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Quando le crisi finanziarie diventano sistemiche

Le crisi finanziarie creano molti danni, ma sono anche messaggi utili per regolatori distratti. L’ultimo caso sollecita la ricerca di regole più semplici, uniformi e trasparenti, per governare scenari di incertezza per far fronte a eventi imprevisti.

L’inizio della crisi

Le crisi finanziarie creano molti guai disseminando i loro virus in giro per il mondo, ma per regolatori distratti rappresentano anche utili messaggi e salutari sveglie. Quello che è successo negli ultimi giorni lo conferma, ma con alcune peculiarità e qualche insegnamento in più per guardare al futuro. L’articolo di Angelo Baglioni spiega bene le ragioni che hanno generato il default della Silicon Valley Bank: un misto di violazione di fisiologiche prassi gestionali, omissioni di vigilanza, alleggerimento dei controlli, il tutto in un quadro aggravato dal peggioramento delle condizioni economiche e dai mutamenti della politica monetaria (ma i controlli dovrebbero servire proprio a incrementare la resilienza in scenari avversi). Eppure, nonostante queste specificità – che oltretutto riguardavano una banca di ridotte dimensioni con un modello di business specialistico e settoriale, le società di start up – le autorità sono state subito costrette a correre ai ripari con un cordone sanitario per evitare che la falla tracimasse in mercati già spaventati.

Uno spavento senza sosta perché qualche giorno dopo i sinistri scricchiolii di una grande banca internazionale hanno nuovamente indotto le autorità monetarie, questa volta della sonnacchiosa e felpata Svizzera, ad aprire il portafoglio. Il salvataggio di Credit Suisse tramite l’intervento di Ubs si inserisce, infatti, in un quadro complesso di misure che contemplano anche forti iniezioni di liquidità alle due banche per complessivi 100 miliardi di franchi e una serie di facilitazioni per l’acquirente con garanzie pubbliche contro possibili rischi (come cause legali, esuberi e altro).

Banche piccole e rischiose

Negli Usa l’intervento della Federal Deposit Insurance Corporation che si è presa in carico il default, è avvenuto non attraverso i soliti canali, ma con il “sistemic risk exception”, un meccanismo di coordinamento di tutte le autorità (la stessa Fdic, il ministro del Tesoro e la Federal Reserve) impegnate a garantire con il sostegno pubblico le esposizioni della banca, ben al di là della copertura obbligatoria dei depositi entro la soglia dei 250 mila dollari. Un intervento di carattere eccezionale non tanto perché conferma una costante nella storia e cioè che dalle crisi bancarie si esce in maniera rapida ed efficiente solo facendo ricorso alle finanze pubbliche, ma perché riconosce il carattere contagioso anche di un crisi circoscritta: il too many to fail, con i regolatori che devono imparare a non sottovalutare il pericolo sistemico di tante piccole patologie. Possono esserci intermediari le cui dimensioni e diramazioni (è il caso del Credit Suisse) rappresentano ovvi veicoli di contagio, ma collocandosi nei nodi delle interrelazioni con altri soggetti si può comunque generare un effetto domino a prescindere da valore degli asset e caratteristiche operative.

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Al rischio sistemico si è in realtà già cominciato a pensare subito dopo la crisi del 2009 con la nascita di diversi organismi per analizzarlo e prevenirlo. Negli Stati Uniti il Financial Stability Oversight Board e sul piano internazionale il Financial Stability Board, che ha il mandato di indagare le vulnerabilità del sistema finanziario globale e indicare le misure per farvi fronte.

Pensare come un sistema

Ma proprio gli ultimi segnali impongono una manutenzione e una più coraggiosa riforma dell’apparato dei controlli sistemici su più direttrici fra loro intimamente connesse.

La prima riguarda gli standard da adottare per definire il concetto di Systemically Important Financial Institution (Sifi), bilanciando meglio parametri che guardano alla entità, e appunto alla dimensione, con altri che guardano alla tipologia di attività svolta, tenendo conto che anche le istituzioni non financial diventano sempre più rilevanti. Pensiamo soltanto alle grandi piattaforme bigh tech, con un modello di business al cui interno sono sempre più aperti i vasi comunicanti tra entità che offrono servizi commerciali, di pagamento e creditizi e infrastrutture informatiche a operatori finanziari. La seconda concerne il presidio di tutto il segmento della cosiddetta finanza decentralizzata, un ombrello sotto il quale c’è la varietà dei cripto asset che aspirano a sostituirsi ai canali più tradizionali dell’intermediazione e che stanno progressivamente generando livelli di interdipendenza con una maggiore pericolosità per la stabilità complessiva dei mercati.

L’ultima direttrice investe la governance degli organismi internazionali i cui compiti dovrebbero evolversi verso un approccio integrato con i presidi contro la diffusione del rischio macroeconomico accompagnati da più dirette e stringenti capacità degli interventi di vigilanza: la disinvoltura dei vincoli sulla liquidità di una piccola banca statunitense che si riversa rapidamente in Europa, dove le misure in materia sono decisamente più stringenti, insegna molto sui rischi sistemici di una frammentazione dei controlli. D’altronde, quando i buoi sono già scappati dalla stalla, e questa volta è il salvataggio ben più oneroso di Credit Suisse a raccontarcelo, è alla fine sempre necessario un rapido coordinamento dell’azione delle banche centrali e quindi, tanto vale pensarci prima con un impegno comune per adeguate misure prudenziali.

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Regole ed emozioni

C’è, infine, un’ultima direttrice che investe modalità comportamentali e limiti cognitivi che caratterizzano le reazioni dei mercati, spesso guidate – la storia lo insegna e lo abbiamo nuovamente sperimentato in questi giorni – da fattori emotivi e irrazionali. Il fatto che questa consapevolezza si diffonda anche tra coloro che si occupano di regole e controlli può quantomeno contribuire a un rule making più semplice, uniforme e trasparente che trasmetta messaggi chiari ai mercati, favorendo, nella misura più ampia possibile, il governo di scenari di incertezza destinati a durare a lungo e la capacità di far fronte a eventi imprevisti.

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  1. Emanuele

    Al fine di una più corretta trattazione della questione credo sia importante distinguere le due parti: economica, finanziaria/regolatoria. Sulla parte finanziaria/regolatoria che qui viene trattata, personalmente sono molto estremista. Seguendo l’adagio tipicamente anglosassone “i know my chickens”, ho da sempre auspicato una disciplina che non ho problemi nel definire asfissiante sugli intermediari finanziari. Il moral hazard che si viene a configurare in queste attività, dove si tende a spingere sulla privatizzazione degli utili ed una socializzazione delle perdite, determina appunto uno stato di crisi sistematiche e ricorrenti da scaricare sul bilancio pubblico. Non è un caso se proprio dagli USA, dove le lobbies lavorano sempre a pieno regime, viene la tendenza ad una deregolamentazione in nome di una ipocrita libertà nel fare azienda. Io credo che il problema qui sia anche peggiore che nel 2008 semplicemente perchè oggi, con un debito aggregato mondiale ai massimi storici, sia la politica di bilancio che la politica monetaria non hanno più munizioni nel loro arsenale.

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