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Istruzione, un investimento strategico*

Il livello di scolarizzazione cresce nel nostro paese. Persiste però il fenomeno dell’abbandono, con un rischio più elevato per i ragazzi delle famiglie più povere. Per contrastare il fenomeno occorre investire nelle varie articolazioni dell’istruzione.

Quantità e qualità del capitale umano

Le narrazioni sull’istruzione sono contradditorie: qualcuno sostiene che gli italiani siano troppo istruiti e altri che lo siano troppo poco; ci si preoccupa di quale liceo scegliere eppure ancora tanti giovani abbandonano la scuola, mancano gli operai ma crescono i laureati; la scuola deve educare alla vita o preparare al lavoro, più inglese o meno inglese, pubblica o privata?

Nella popolazione italiana tra i 18 e74 anni, 41 persone ogni 100 hanno conseguito al massimo le medie inferiori, 42 un diploma di scuola media secondaria, 14 una laurea e solo 3 un titolo post-laurea (master o PhD). Se però si approfondisce lo sguardo osservano alcune disaggregazioni della popolazione, è possibile cogliere le profonde trasformazioni demografiche e l’evoluzione dei fenomeni legati alle riforme della scuola e dell’università che si sono stratificate nel corso degli anni.

La figura 1 mostra gli stock di persone per titolo di studio conseguito e l’incidenza dei laureati e di chi ha titoli post-laurea sul totale della popolazione, ricavato dall’indagine Inapp Plus 2021. Effettivamente, l’incidenza aumenta significativamente negli ultimi anni, ma su coorti di studenti sempre più magre, lasciando prefigurare una carenza di personale altamente qualificato nel prossimo futuro. Sono presenti nel mercato del lavoro disallineamenti sempre più complessi: economici (retribuzioni richieste e ottenute), territoriali (l’offerta non è dove c’è la domanda), educativi (la domanda richiede conoscenze e competenze diverse da quelle offerte).

Figura 1 – Stock di capitale umano per genere, area geografica ed età (v.a.) e quota laureati e post-laureati (%)

Fonte: elaborazione degli autori su dati dell’Indagine Inapp-Plus, 2021

Eppur si muove (la scuola)

Negli ultimi decenni, l’impianto gentiliano del sistema educativo è stato investito da numerose riforme che hanno ampliato le possibilità, moltiplicato i percorsi e accresciuto l’offerta formativa. Non sembra però che, alla fine, siano riuscite più di tanto a rendere l’istruzione un meccanismo di affermazione sociale.

La tabella 1 ricostruisce la composizione dell’istruzione di chi ha conseguito un titolo post-terza media rispetto al genere, il territorio e l’età. La classe d’età registra l’effetto del tempo sull’istruzione: la crescente esigenza di competenze di livello medio-alto in ambito tecnologico si riflette nella crescita del liceo scientifico nella scuola secondaria superiore. La scelta universitaria, dove ovviamente il nuovo ordinamento si è progressivamente sostituito al vecchio, registra un progressivo aumento dei laureati a complemento dei soli diplomati.

Non uno di meno

Indipendentemente dalle criticità che caratterizzano i percorsi educativi e i processi di transizione al lavoro, a un più elevato livello di istruzione continua a corrispondere una maggiore probabilità di trovare una occupazione stabile e di qualità, soprattutto in un mercato del lavoro più complesso, dove cresce la domanda di lavoro qualificato.

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Ma, allora, perché si lascia la scuola? Da un lato, abbiamo la mancata iscrizione a un corso di istruzione superiore e dall’altro l’abbandono di un percorso formativo avviato. Nonostante un progressivo innalzamento del livello di scolarizzazione della popolazione, il fenomeno dell’abbandono è purtroppo ancora rilevante nel nostro paese, con un rischio più elevato per i giovani che appartengono alle famiglie più povere (Rapporto Plus). In dettaglio, dopo essersi iscritti alla scuola secondaria superiore, quasi 4 milioni di persone hanno abbandonato senza conseguire un diploma: sono più uomini (62 per cento) che donne (38 per cento); il 30 per cento è nel Mezzogiorno, ma oltre il 50 per cento è nelle regioni settentrionali. Peraltro, ben 11,7 milioni di concittadini non si sono proprio iscritti alla scuola media superiore. Ben 5 milioni di diplomati che si iscrivono a percorsi universitari senza portarli a termine rappresentano un significativo dispendio di tempo e sciupio di risorse, personali e collettive. Nelle figure 2 e 3 si mostra il dato sull’abbandono della scuola secondaria superiore e dell’università relativo alle classi d’età più giovani. Si riduce l’abbandono rispetto alla mancata iscrizione: si preferisce interrompere definitivamente il percorso scolastico senza ulteriori tentativi.

Figura 2 – Per chi ha le medie inferiori: si è  iscritto ad un corso di scuola secondaria superiore o di qualifica professionale?

Fonte: elaborazione degli autori su dati dell’Indagine Inapp-Plus, 2021.

Figura 3 – Per chi ha solo il doploma: si è iscritto ad un corso universitario di qualunque tipo?

Fonte: elaborazione degli autori su dati dell’Indagine Inapp-Plus, 2021.

Ma quali sono le motivazioni per le quali si interrompe un percorso formativo? Il 40 per cento indica una offerta di lavoro, il 30 per cento sopraggiunti problemi familiari; il 20 per cento attribuisce la causa dell’abbandono a un rendimento basso e solo il 10 per cento indica il disinteresse per il percorso scelto.

Al di là di una quota fisiologica di persone che possono cambiare idea, i dati suggeriscono la necessità di un accompagnamento personalizzato e di un orientamento efficace.

Selezione naturale o sistematica

L’istruzione post obbligo deve necessariamente prevedere la possibilità di una selezione al fine di garantire che il percorso scolastico sia stato fatto con profitto e si siano acquisite le competenze minime. Come conciliare questa necessità (implicita) con l’esigenza di contrastare l’interruzione e l’abbandono del percorso scolastico?

Sovente leggiamo di quali siano i licei migliori che consentono più rapide carriere universitarie. Tuttavia, forse dovremmo prioritariamente porci la questione di quali istituti, nonostante l’ambiente, la famiglia d’origine, i modesti aiuti allo studio, consentono comunque di elevare il livello scolastico (e quindi il benessere futuro) delle nuove generazioni. In generale, i percorsi che più di rado conducono a un titolo universitario (figura 4) sono quelli dei diplomati negli istituti professionali (poco meno del 10 per cento) o di coloro che dispongono di una qualifica o di un diploma professionale. I diplomati degli istituti tecnici ottengono un titolo accademico in circa il 17 per cento dei casi. Il 31 per cento di coloro che provengono da un istituto magistrale/liceo socio-psico-pedagogico/liceo scienze umane ha conseguito una laurea. I liceali che si laureano provengono per il 52-53 per cento dal liceo classico e scientifico e per il 37 per cento dal linguistico. I titoli di studio post-universitari sono ancora quantitativamente marginali nel quadro dell’ampia fascia d’età considerata: solo il 5 per cento dei laureati ha conseguito un master o un dottorato di ricerca.

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Figura 4 – Esito del percorso scolastico per tipologia di diploma (%)

Fonte: elaborazione degli autori su dati dell’Indagine Inapp-Plus, 2021.

Vitamina I

In buona sostanza, l’istruzione (intesa come educazione, scuola, formazione, viaggi, esperienze, elaborazione individuale e collettiva, formale e informale, professionale e generale) fa bene, sempre. È la vitamina I, e come tutte le vitamine non la produciamo da soli, abbiamo bisogno di prenderla per tutta la vita, ma in dosi maggiori durante lo sviluppo, per avere una esistenza completa, un lavoro di qualità, compiere scelte oculate e governare i rischi che il mondo ci presenta. L’educazione è come la salute: si apprezza di più quando manca.

Quello che emerge da questa rassegna è come il livello formale di capitale umano stia crescendo, coerentemente con un mondo più complesso, in cui conoscenze e competenze devono essere sempre adeguatamente manutenute. Tuttavia, i livelli attuali sono ancora troppo bassi e spesso risentono del contesto d’appartenenza. Investire in istruzione – in tutte le sue articolazioni e il più precocemente possibile – è una questione strategica per il paese, al pari della dotazione infrastrutturale o dell’equilibrio finanziario.

*Le opinioni espresse non impegnano necessariamente l’Istituto d’appartenenza

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Dopo-pandemia: le donne tornano al lavoro, ma è di basso livello*

  1. Savino

    A quanto è stato fatto in questi anni pare che buttare i soldi in bonus, redditi di cittadinanza e perfino buttare i soldi del PNRR sia lo sport nazionale preferito. Gli italiani, come popolo, e non solo i politici, la vedono proprio in maniera completamente sbagliata, sognando di fare la bella vita da vecchi su qualche spiaggia a prendere il sole, in barba allo Stato, ai giovani, ai bambini, al benessere di tutta la società. Non faremo grandi passi in avanti finchè avremo così tanto egoismo aggressivo intorno a noi.

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