La presenza in classe di bambini stranieri o appartenenti a minoranze porta a risultati leggermente più bassi nei test di valutazione. Forse per un minor impegno di studenti, genitori e insegnanti? I risultati di uno studio sulle scuole di Taiwan.

Gli studi sulle minoranze a scuola

Ogni tanto in Italia si torna a parlare di un tetto massimo per il numero di studenti stranieri nelle classi. Segue un dibattito spesso sterile, perché non basato su dati e fatti, ma solo su posizioni preconcette. Senza contare, poi, che nel nostro sistema scolastico un limite massimo di alunni stranieri per classe esiste già ed è il 30 per cento del totale fissato dalla circolare ministeriale del gennaio 2010 firmata dall’allora ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.

Al di là delle polemiche italiane, quali effetti ha la presenza di minoranze etniche nelle classi? Arricchisce l’ambiente educativo? Oppure, come sembrano affermare alcuni studi, può abbassare i punteggi dei test di valutazione degli studenti?

La crescente diversità culturale, etnica e socioeconomica che si registra in molti paesi è dovuta a una molteplicità di fattori economici (come il commercio internazionale, l’immigrazione o il differenziale in fertilità) e non economici, come il cambiamento climatico, i conflitti o le persecuzioni (come riportato qui, qui e qui). Una preoccupazione politica comune riguarda quindi le interazioni tra i gruppi di minoranza e di maggioranza, specialmente tra i bambini nelle scuole. Di conseguenza, molti studi recenti si focalizzano sugli effetti di avere compagni di classe appartenenti a minoranze.

Gli studi condotti finora hanno affrontato molte sfide metodologiche legate all’identificazione di causa ed effetto e, ancora oggi, i risultati sono stati in gran parte inconcludenti. Alcuni studi hanno trovato effetti negativi della “esposizione” alle minoranze razziali (come si legge qui, qui e qui) o agli immigrati (come si legge qui e qui), mentre altri non hanno trovato alcun effetto (qui e qui). C’è anche uno studio che suggerisce effetti positivi della presenza di compagni immigrati sugli studenti locali. Nessuna di queste ricerche ha però finora analizzato congiuntamente le risposte di studenti, genitori e insegnanti alla presenza di minoranze in classe.

Il caso di Taiwan

In un recente studio ci chiediamo se l’esposizione a compagni di classe appartenenti a minoranze nelle scuole medie taiwanesi influisca sui risultati scolastici degli studenti. Esploriamo due possibili canali attraverso cui l’effetto potrebbe operare: (1) caratteristiche correlate all’essere una minoranza e (2) cambiamenti nel comportamento di studenti, genitori e insegnanti, che contribuiscono a modificare i risultati educativi.

Taiwan è un caso interessante perché l’assegnazione dei bambini alle classi è casuale, per sorteggio. Dunque, replica naturalmente uno studio controllato randomizzato ed è quindi ideale per l’identificazione causale. Abbiamo anche accesso a dati da sondaggi non solo sugli studenti, ma anche sui loro genitori e insegnanti. Il gruppo minoritario che consideriamo è quello dei Popoli indigeni di Taiwan (circa il 4 per cento della popolazione) che sono i nativi dell’isola di Taiwan; definiamo la maggioranza come i cinesi Han (circa il 95 per cento della popolazione). Come molti gruppi minoritari studiati in altri contesti, i Popoli indigeni di Taiwan sono stati storicamente discriminati e sono ancora fortemente svantaggiati sotto tutti i punti di vista. Nei nostri dati, documentiamo inoltre che gli studenti indigeni sono percepiti dai loro insegnanti come di capacità inferiori, anche dopo aver tenuto conto delle loro reali capacità.

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Per realizzare la nostra analisi empirica e riconciliare i nostri risultati con la letteratura esistente, sviluppiamo un modello multi-agente della funzione di produzione di educazione, dove gli investimenti di studenti, genitori e insegnanti (che osserviamo nei dati) sono collegati alla presenza in classe di studenti appartenenti a minoranze (assegnati casualmente alle classi). Facciamo due ipotesi: (i) gli input dei tre agenti sono complementari (cioè aumentare un input rende ogni unità degli altri input più produttiva); e (ii) le risorse degli studenti indigeni (effettive o percepite) sono inferiori a quelle degli studenti di origini cinesi. Più studenti indigeni abbassano le risorse complessive della classe e, di conseguenza, diminuiscono gli input di studenti, genitori e bambini, riducendo il rendimento scolastico.

Applicando la teoria ai dati, scopriamo che l’esposizione agli studenti indigeni nelle classi taiwanesi riduce i punteggi dei test degli studenti di origini cinesi. L’effetto negativo è comunque modesto. Non troviamo effetti differenti sugli studenti indigeni rispetto a quelli non indigeni. L’esposizione riduce anche lo sforzo degli studenti, gli investimenti dei genitori e l’impegno degli insegnanti.

Ci chiediamo poi in quale misura le caratteristiche correlate all’essere indigeni possano spiegare gli effetti negativi sui risultati scolastici. Gli studenti indigeni sono molto svantaggiati se paragonati a quelli Han, sotto molti punti di vista:

  • i punteggi dei test: gli studenti indigeni hanno punteggi sensibilmente inferiori;
  • lo status socioeconomico: i genitori degli studenti indigeni hanno il 20 per cento di probabilità in più di essere nella fascia di reddito più bassa;
  • le competenze linguistiche: gli studenti indigeni hanno una conoscenza del mandarino inferiore di 4 punti percentuali rispetto a quella dei loro compagni;
  • gli investimenti dei genitori: gli studenti indigeni hanno il 27 per cento di probabilità in meno di aver ricevuto lezioni private prima della scuola media;
  • il comportamento in classe: gli studenti indigeni hanno il 12 per cento di probabilità in più di manifestare comportamenti pigri o assenteisti.

I nostri risultati mostrano che solo i punteggi dei test e lo status socioeconomico spiegano parte dell’effetto negativo sui compagni, e che tutti i fattori insieme spiegano meno di un terzo del coefficiente negativo. Concludiamo quindi che l’effetto negativo di avere più compagni indigeni non è spiegato esclusivamente dalla diminuzione della qualità dei compagni.

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Come cambia il comportamento di insegnanti, studenti e genitori

Consideriamo allora le modifiche nel comportamento legate alla presenza di un numero maggiore di studenti indigeni in classe ed esploriamo quanta parte dell’effetto negativo sui punteggi dei test sia spiegato da una riduzione nell’impegno degli studenti, negli investimenti dei genitori e nell’impegno degli insegnanti. Scopriamo che, insieme, i cambiamenti nei comportamenti dei tre agenti analizzati rappresentano il 39 per cento dell’effetto negativo sui compagni. Questo risultato è ragionevole, dato che è stato dimostrato che lo sforzo degli studenti, gli investimenti dei genitori e gli input degli insegnanti sono molto importanti per il rendimento degli studenti.

Quando teniamo conto congiuntamente sia delle caratteristiche sia delle risposte comportamentali, troviamo che le seconde sono importanti almeno quanto le prime, e che entrambe le differenze spiegano praticamente l’intero effetto negativo sui punteggi dei test.

In conclusione, l’esposizione ai bambini appartenenti a minoranze in una classe: (1) porta a modeste diminuzioni nei punteggi dei test di valutazione degli studenti; (2) parte dell’effetto è dovuta alle minori risorse degli studenti appartenenti a minoranze; ma (3) un’altra parte importante è dovuta alle risposte negative nello sforzo di studenti, genitori e insegnanti; (4) insieme, le due spiegazioni rappresentano quasi l’intero effetto negativo.

* Una versione più estesa dell’articolo, in inglese, è disponibile su VoxEu.

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