I dati del mercato agroalimentare italiano confermano l’importanza e il buon andamento del settore, anche a livello internazionale. I cambiamenti climatici e la scarsa predisposizione dei nostri governi alla prevenzione rappresenteranno però un rischio.
Le sfide del mercato agroalimentare
L’Istat ha pubblicato il rapporto sull’andamento dell’economia agricola nel 2022, un anno che ha visto non poche sfide per il settore dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca. Rispetto all’anno precedente, nel 2022 si sono accentuati gli effetti negativi delle condizioni climatiche, unitamente a un consistente aumento dei prezzi dovuto al fenomeno inflazionistico globale e all’aumento del costo di numerose materie prime in seguito alla guerra tra Russia e Ucraina.
Dopo i risultati negativi del 2021, con una diminuzione del valore aggiunto in volume dell’1,1 per cento, il settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca ha subito un ulteriore indebolimento nel corso del 2022. Il valore aggiunto è diminuito dell’1,8 per cento, in netta controtendenza rispetto alla crescita del valore aggiunto dell’economia nazionale nel suo complesso (+3,9 per cento).
Nel complesso, nel 2022, il comparto agroalimentare, che comprende agricoltura, silvicoltura e pesca, ha registrato una diminuzione del valore aggiunto dello 0,8 per cento in volume, in controtendenza rispetto agli anni precedenti.
La quota del settore agroalimentare sull’economia totale è passata dal 4 per cento nel 2021 al 3,8 per cento nel 2022. Il settore primario complessivo ha contribuito per il 2,2 per cento (come nel 2021), mentre l’industria alimentare ha rappresentato l’1,6 per cento (rispetto all’1,8 per cento del 2021). I dati evidenziano una contrazione del settore agroalimentare nel contesto economico nazionale.
Nel 2022, l’occupazione nel settore ha registrato un calo del 2,1 per cento misurato in unità di lavoro (unità di misura omogenea del volume di lavoro svolto dagli occupati). Tuttavia, è cresciuta l’occupazione nell’industria alimentare, che ha avuto un aumento del 3,1 per cento. Nel complesso dell’intero settore agroalimentare, si è osservata una contrazione dello 0,7 per cento.
I dati evidenziano l’andamento contrastante tra occupazione nel settore primario e nell’industria alimentare, oltre all’importanza di stimolare gli investimenti per favorire la crescita e la competitività dell’intero comparto agroalimentare italiano.
Record dell’export ma bilancia commerciale in negativo
Secondo il recente report Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), nel 2022 l’agroalimentare italiano ha scritto una pagina intensa nel suo rapporto con il commercio estero. Le esportazioni hanno raggiunto una quota record di 60,7 miliardi di euro, segnando un balzo in avanti del 14,8 per cento rispetto all’anno precedente. Tuttavia, non sono mancate le sfide. Le importazioni di prodotti agroalimentari hanno subito un’impennata del 27,2 per cento, portando la bilancia agroalimentare italiana da un surplus di 3,9 miliardi di euro nel 2021 a un deficit superiore a 1,6 miliardi di euro nel 2022.
Il primo trimestre del 2023 ha confermato la tendenza positiva delle esportazioni italiane, con una crescita del 11,6 per cento rispetto all’anno precedente. È stato soprattutto il settore industriale a trascinare il buon risultato, con un aumento del 13,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. Al contrario, il comparto agricolo ha mostrato una crescita più contenuta, fermandosi al +3,1 per cento. Le eccellenze gastronomiche italiane continuano a riscuotere un grande successo all’estero, beneficiando sia dell’aumento dei prezzi che di quello dei volumi.
Tuttavia, nel primo trimestre del 2023, le importazioni di prodotti agroalimentari hanno registrato un incremento del 12,5 per cento rispetto al 2022, contribuendo ad ampliare il deficit della bilancia commerciale del settore.
Nel confronto con l’anno precedente, le esportazioni verso il Giappone hanno subito una contrazione significativa, con una diminuzione che è stata del 43 per cento in gennaio e del 15 per cento in febbraio. Al contrario, Germania, Francia e Stati Uniti si confermano le principali destinazioni delle esportazioni agroalimentari italiane.
Le minacce: cambiamento climatico e instabilità internazionali
Il clima, negli ultimi anni, ha avuto un impatto significativo sulla produttività agricola, confermato anche nell’ultima annata, con l’aggravarsi di eventi estremi. In particolare, la siccità ha colpito tutte le regioni del paese, influenzando pesantemente il settore agricolo. Il 2022 è stato considerato uno degli anni più caldi di sempre, non solo in Italia, ma in tutta l’Europa.
Nel medio-lungo periodo è ragionevole attendersi che le difficoltà contingenti possano essere ulteriormente inasprite dai cambiamenti climatici che si manifestano con intensità crescente e i cui effetti cumulati sono difficilmente reversibili a costi sostenibili.
Un altro elemento che ha pesantemente compromesso l’economia agricola è stato l’inflazione. Nel corso del 2022, la già instabile situazione dei mercati internazionali delle materie prime agricole, alimentari ed energetiche, che si era manifestata verso la fine del 2021, ha raggiunto livelli critici. In parte, la ragione è nel prolungarsi del conflitto russo-ucraino, che ha esercitato ulteriori pressioni sui prezzi con forti conseguenze sui costi di produzione, minando l’andamento del settore agricolo.
Secondo il recente report di Scope Ratings, l’Italia è in Europa lo stato più vulnerabile ai pericoli derivanti dai cambiamenti climatici. In uno scenario estremo, la transizione potrebbe arrivare a costare fino a 17,5 trilioni di euro nell’arco di trent’anni, corrispondenti al 14,5 per cento del Pil.
Applicando il Macro Economic Climate Stress Test alle cinque maggiori economie europee – Germania, Francia, Italia, Spagna e Paesi Bassi – emerge che l’Italia è il paese più a rischio nel caso in cui lo scenario si aggravasse ulteriormente nei prossimi decenni.
Il rapporto evidenzia che i costi sono distribuiti in modo disuguale: in caso di ritardo nella transizione, la Spagna, che segue immediatamente l’Italia, avrebbe un danno economico pari a circa il 10,5 per cento del Pil, mentre più distanziati sono i Paesi Bassi (con un valore intorno al 6 per cento), la Francia (appena sopra il 4,5 per cento) e la Germania (3,2 per cento).
Il rischio climatico costituisce una minaccia per il mercato agroalimentare italiano. Senza politiche di adattamento adeguate e programmate, capaci di costituire un pilastro delle strategie di sviluppo e degli interventi nazionali e regionali, potrebbe causare enormi perdite e distruggere fette significative di un settore vitale dell’economia nazionale. È necessario affrontare urgentemente la sfida, adottando pratiche agricole resilienti, politiche su misura per il cambiamento climatico e strategie per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni agroalimentari. La collaborazione tra governo, operatori del settore ed esperti del clima è essenziale per proteggere la sicurezza alimentare e mantenere la competitività del mercato italiano.
L’Italia ha l’opportunità di guidare questo cambiamento e preservare la sua posizione di eccellenza nell’industria agroalimentare internazionale. Nonostante i disastri naturali sempre più frequenti, i governi sono sembrati più intenzionati a spendere ingenti risorse nella fase emergenziale post-disastro che a investire nella prevenzione. La scelta dimostra una mancanza di lungimiranza e un approccio reattivo anziché proattivo. Affrontare il rischio climatico richiede un impegno a lungo termine e un’azione preventiva, che vada oltre la gestione delle emergenze. È fondamentale destinare risorse significative alla prevenzione dei disastri naturali, alla protezione degli ecosistemi e alla promozione di una transizione verso un sistema alimentare sostenibile. Solo attraverso una visione olistica e investimenti mirati nella prevenzione, l’Italia potrà mitigare gli impatti negativi del cambiamento climatico sul settore e garantire la sicurezza alimentare per le generazioni future.
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