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Dad sul banco degli imputati

La didattica a distanza sembra essersi limitata a trasferire sulle piattaforme le lezioni che si sarebbero svolte in classe. Si è così persa un’occasione di vera innovazione nell’insegnamento. Nonostante tutto, però, alcuni segnali positivi ci sono.

Gli effetti della chiusura delle scuole

I risultati delle prove Invalsi del 2021 ci offrono una prima misura degli effetti della pandemia sugli apprendimenti degli studenti italiani. Come temuto, la sospensione del regolare servizio scolastico in presenza, la perdita di giorni di scuola e il ricorso a strumenti compensativi basati sull’apprendimento da remoto hanno aggravato i cronici problemi della nostra scuola, in particolare nel secondo ciclo d’istruzione.

Inevitabilmente la didattica a distanza è tornata sul banco degli imputati poiché è stata lo strumento più utilizzato per garantire la continuità del servizio scolastico in Italia; addirittura, l’unico per le scuole secondarie di secondo grado.

Eppure, la ricerca da tempo segnala i rischi associati all’apprendimento a distanza (minore motivazione e attenzione degli studenti, un ruolo maggiore delle famiglie nel supporto allo studio e conseguente crescita delle disuguaglianze di apprendimento) e ci dice che per tenere alti motivazione e coinvolgimento dei ragazzi, una volta garantito l’accesso alla tecnologia, servono strategie didattiche precise. Servono metodi che a) favoriscano le interazioni tra pari, con vere e proprie “cordate educative” a sostenere ogni studente; b) creino le condizioni perché gli studenti lavorino efficacemente anche in autonomia (metacognizione, autoregolazione); c) offrano piani di apprendimento personalizzati anche grazie a piattaforme educative di auto-apprendimento.

Gli insegnanti italiani erano pronti per la Dad?

Ma i docenti italiani erano preparati per proporre attività in Dad significative e proficue? Per capirlo facciamo riferimento ai dati dell’indagine condotta da Fondazione Agnelli e Centro studi Crenos dell’Università di Cagliari su un campione rappresentativo di 123 scuole secondarie di secondo grado italiane (statali e paritarie). L’indagine è stata realizzata nel periodo marzo-giugno 2021 e ha coinvolto 11.154 studenti (del III e V anno), 3.905 docenti e 105 dirigenti scolastici ai quali sono stati somministrati questionari dedicati.

Secondo i dirigenti scolastici, una percentuale significativa dei docenti della propria scuola (almeno 1 su 4) avrebbe avuto bisogno di supporto e formazione per introdurre innovazioni di metodo nel periodo di didattica a distanza, mentre minori erano le esigenze di formazione per l’uso di piattaforme informatiche e strumenti digitali quali il registro elettronico.

I docenti confermano che la formazione c’è stata, ma in molti casi solo a partire da settembre 2020, ad anno scolastico iniziato.

Anche in virtù della formazione ricevuta, l’85 per cento dei docenti ha dichiarato di ritenere al momento della rilevazione le proprie competenze più che sufficienti o del tutto adeguate per la Dad e la didattica digitale integrata.

Quindi, stando all’autopercezione dei docenti, la risposta alla nostra domanda sarebbe affermativa: i docenti italiani ritengono di essere stati pronti ad affrontare la sfida della Dad.

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Cosa raccontano gli studenti

Tuttavia, se ascoltiamo gli studenti, nelle 5-6 ore al giorno che il 91 per cento di loro dichiara di aver trascorso collegato in video per attività in sincrono, le uniche tre proposte da tutti i docenti sono state lezioni e verifiche con il corollario dei compiti a casa, senza particolare differenza tra le materie (italiano, matematica, inglese). Alle tre attività “tradizionali” si è affiancato più o meno timidamente l’invio di contenuti registrati e altri materiali di approfondimento (1 caso su 2). Molto più sporadicamente sono state proposte attività di ricerca in autonomia o in gruppo (1 caso su 3) o una personalizzazione dei percorsi di apprendimento tramite l’utilizzo di piattaforme digitali, app ed esercizi interattivi.

Non a caso, fra l’85 e il 93 per cento degli studenti, a seconda delle materie, indica il libro di testo come materiale didattico chiesto dai docenti per le attività in Dad. Con l’eccezione dell’uso delle piattaforme di comunicazione per le tradizionali lezioni e verifiche in sincrono (Zoom, Google Meet, Microsoft Teams o altro), la Dad non sembra avere favorito l’adozione di innovazioni digitali a scuola.

Quale formazione per i docenti

La domanda, dunque, ora diventa: perché in classe non vi è traccia di quanto apparentemente acquisito grazie alla formazione?

Approfondendo il tipo di formazione ricevuta dai docenti, vediamo che i corsi hanno principalmente riguardato l’uso di software e piattaforme informatiche più che l’adozione di nuove metodologie didattiche. Inoltre, i dirigenti dichiarano che, quando effettuata, la formazione si è fatta perlopiù con risorse interne alla scuola. Non è quindi chiaro se sia stata svolta con personale davvero esperto. Ed è dunque possibile che si sia operato in modo efficace solo laddove esistevano già le necessarie competenze e si partiva da condizioni di vantaggio.

Peraltro, già in passato indagini nazionali (Iard) e internazionali (Talis) hanno segnalato la scarsa propensione all’innovazione didattica dei docenti italiani, soprattutto nel secondo ciclo, spesso giustificata sulla base della carenza di risorse e rigidità ordinamentali. È plausibile che i docenti siano stati ancora più restii ad abbandonare la propria comfort zone in un periodo di forte pressione esterna sul sistema educativo a causa della pandemia.

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Anche l’incertezza determinata dai segnali contrastanti dei decisori politici ai diversi livelli (stato, regioni) non sembra aver favorito un ripensamento delle attività e una riorganizzazione del servizio scolastico. Ad esempio, la prescrizione di garantire almeno 20 ore alla settimana di attività in sincrono per ogni classe ha indotto molte scuole a riconfermare il quadro orario originario. Tant’è che il 65 per cento dei dirigenti scolastici afferma di avere trasposto online il regolare orario scolastico o al più di aver ridotto (nel 26 per cento dei casi) proporzionalmente l’orario in tutte le materie.

Di fatto, la ricerca suggerisce che la Dad sia stata una grande occasione mancata e lascia presagire un sostanziale ritorno allo status quo a pandemia conclusa. Eppure, alcuni semi potrebbero germogliare in condizioni di ritrovata normalità: l’89 per cento dei dirigenti scolastici rileva comunque una crescita delle competenze dei docenti nella propria scuola e il 73 per cento ritiene molto probabile l’adozione della didattica digitale come complementare a quella in presenza anche in futuro.

Forse si può partire da questi elementi per costruire un percorso di consolidamento dell’aggiornamento professionale dei docenti che aiuti l’innovazione didattica a passare dalla buona formazione alla pratica in classe.

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  1. Dina Labbrozzi

    Articolo molto interessante. Come docente, in riferimento alla mia esperienza, concordo con l’affermazione secondo cui “la Dad è stata una grande occasione mancata” che “lascia presagire un sostanziale ritorno allo status quo a pandemia conclusa”. L’elevata età anagrafica media dei docenti, insieme alla sostanziale assenza di valide politiche di reclutamento su base merocratica, impongono una seria riflessione su quali siano i reali investimenti sulla scuola pubblica, al di là delle rifome che periodicamente incombono per quanto concerne orari e discipline.

    • lucia mattera

      Non facciamo di tutta l’erba un fascio. Ci sono docenti che hanno puntualmente utilizzato risorse digitali, da film e documentari ad attività on line, ad es. per Greco e Latino (giochi didattici, pubblicazioni di alunni su siti) per rendere le lezioni più stimolanti e non sono mancati riscontri positivi. L’unico problema la connessione discontinua. Ovviamente non tutti in una classe possono raggiungere esiti positivi, ci sarà sempre qualche mediocrità o insufficienza perlopiù per impegno scarso ma questo non solo nella DAD!

  2. Giovanni Rossi

    Chi ha vissuto come il sottoscritto gli ultimi 36 anni di scuola come docente ( ITTS ) ha visto l’impatto che la trasformazione del tessuto sociale e culturale di questo paese ha avuto sul mondo della scuola e sul sistema educativo in generale. Gli anni settanta hanno rappresentato il periodo storico in cui si è avuta l’esplosione della educazione di massa per cui anche i figli degli operai hanno potuto conseguire un diploma, soprattutto con la nascita e lo sviluppo delle scuole tecniche e professionali, ed iscriversi alle facoltà tecnico scientifiche ( ingegneria in primis ) nonostante il ” razzismo ” culturale imperante di molti docenti della scuola media ( in maggioranza donne ) che raccomandavano i licei per i figli delle classi più abbienti e le scuole tecniche o professionali per i figli degli operai. La “segregazione ” territoriale delle scuole ( i licei nel centro della città e gli istituti professionali nelle periferie ) è figlia di quella sociale , con la nascita di periferie sempre più grandi , prive di servizi culturali; in questo contesto i figli dei benestanti fruiscono di servizi culturali ed economici di base enormemente superiori rispetto ai figli della classe operaia e quindi le condizioni iniziali di conoscenze e sviluppo di competenze scolastiche risultano molto diverse e cio’ spiega perchè la dispersione scolastica sia perfettamente speculare alla povertà sia con riferimento alla geografia di questo paese che in riferimento alle classi sociali. La DAD ha plasticamente messo a nudo questa realtà in cui le famiglie meno abbienti non sono state sufficientemente supportate dei ” devices ” necessari ( tablet, PC ) per assistere alle lezioni o si sono trovate addirittura nell’impossibilità di collegarsi perchè sprovviste della rete internet.
    Tutto si tiene, la qualità della scuola, necessità del riaggiustamento delle disuguaglianze ma questo comporta un investimento serio e massiccio sui servizi alle famiglie, sulle infrastrutture ed ovviamente sulla qualità dei docenti; oggi si fanno concorsi a quiz, ai miei tempi mi è stato chiesto di spiegare i contenuti delle discipline in cui mi ero laureato con colloqui e prove scritte. I disastri del periodo Berlusconiano, della Moratti e della Gelmini ( 8MLD di euro di tagli in 3 anni ) hanno fatto il resto anche se ipocritamente la ” sinistra ” non ha mai invertito la rotta ( le classi pollaio continuano ad esistere ); infine una considerazione : perchè un giovane, bravo e promettente laureato dovrebbe scegliere ( a parte la passione ) la carriera di insegnante con una prospettiva che non prevede stipendi e progressioni di carriera adeguati e giustamente sottoposti a valutazioni, non di tipo meramente aziendalistico ? Al di là dei modelli, una struttura è efficiente quando il capo è bravo, coopta i migliori ed organizza il lavoro stimolando anche i più lavativi ed ovviamente, se necessario, caccia i fannulloni; si chiama MERITOCRAZIA .

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