Lavoce.info

Due misure al posto di una: come cambia il sostegno contro la povertà

L’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro sono le due nuove misure istituite per sostituire il Reddito di cittadinanza. Cosa cambia e quali sono gli effetti nel contrasto alla povertà? Quali sono le possibili alternative?

Requisiti di accesso, importo, durata e condizionalità

L’Assegno di inclusione (Adi) e il Supporto per la formazione e il lavoro(Sfl) sono le due nuove misure che il decreto Lavoro, simbolicamente emanato il 1° maggio, istituisce in sostituzione del Reddito di cittadinanza. Cosa cambia e quali sono gli effetti nel contrasto alla povertà?

L’Assegno di inclusione partirà dal primo gennaio 2024. È una misura riservata ai nuclei familiari poveri in cui sia presente almeno un componente disabile, oppure minorenne, o over-60. Si tratta di caratteristiche associate, nelle considerazioni del legislatore, a una condizione di non occupabilità.

Il Supporto per la formazione e il lavoroentrerà in vigore già a partire dal primo settembre 2023 ed è invece una misura riservata agli individui tra i 18 e i 59 anni, a forte disagio economico, che vivono in nuclei in cui non vi siano componenti minorenni, con più di 60 anni o con disabilità. Sono eleggibili alla misura anche i componenti di nuclei beneficiari di Assegno di inclusione, che però non sono considerati nella scala di equivalenza utilizzata per definirne importo e requisiti di accesso.

I requisiti economici e la durata sono invece diversi per le due misure (per un confronto tra lo schema governativo e il Reddito di cittadinanza si veda la tabella 4).

I cambiamenti riguardano numerosi aspetti. In generale, quello che più si modifica è il requisito di residenza anagrafica per gli stranieri (passa da 10 a 5 anni), mentre diventano più stringenti una serie di altri criteri, sulle soglie Isee (più basse per i percettori di Sfl), sulle scale di equivalenza (significativamente meno generose per i nuclei con soli componenti adulti senza carichi di cura), sul supplemento affitto (negato ai percettori del Sfl) e sulla durata del beneficio, che lasciano presagire modifiche non trascurabili nel numero, nella composizione dei beneficiari e nella efficacia redistributiva delle misure.

Gli effetti redistributivi della riforma

Utilizzando il modello di microsimulazione MicroReg di Irpet con i dati campionari Eusilc di Istat, è possibile quantificare gli effetti redistributivi delle nuove misure rispetto al Reddito di cittadinanza. Le simulazioni sono state effettuate assumendo un take up (numero di domande presentate rispetto agli aventi diritto) in linea con quello osservato per il Reddito di cittadinanza nel dicembre del 2022. La tabella 1 restituisce i principali risultati, relativamente al grado di copertura e alle risorse dei due nuovi istituti di contrasto alla povertà.

Leggi anche:  Una questione di opportunità: così la povertà nega il futuro ai bambini

Secondo le nostre simulazioni, rispetto al Reddito di cittadinanza, i beneficiari delle due nuove misure governative diminuiscono di circa 300 mila nuclei familiari (-21 per cento) e 700 mila individui (-24 per cento), con una flessione di risorse pari a circa 1,9 miliardi di euro (-24 per cento).

Queste cifre si riferiscono a un arco temporale ipotetico, relativo a 12 mesi di contemporanea vigenza delle due misure, ma sono destinate a ridursi nel tempo perché il Supporto per formazione e lavoro non può essere rinnovato per i medesimi beneficiari. A regime, considerando sia l’uscita dalla misura di coloro che hanno già usufruito del Sfl sia i nuovi ingressi, i beneficiari di una forma di sostegno – Adi o Sfl – calano rispetto al Rdc di ulteriori 220 mila nuclei.

L’abolizione del Reddito di cittadinanza e l’introduzione delle due nuove misure indebolisce l’efficacia e l’efficienza dell’intervento pubblico nel contenere il fenomeno della povertà.

Consideriamo in povertà assoluta i nuclei con reddito disponibile familiare inferiore alle soglie di povertà assoluta stimate dall’Istat, sulla base di un paniere di consumo vitale differenziato per area geografica, numero ed età dei componenti. I nuclei in povertà assoluta, applicando le soglie allo spazio dei redditi, sono – in assenza di misure di contrasto alla povertà – il 6,6 per cento delle famiglie italiane. La quota viene ridotta al 3,7 per cento in presenza del Rdc. Con le due misure governative la povertà assoluta risale al 4,9 per cento. In più Adi e Sfl hanno una minore capacità di coprire il gruppo dei più bisognosi, rispetto al Rdc. La quota di nuclei in condizione di povertà assoluta beneficiari scende infatti dal 60 al 46 per cento.

Anche in questo caso, i valori si riferiscono a un primo anno a regime delle misure, perché dopo 12 mesi la netta flessione dei beneficiari del Sfl (non rinnovabili) ridurrà ulteriormente l’efficacia complessiva dei due istituti nel contrasto alla povertà. 

La proposta Caritas

Lo schema governativo sostituisce una misura universale (Rdc) con una misura categoriale (Adi), identificata su base demografica attraverso una mera e semplice associazione fra l’età e l’occupabilità. Così operando, da un lato, in violazione dei principi di equità orizzontale, stabilisce che vi sono individui e famiglie più meritevoli di tutela, indipendentemente dalla loro effettiva condizione economica. Dall’altro, considera i 18-59enni tutti ugualmente occupabili, senza pesare le differenze in termini di storie lavorative e di profilazione, che viceversa incidono in modo importante sulle probabilità di trovare un lavoro. 

Leggi anche:  Se la povertà diventa una "questione settentrionale"

Per superare questi limiti Caritas propone di mantenere lo schema a due misure del governo. Ma con alcune modifiche: a) rimuovere il vincolo che esclude dall’Adi tutte le famiglie che sono prive di over -60, disabili e/o minori; b) ripristinare le scale di equivalenza operanti con il Rdc; c) ridisegnare le soglie di accesso all’Adi per tenere conto dei differenziali di costo per area geografica relativi alle spese di mantenimento dell’abitazione; d) configurare il Sfl come misura integrativa, e non sostitutiva, per tutti i disoccupati vicini al mercato del lavoro. Potrebbero rientrare in questa casistica i disoccupati che hanno esaurito il sussidio di disoccupazione (Naspi) e quelli  privi di Naspi e disoccupati da non oltre un anno, a cui potrebbe essere erogato per 9 mesi un assegno mensile di 300 euro per chi vive in famiglie il cui Isee non supera i 7 mila euro. 

Una formula simile, senza superare i costi del Rdc, consentirebbe di migliorare l’efficacia distributiva delle misure di contrasto alla povertà, riducendone l’incidenza (dal 4,9 al 4,3 per cento) ed elevando la quota di poveri coperti con la misura (dal 46 al 62 per cento) rispetto alla riforma governativa.

Lo sdoppiamento delle misure rimane, ma l’obiettivo di contrasto alla povertà è distinto da quello dell’inserimento lavorativo, come avviene in Spagna, Austria, Finlandia e Portogallo. Ciò consente di mantenere l’impronta universale nella lotta alla povertà, e di accompagnare per un periodo limitato (e successivo alla Naspi) l’inserimento al lavoro di chi ha maturato precedenti esperienze di impiego. Si tratta di una proposta che ha il merito di aprire un confronto sul modo migliore di evitare una retromarcia nella protezione di chi, indipendentemente dalle caratteristiche personali e del nucleo familiare, versi in condizione di bisogno.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Povertà assoluta: aggiornato il metodo di calcolo*

Precedente

Tra cuneo fiscale e fiscal drag i conti non tornano

Successivo

Non è tutto profitto bancario quel che luccica

  1. Gaetano Proto

    Un dettaglio sulla Pensione di cittadinanza (PdC): nelle vostre stime del RdC sono inclusi i beneficiari di PdC? Si tratta di una componente minoritaria, ma non irrilevante: dai dati dell’ Osservatorio INPS sul RdC, nel 2022 i nuclei coinvolti risultano esattamente un decimo rispetto ai beneficiari del RdC (158mila contro un milione 533mila). Nella transizione all’Assegno d’Inclusione (AdI), i beneficiari di PdC sono un caso interessante, perché sono l’unica categoria dei percettori di RdC-PdC a usufruire di fatto di una clausola di salvaguardia: a parità di reddito, l’importo che riceveranno sotto forma di AdI non sarà comunque inferiore a quello che percepiscono adesso come RdC. Questa salvaguardia implicita deriva dal fatto che per definizione tutti i componenti dei nuclei percettori di PdC (ultra67enni e/o invalidi) sono inclusi tra i soggetti meritevoli di tutela dell’AdI, e quindi vengono inclusi nel calcolo della scala di equivalenza impropria introdotta dal decreto, che tiene conto dei soli componenti meritevoli di tutela (caso credo unico al mondo). Al contrario, per un nucleo che insieme a uno o più soggetti meritevoli ne contiene altri che non lo sono, la possibilità di perdere del tutto questa forma di sostegno a parità di reddito è un fatto concreto. Forse un impatto così malthusiano esula dalle intenzioni del legislatore e può essere corretto in sede di conversione del decreto, adottando una vera scala di equivalenza come quella ISEE per confrontare il reddito del nucleo con la soglia di tutela (i 6.000 euro annui per un nucleo monocomponente).

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén