Il ruolo guida dello stato in Francia così come associazionismo e meritocrazia negli Usa sono modelli che mostrano più di uno scricchiolio per quanto riguarda l’integrazione sociale dei giovani con una storia familiare d’immigrazione. E in Italia?
Due fatti significativi
Due fatti molto diversi hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica nei mesi scorsi. È il caso di riflettervi ora che i riflettori si sono spenti, ma prima che finiscano nell’oblio. Il primo fatto riguarda le rivolte giovanili nelle banlieues francesi. Il secondo è la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti di eliminare le azioni positive a favore delle minoranze etniche nelle procedure di selezione per l’ammissione nelle università più prestigiose. In comune, i due fatti hanno la questione dell’integrazione sociale dei giovani con una storia familiare d’immigrazione, anche se lontana nel tempo, insieme all’impegno delle istituzioni pubbliche per rimuovere le discriminazioni e promuovere l’uguaglianza. I due paesi si distinguono, invece, almeno per alcuni aspetti della loro storia d’immigrazione, quanto al rapporto tra stato, mercato e società civile. Negli Usa il mercato è stato trainante, ma la società civile, le istituzioni religiose e l’associazionismo immigrato hanno operato per attutirne gli effetti disgregativi. Dagli anni Sessanta, lo stato ha cominciato ad agire più attivamente per contrastare le discriminazioni su base etnica.
Le conseguenze della laicità alla francese
In Francia lo stato repubblicano, storicamente protagonista, si è attribuito un ruolo-guida nell’organizzazione della convivenza sociale. Per quanto riguarda gli immigrati, ha investito sulla loro assimilazione nella comunità nazionale, perseguendo un’omologazione culturale di cui la cosiddetta “laicità” è il più noto vessillo. Ha promesso uguaglianza sotto l’egida della nazione, operando per superare particolarismi e appartenenze intermedie, comprese quelle religiose ed etniche. Un accesso relativamente agevole alla cittadinanza è controbilanciato dalla richiesta di adesione ai valori nazionali, abbandonando o relegando nella sfera privata identità minoritarie e convinzioni religiose. Per esempio, in Francia non si raccolgono dati statistici relativi alle dinamiche sociali delle popolazioni di origine immigrata, come quelli relativi al successo scolastico e occupazionale dei giovani: anche soltanto l’introduzione di categorie statistiche è vista come una rottura dell’omogeneità della nazione. Ma l’uguaglianza promessa è negata nei fatti, e non è nemmeno identificata, analizzata, spiegata nelle sue determinanti. La discriminazione ha poi in Francia marcate connotazioni spaziali: politiche sociali benintenzionate, negli anni Sessanta e Settanta, hanno realizzato grandi complessi di edilizia sociale nelle periferie urbane per accogliere le popolazioni svantaggiate, non solo immigrate. Con il tempo, chi ha ottenuto una promozione sociale ha lasciato quei quartieri, mentre chi non è riuscito a migliorare, e spesso anzi è stato emarginato dai processi di ristrutturazione produttiva, è rimasto lì. I primi sono soprattutto francesi e le minoranze immigrate più dotate, i secondi sono soprattutto immigrati svantaggiati. Non è che lo stato francese si sia disinteressato delle banlieues, e Emmanuel Macron ha cercato di affrontare il problema. Ma realizzare auditorium, teatri, biblioteche o rinnovare le scuole dei “quartieri sensibili” non risolve lo svantaggio delle giovani generazioni perdute dalla scuola e scartate dal sistema economico, magari riluttanti a raccogliere i lavori poveri e precari che potrebbero trovare. Nello stesso tempo Parigi, pressata dalle parole d’ordine della destra, ha rafforzato la polizia e le ha dato più libertà di usare le armi nel contrasto della piccola criminalità. Per di più, la guerra tutta francese al “comunitarismo” e alle aggregazioni su base religiosa indebolisce le agenzie di solidarietà e coesione sociale presenti soprattutto nelle periferie povere. Il problema dei quartieri in rivolta non è l’Islam: i protagonisti dei disordini sono magari credenti per appartenenza familiare, ma tiepidi praticanti ed estranei ai circuiti dell’associazionismo mussulmano. Nelle banlieues non c’è troppa religione, semmai ce n’è troppo poca: la laicità escludente alla francese anziché produrre una società più coesa ne ha esasperato la frammentazione anomica. Periodiche fiammate di ribellismo non generano nuovi legami sociali e mobilitazioni di carattere politico, ma esplosioni distruttive senza sbocchi. Anche il reclutamento di responsabili di attacchi terroristici è avvenuto al di fuori e in contrasto con l’Islam istituzionalizzato, secondo modalità di auto-radicalizzazione, reclutamento nelle carceri, soltanto raramente alla sequela di predicatori fanatici autoproclamati. Le analisi di Olivier Roy ne spiegano bene la genesi.
Il passo indietro deciso dalla Corte suprema
Negli Stati Uniti, l’integrazione dei nuovi arrivati è stata affidata sostanzialmente al dinamismo del mercato, con l’accompagnamento della società civile, delle comunità religiose e dell’associazionismo immigrato. La miscela ha funzionato piuttosto bene per parecchi decenni nei confronti dell’immigrazione europea e poi, superata una dura epoca di discriminazione anche legale, per gran parte di quella asiatica. Ora invece, confrontata con il problema antico della minoranza afroamericana e con quello della nuova immigrazione ispanica, si è inceppata. Di qui, la necessità di un’azione pubblica più incisiva a sostegno delle componenti etniche discriminate. Le azioni positive per aumentare la quota dei giovani appartenenti alle minoranze svantaggiate nella popolazione studentesca di diverse prestigiose università erano un correttivo, ispirato alla cultura meritocratica, per rispondere alla penalizzazione dei gruppi più colpiti dalla discriminazione strutturale della società statunitense. La soluzione era e rimane controversa, ma avervi rinunciato sotto i colpi della cultura conservatrice a cui aderisce la maggioranza dei giudici della Corte suprema incrementerà il senso di frustrazione e di rabbia dei giovani afroamericani e latinos: in mancanza di correttivi, accrescerà le divisioni sociali di un paese già attraversato da profonde spaccature. Paradossalmente, questo passo indietro istituzionale è arrivato alla vigilia del sessantesimo anniversario del discorso “I have a dream” di Martin Luther King, pronunciato il 28 agosto 1963.
Lezioni per l’Italia
I due casi, francese e statunitense, dovrebbero suonare un campanello d’allarme anche per noi. La nostra storia di paese d’immigrazione è molto più recente: contrastata sotto il profilo politico e dell’accettazione sociale (basti pensare ai ritardi della riforma delle norme sulla cittadinanza), si è sviluppata in modo largamente spontaneo e fin qui sostanzialmente pacifico, trainata dalle sanatorie e dietro a esse dalla domanda di manodopera, diffusa nei territori più dinamici sotto il profilo economico. Tuttavia, i dati ci parlano oggi di persistenti ritardi scolastici, più frequenti abbandoni, canalizzazione nei rami meno prestigiosi dell’istruzione superiore, elevata incidenza di Neet (not in education, employment or training) tra i giovani che provengono da famiglie immigrate. Serve un piano di accompagnamento e recupero educativo, nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, prima che gli svantaggi fomentino fenomeni più gravi e traumatici.
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Aldo Mariconda
Sicuramente è troppo lungo, ma se interessa:
Le Figaro : Immigration, l’entretien de Pierre Brochand
(Qui a été directeur général de la DGSE – Direction Générale de la Sécurité Extérieure, et ainsi ambassadeur de France en Hongrie et en Israël)
Les avis de Pierre Brochand
Il est peut-être hasardeux de résumer la thèse de l’interviewé en quelques mots, mais si j’ose e faire je dirais :
1. Il y a trop d’immigration incontrôlée en France, surtout de gens qui ont un bagage culturel totalement différent
2. On a eu des admissions exagérées depuis 2005, atteignant une masse critique qui le rend confusément conscientes de leur force irrésistible.
3. Les émeutes sont monnaie courante et les auteurs quasi-exclusifs sont des jeunes hommes de banlieue, des masses juvéniles déchainées, sans projet de lendemain. Les razzias ont pénétré les centres des métropoles, y compris Paris et les casseurs sont aussi des gens politisés d’origine européenne.
4. Ce qui aurait créé par conséquent une société liquide, bienveillante et accueillante, une mixité sociale
5. A cause d’une idéologie dominante qui a justifié et même glorifié l’immigration de peuplement massive, subie depuis un demi-siècle.
6. Il y aurait une impuissance des forces de l’ordre
7. On démonise une idéologie dominante qui théorise la société des individues (SDI) soit de l’autodétermination collective à sa version individuelle, qui aurait détruit le paradigme de l’état régalien …ayant ouvert les portes aux damnées de la terre en provenance du tiers-monde, entrant chez nous au nom des droits individuels et s’y installant comme des communautés hétéronomes et endogamiques, en rupture orthogonale avec le code ayant justifié leur venue.
8. Il est vraiment trop tard pour revenir sur des décennies d’abdications cumulées…Il ne faut pas baisser les bras, étant entendu que désormais, toute réaction ne peut être que brutale, voire féroce, si l’on veut lui donner une chance de remonter le courent. La France ne doit devenir le laboratoire des folies migratoires européennes
Les propositions suggérées :
1. La réduction des flux d’accès
2. Combattre le sentiment d’impunité et punir la récidive par des peines exponentielles
3. Répression, prison
4. W la politique le la Pologne e de la Hongrie
Mon idée est différente
Ma première impression est d’une analyse très détaillée mais dubitative quant aux solutions proposées.
Il Sole 24 Ore est un quotidien de Confindustria, l’association des industrialistes, donc non certainement gauchiste. Samedi 8 il y avait un article de Laura Zanfrini, MISERIA e BASSA SCOLARITA’ ACUISCONO I PROBLEMI DELL’INTEGRAZINE (La pauvreté et la faible scolarisation exacerbent les problèmes d’intégration).
Je traduis :
Celle des banlieues françaises est une question ancienne, qui plonge ses racines dans les années de décolonisation et s’est nourrie des effets paradoxaux des politiques de logement et d’assimilation.
En concentrant les familles immigrées dans les quartiers périphériques, les interventions de l’État gestionnaire ont contraint leurs enfants à une condition de quasi-captivité : à la fois physiquement proches et socialement séparés par la lueur des villas, emblème d’une égalité promise scellée par les citoyens mais ponctuellement ignorée. Dans l’expérience des jeunes issus de l’immigration tels que les sociologues français les ont définis, comme pour évoquer un phénomène inattendu et non désiré.
Je n’ai pas des données statistiques sur l’immigrations, mais j’ai le sentiment qu’il y ait des problèmes différents parmi les pays non seulement en Europe mai en l’Occident en général.
Si je ne me trompe pas, la France aujourd’hui n’a pas le problème prédominant des flux des personnes qui arrivent, mais d’une PRESENCE ETABLIE D’IMMIGRANTS, au mois en comparaison avec les pays du Sud de la Méditerranée, Grèce, Italie, Espagne, Malta et des pays qui sont exposées à la « route des Balkans ». La France a sans doute des fluxes qui arrivent, mais n’est pas exposée aux arrives par voie maritime en croissance exponentielle dans les pays méditerranéens cités . Le control des douanes à Ventimiglia est très fort. Donc, les problèmes de gérer l’existant ou de fermer les fluxes des immigrants nouveaux arrivées ne sont pas identiques.
Et Il Sole 24 Ore, en effet, parle en suite d’un problème en France avec l’immigration de deuxième, troisième, quatrième génération.
En conclusion
Il est évident qu’il y a en France un problème d’ordre public, de respect des règles, de protection de la sécurité des citoyens et de la propriété (voitures, locaux commerciaux notamment), mais dès qu’il y a une immigration consolidée et des plusieurs générations, il faudrait aussi comprendre l’origine du malaise surtout des jeunes, et intervenir avec un ensemble des mesures qui visent également une plus grande intégration.
Et une confirmation indirecte vient aussi des déclarations de Pierre Brochand quand il souligne qu’Il est vraiment trop tard pour revenir sur des décennies d’abdications cumulée. C’est précisément parce que des décennies se sont accumulées qu’une politique répressive semble myope et insuffisante.
Je ne suis pas un expert d’immigration, encore moins un sociologue, mais je me pose un question : pourquoi en Grande Bretagne il n’y a pas les mêmes problèmes et on peut nommer un maire de Londres, Sadiq Kan, d’origine pakistanaise et un Premier Ministre, Rishi Sunak, d’origine indienne ?
Aldo Mariconda
10/07/2023