La proroga concessa dalla Commissione europea alla decontribuzione nelle regioni del Sud è l’ultima: dal 1° gennaio del 2025 l’agevolazione non sarà più compatibile con il regime europeo sugli aiuti di Stato. Che fare delle risorse stanziate sino al 2030?

Che cosa prevede Decontribuzione Sud

La Commissione europea ha concesso un’ultima proroga alla decontribuzione nelle regioni del Mezzogiorno, sulla base del Quadro temporaneo sugli aiuti di stato in scadenza al 31 dicembre. Dal 1° gennaio del 2025 l’agevolazione non sarà più compatibile con l’ordinario regime europeo in tema di aiuti di stato.

 “Decontribuzione Sud” è stata introdotta a fine 2020 per cercare di fare fronte ai possibili shock occupazionali che avrebbero potuto colpire, a seguito della pandemia, il sistema economico meridionale.

L’agevolazione prevede a favore dei datori di lavoro e per tutti i rapporti di lavoro dipendente – sia esistenti che di nuova attivazione – svolti nelle regioni del Mezzogiorno, un esonero dei contributi previdenziali pari al 30 per cento fino al 31 dicembre 2025, con progressivo décalage fino al 2029.

Sin dalla sua introduzione la compatibilità di decontribuzione Sud con la normativa europea in tema di aiuti di stato si è basata sui regimi speciali previsti dai “Quadri temporanei per le misure di aiuto di stato” introdotti con l’emergenza Covid-19 e, successivamente, con l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina. Le deroghe hanno consentito, in via eccezionale, l’autorizzazione di interventi a favore delle imprese e dell’economia di norma non ammissibili ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

In concomitanza con la scadenza del Quadro temporaneo Ucraina fissata per il prossimo 31 dicembre, a giugno la Commissione europea ha concesso un’ultima proroga di sei mesi per l’agevolazione.

Dal 1° gennaio 2025, gli aiuti di stato indirizzati a favore di alcune aree del territorio nazionale torneranno a essere autorizzati dalla Commissione solo se coerenti con le disposizioni dell’articolo 107, paragrafo 3, del TfUe e degli Orientamenti in materia di aiuti di stato a finalità regionale, secondo le quali gli aiuti a finalità regionale sono ammissibili solo se riferiti alle zone meno sviluppate e finalizzati a generare nuovi investimenti o occupazione. 

L’attuale assetto di decontribuzione Sud si configura come un “aiuto al funzionamento” delle imprese, difficilmente compatibile con queste disposizioni. Lo stesso governo italiano, difatti, ha annunciato l’obiettivo di trasformare dal prossimo anno la misura in uno strumento più a lungo termine e più orientato verso gli investimenti.

Come impiegare più di 18 miliardi

È un crinale stretto e complesso quello su cui intavolare il negoziato con la Commissione europea.

La proposta italiana potrebbe consistere nel riservare la decontribuzione ai lavoratori impiegati in imprese meridionali caratterizzate da elevati livelli di crescita del valore aggiunto e degli investimenti, oppure operanti in settori di particolare rilevanza strategica, come quelli ricompresi nell’iniziativa Step. Anche in caso di esito positivo del negoziato, la nuova decontribuzione riguarderebbe una modesta percentuale della platea di lavoratori dipendenti attualmente eleggibili.

A questo punto occorre chiedersi se la decadenza di decontribuzione Sud rappresenti un problema o un’opportunità per il Mezzogiorno.

Si tratta difatti di una agevolazione onerosa (3,3 miliardi di minori contributi versati nel solo 2022), come messo in evidenza da lavoce.info (vedi qui e qui) e dall’Inps, per un impatto modesto e incerto sull’occupazione e nullo sulle retribuzioni dei lavoratori, come.

Il limite principale della misura consiste nel suo carattere eccessivamente orizzontale (tutte le tipologie di lavoro dipendente, di imprese e di settori) che ha giocoforza ristretto l’intensità dell’agevolazione (pari, in media, a circa il 7,5 per cento del costo del lavoro per occupato) e la sua capacità di incidere sulle decisioni di assumere dei datori di lavoro. Capacità ulteriormente ridotta dall’incertezza generata dalle varie proroghe, concesse sempre in prossimità della scadenza e mai superiori a dodici mesi, che ha acuito la percezione del suo carattere temporaneo. 

Infatti, come segnala l’Inps, nonostante il suo carattere automatico, le imprese di ogni classe dimensionale sono ricorse all’agevolazione per una percentuale dei rapporti lavorativi in essere mai superiore al 70 per cento.

Guardando al futuro, è di grande importanza concentrare da subito l’attenzione sulle opportunità finanziarie che si aprono a seguito della decadenza della misura il 31 dicembre, tenuto conto delle coperture stanziate nel bilancio pubblico nei prossimi anni (tabella 1).

L’interruzione dell’agevolazione potrebbe potenzialmente liberare risorse finanziarie per oltre 18,8 miliardi, che non dovrebbero essere più di tanto intaccate dagli eventuali oneri di copertura di una nuova forma di decontribuzione.

Si tratta di una notevole mole di risorse che potrebbe essere utilizzata per rafforzare interventi a favore del Mezzogiorno più efficaci rispetto all’attuale riduzione generalizzata degli oneri contributivi.

Per esempio, restando nel campo delle agevolazioni per la creazione di nuova occupazione, considerate le positive valutazioni della misura, si potrebbe rafforzare al Mezzogiorno lo sgravio contributivo del 100 per cento per le assunzioni di giovani lavoratori. Il recente Dl n. 60/2024 ha difatti rinnovato l’agevolazione con un orizzonte temporale di due anni, rispetto ai quattro precedentemente previsti, che potrebbe ridurne l’efficacia.

Sempre in tema di incentivi, le risorse potrebbero contribuire a finanziare i nuovi interventi da attuare nelle aree di specializzazione produttiva che saranno indicate nel prossimo Piano strategico della Zes unica, nella prospettiva di migliorare la produttività e il contenuto di conoscenza del sistema economico meridionale.

In quest’ottica, si potrebbe anche procedere a una estensione pluriennale del nuovo credito d’imposta per gli investimenti nella Zes unica ed, eventualmente, all’incremento del suo plafond annuale.

Un cambio di passo nelle politiche per la riduzione dei divari territoriali potrebbe poi essere rappresentato dalla destinazione delle risorse liberate da Decontribuzione Sud al Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno, istituito dal Dl n. 60/2024 con una limitata disponibilità di 700 milioni di euro.

Attraverso questo fondo potrebbero difatti essere definiti e realizzati quei livelli minimi di dotazione infrastrutturale in grado di assicurare l’erogazione e l’accesso a livelli di servizi uniformi sul territorio nazionale in materie fondamentali come sanità, istruzione e mobilità.

Prima di valutare quali interventi privilegiare è necessaria, tuttavia, una scelta da parte della politica: riservare ancora al Mezzogiorno le risorse che si libereranno, utilizzarle per politiche generali o riservarle al contenimento della spesa pubblica.

Si tratta di una scelta urgente, dal momento che l’arco temporale in cui intavolare il negoziato con la Commissione e decidere la sorte delle risorse coincide con l’iter di presentazione e approvazione della prossima legge di bilancio, all’interno della quale andranno reperite risorse anche per altre tipologie di sgravi contributivi.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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