stato alcun controllo con fonti più affidabili. Produzione e recezione acritica di statistiche come queste non aiutano nell’analisi dei problemi.

La classifica dei salari

Qualche giorno fa il Centro Studi Tagliacarne – Centro studi delle Camere di commercio – ha pubblicato un comunicato stampa intitolato: “Salari giù in 22 province su 107 tra il 2021 e il 2019. A Milano busta paga due volte e mezzo più pesante della media” corredato da due tabelle con i dati provinciali sui salari esposti in forma di graduatoria.

I dati sono clamorosi: nel 2021 a Milano (provincia) il reddito da lavoro dipendente pro-capite sarebbe di 30.464,86 euro, a Pavia (provincia) sarebbe di 5.673,98 (un sesto), a Rieti addirittura di 3.317,55 (circa un nono). Insomma, le differenze, anche tra province contermini (Milano e Pavia), senza spingerci al confronto Nord-Sud, sarebbero di dimensioni stratosferiche: se questa fosse realmente la situazione, non si riesce a capire come a Pavia possa rimanere un solo lavoratore dipendente, quando spostandosi a Milano (a mezz’ora di treno) il salario aumenta (mediamente) di sei volte.

Queste statistiche incredibili sono state riprese anche da primari organi di informazione (vedi il Corriere della Sera,), senza alcun commento critico né il minimo dubbio di fronte a sparate così colossali: “Milano è la città dove ci sono gli stipendi più alti d’Italia: in media, nel 2021 un lavoratore dipendente ha guadagnato 30.464 euro. Una retribuzione che supera di due volte e mezzo la media nazionale di 12.473 euro e di nove volte quella di Rieti, provincia fanalino di coda nella classifica retributiva”.

Non dedichiamo tempo a ricostruire il percorso che ha consentito a questi numeri spropositati di venire alla luce, ricavati da elaborazioni/stime – per brevità diciamo incaute – della contabilità nazionale.

Un controllo su dati Inps

Eppure basterebbe poco per almeno avere il senso delle proporzioni e quindi del dubbio: basterebbe controllare con fonti più affidabili, relativamente all’oggetto dell’analisi, come l’Inps, che nel suo sito pubblica le retribuzioni lorde annuali (imponibile previdenziale) e il numero di giornate lavorate per i dipendenti delle imprese private (industria e servizi) per tutte le province italiane, distinguendo i dipendenti anche secondo l’intensità di lavoro, cioè se hanno lavorato tutto l’anno oppure solo per un periodo e se hanno sempre lavorato a full time oppure a part time. Si ottengono in tal modo quattro gruppi, che è utile considerare distintamente – full time-full year (ftfy), full time-part year (ftpy), part time-full year (ptfy), part time-part year (ptpy) – per confrontare i dati delle diverse province quantomeno a parità di intensità di lavoro.

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La graduatoria che si ottiene in tal modo, per il 2021, vede certo Milano al primo posto per quanto riguarda le retribuzioni medie dei dipendenti (31.200 euro, 124 euro per giornata retribuita), ma la differenza rispetto a Pavia non è il sestuplo ma un ben più realistico multiplo di 1,4, che è pur sempre una variazione in aumento del 44 per cento. La differenza riflette essenzialmente quella registrata per i dipendenti ftfy, mentre si riduce sensibilmente, in termini percentuali, se consideriamo i soli lavoratori a part time o a part year.

Se osserviamo l’ultima provincia della graduatoria ottenuta con i dati Inps (Vibo Valentia), la distanza da Milano diventa più consistente, salendo per i dipendenti ftfy a un rilevante +60 per cento. Ma siamo in ogni caso in un territorio lontanissimo dai numeri citati all’inizio.

Non aiuta, all’analisi delle numerose criticità della situazione italiana, la produzione e la recezione acritica di statistiche senza pudore.

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  1. Walter

    A volte l’Istat riesce a stupire, ma vedo che c’è chi riesce ad amplificare le distorsioni della realtà dovute all’impiego di definizioni e classificazioni discutibili e di metodologie troppo rigide…sebbene tutte assolutamnete coerenti con convenzioni internazionali. Sembra che a volte i costruttori di dati non comunichino tra loro e tantomeno guardino fuori dal proprio orticello. Le incongruenze saltano agli occhi soprattutto quando si incrociano dati “ufficiali”, ma non coerenti tra loro, come hanno fatto incautamente al Tagliacarne. Bastava dare un’occhiata ai dati delle dichiarazioni IRPEF dei dipendenti per provincia (che pure forniscono solo una approssimazione dei redditi pro-capite) per capire che qualcosa non andava. La classifica pubblicata dall’autore è certamente più affidabile, ma non tiene conto della diversa composizione dell’occupazione sul territorio (forse ci sono meno manager a Vibo Valentia che a Milano!) e del diverso potere d’acquisto, il che probabilmnete spiega perchè non si vedono migrazioni bibliche di lavoratori dalle province “povere” a a quelle più “ricche”.

    • Renato Fioretti

      Bruno Anastasia è stato molto benevolo nell’esprimersi in termini di “sfida al buon senso” per contestare i dati contenuti nel comunicato stampa del Centro studi (?) Tagliacarne. Immagino che il buon Marco Travaglio – ricorrendo a una definizione a lui molto cara – avrebbe sintetizzato il tutto in termini di “puttanate”! Il fatto che quotati quotidiani nazionali si siano limitati a riportare le suddette stupidaggini, senza avvertire l’esigenza di verificare l’attendibilità della fonte, conferma, purtroppo, la scadente qualità dell’informazione italiana e lo stato comatoso nel quale versa la stragrande maggioranza dei suoi principali interpreti. Resta, però, da rilevare che, quando si parla retribuzioni “medie”, si considerano valori che presentano differenze rilevantissime. Già contribuirebbe a far comprendere meglio il fenomeno il semplice ricorso alla retribuzione “mediana” per settore di attività.

    • Bruno Anastasia

      Concordo. La classifica che ho pubblicato si limita a isolare l’effetto della diversa intensità di lavoro (orario o periodo lavorato), sufficiente per lo scopo dell’articolo. Poi certo, per spiegare le differenze salariali territoriali, contano tutti gli effetti di composizione (sostanzialmente la diversa distribuzione territoriale dell’occupazione per ccnl e per qualifica). A parità di ccnl, di qualifica e di livello le differenze si restringerebbero ulteriormente.

    • Carmela Squarcio

      Buongiorno, per quanto riguarda i risultati emersi dello studio citato in questo articolo, volevo sottolineare che i dati utilizzati non sono elaborazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica, che non produce stime sui reddito da lavoro dipendente a livello provinciale.

  2. Ilaria

    Buongiorno,
    ha fatto qualche ipotesi su come siano arrivati a numeri così strani? Sto cercando indizi a partire da dati di contabilità territoriale di Istat, ma a livello provinciale non si va oltre il valore aggiunto pro capite. E comunque non trovo da nessuna parte differenze eclatanti, come invece emerge da questo studio: “il peso in termini pro-capite del reddito da lavoro dipendente sul totale del reddito disponibile è rimasto stabile intorno al 63% (…) Ai due estremi di questa forbice, come abbiamo visto, si trovano Rieti con il 23,9% e Milano con il 90,7%” (?).
    Grazie

    • Bruno Anastasia

      Buongiorno, non ho fatto nessuna ipotesi specifica (oltre quanto ipotizzato nell’articolo cioè qualche maldestra rielaborazione/stima a partire da dati di contabilità nazionale mescolati con altro) per capire come si sia arrivati a numeri così strani e a conseguenze incredibili come il fatto da lei citato che a Milano il 90,7% del reddito disponibile dipenda dal reddito da lavoro dipendente. Il problema non è tanto la produzione di stime del tutto implausibili (può capitare quando si prova a derivare delle stime per sub-aggregati utilizzando indicatori tratti da fonti diverse) quanto la nonchalance con cui vengono pubblicate e rilanciate.

  3. Giacomo

    Certo che dal Tagliacarne una cantonata del genere non me la sarei aspettata. Ma possibile che non hanno nessuno che controlli quello che fanno? Passi per i giornalisti (che si sa che non si fanno domande e scrivono copiando i comunicati stampa) ma quelli del Tagliacarne dovrebbero essere ricercatori!

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