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Classi di livello: promosse o bocciate?

Per poter verificare meriti e demeriti dei vari sistemi di organizzazione didattica, classi di livello comprese, gli studenti dovrebbero essere assegnati in modo casuale all’uno o all’altro. Ma ciò significherebbe ignorare legittime preferenze individuali. Progetti pilota per superare le difficoltà.

Percorsi scolastici diversi: come e quando

Una circolare ministeriale dell’11 dicembre 2015 in cui si invitavano i presidi a utilizzare schemi didattici flessibili e a considerare la possibilità di organizzare il lavoro per “gruppi di livello”, ha dato il via a un dibattito sul rischio di creare le “classi dei bravi e degli asini”. Anche se l’obiettivo non era quello di rivoluzionare il sistema di formazione delle classi, la polemica che ne è nata pone l’accento su una questione importante: quella degli effetti prodotti sui risultati scolastici dalla differenziazione delle attività formative per competenze raggiunte (o per curricula).
Molti sistemi scolastici prevedono che, a un certo punto della loro carriera, gli studenti siano incanalati in percorsi diversi. Negli Usa, ma anche in Inghilterra, la suddivisione avviene soprattutto rispetto all’abilità degli studenti; vi sono così classi frequentate dai più bravi e classi frequentate dai meno bravi. In altri paesi, tra cui la maggioranza di quelli europei, la suddivisone è tra scuole che adottano diversi curricula: quelli generalisti, che preparano all’università, e altri professionalizzanti. In alcuni paesi, ad esempio in Germania, gli studenti vengono selezionati in base ai loro risultati, mentre in Italia il suggerimento degli insegnanti non è vincolante e la scelta è lasciata agli studenti e alle famiglie.
La suddivisione per livelli di abilità presenta sia vantaggi che svantaggi. Predisporre classi più omogenee permette di utilizzare tecniche pedagogiche più appropriate, in grado di rispondere ai bisogni di gruppi omogenei di studenti e di sviluppare i contenuti più adeguati. Permette anche di utilizzare classi di dimensioni differenti in base alle esigenze degli studenti. D’altra parte, però, impedisce l’interazione sociale tra individui con caratteristiche diverse e ciò può produrre effetti negativi non solo dal punto di vista dell’integrazione sociale, ma anche in termini di apprendimento perché gli studenti ricevono importanti input dagli insegnanti, ma anche dai propri compagni, scambiando informazioni e fornendo (o ricevendo) supporto nelle attività di apprendimento.
Rilevante è anche l’età in cui avviene la divisione in gruppi. Se è troppo precoce, è facile che l’assegnazione venga influenzata da variabili di contesto e non rispecchi le effettive capacità degli studenti.
Uno studio dell’Ocse mostra che i bambini con background socio-economico più povero sono sovra-rappresentati nei gruppi di bassa abilità. E poiché l’età di ingresso a scuola influenza il rendimento scolastico, è facile che nei gruppi a elevata abilità vi siano soprattutto bambini più maturi (come si è riscontrato nel Regno Unito). Ciò può avere effetti persistenti sui processi di apprendimento e sulle scelte formative e impedire che ciascuno sviluppi le proprie potenzialità.
Ci possono essere anche effetti negativi sulla mobilità sociale: nei paesi in cui gli studenti vengono precocemente suddivisi in percorsi diversi si osserva un maggior impatto del background socio-economico della famiglia di origine sui risultati degli studenti, ad esempio in termini di probabilità di abbandono o probabilità di conseguire una laurea.

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La situazione in Italia

L’Italia, pur adottando un sistema in cui gli studenti non sono suddivisi per abilità e che introduce la divisione per curricula più tardi che in Germania o in Olanda, non sembra avere risultati confortanti né per efficienza né per equità.
Siamo tra i paesi con i peggiori risultati nei test standardizzati internazionali e tra quelli in cui le scelte e gli esiti formativi sono fortemente influenzati dalle condizioni economiche e sociali delle famiglie di provenienza. Nei test Pisa presentiamo una percentuale di studenti eccellenti inferiore del 50 per cento alla media Ocse e la probabilità di frequentare un liceo e in seguito l’università è fortemente influenzata dal titolo di studio dei genitori. Secondo alcuni studi (Ferrer-Esteban, 2011, Agasisti e Falzetti, 2013), poi, le nostre scuole praticano informalmente una segregazione per classi in base al background socio-economico (soprattutto nel Sud).
Introdurre un certo grado di flessibilità nei curricula (consentendo agli studenti di aggiungere materie a scelta, ad esempio matematica avanzata), soprattutto nelle scuole medie e superiori, potrebbe essere perciò una buona scelta per valorizzare le eccellenze.
Più complesso è invece stabilire se l’organizzazione della didattica per livelli di abilità possa produrre benefici. L’evidenza empirica citata dai media (ad esempio Corriere della Sera) non è del tutto attendibile poiché per poter comprendere gli effetti dei diversi sistemi bisognerebbe potervi assegnare casualmente gli studenti. Nella realtà, tuttavia, le famiglie e gli studenti selezionano la scuola in base alle sue caratteristiche – spesso non osservate dall’analista – e al metodo che utilizza per assegnare gli studenti alle classi. Ciò complica l’individuazione di effetti causali. Ad esempio, se gli studenti più abili scelgono la scuola che organizza l’attività didattica per livelli e quelli meno abili la scuola che utilizza classi miste, la differenza osservata nei risultati scolastici può dipendere sia dall’efficacia dei due sistemi didattici che dalla selezione degli studenti in base alle abilità.
Un modo per affrontare il problema è di condurre un esperimento in cui l’allocazione degli studenti alle scuole che utilizzano i due sistemi è artificialmente frutto del caso. Poiché vi è una legittima resistenza a ignorare le preferenze individuali e ad assegnare casualmente gli studenti, di questi esperimenti ne sono stati condotti pochi. Uno è offerto da Esther Duflo, Pascaline Dupas e Michael Kremer: mostrano come in Kenia la suddivisone per livelli di abilità produca un effetto benefico sui risultati scolastici, anche degli studenti meno bravi.
Esiti opposti sono stati riscontrati in un esperimento condotto in California (Julian Betts): la suddivisione per abilità ha un effetto negativo sui risultati medi degli studenti: si ha un beneficio per quelli più bravi, che però viene più che compensato dal costo subito da quelli meno bravi. I risultati divergenti possono dipendere anche da differenze nel contesto economico e sociale: un esperimento è stato realizzato in Kenia e l’altro negli Stati Uniti.
Nel nostro paese manca evidenza di questo tipo e perciò la discussione tende a diventare ideologica. Si potrebbe tentare con progetti pilota al fine di avere un quadro informativo adeguato a valutare costi e benefici della scelta.

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  1. Marina

    Molto si dice , e giustamente , sul problema del sostegno agli allievi meno dotati.
    Paradossalmente esiste anche il problema inverso, mi riferisco alla scuola primaria.
    Ho un nipote , lasciamo perdere se intelligente o meno, che apprende tutto in pochissimo tempo ed ha quindi risultati scolastici al massimo. Però a scuola si annoia e siccome è vivace “anima” la classe in modo ingestibile per le maestre pur capaci. Così accanto a votazioni al massimo accumula “note” di condotta quotidiane con il risultato di essere continuamente punito a casa (i genitori non vogliono giustamente contraddire le maestre) oltre alle reprimende che prende a causa della sua vivacità nel contesto famigliare.
    Insomma se per lui ci fosse un percorso scolastico un po’ più “impegnativo” , perderebbe meno tempo , sarebbe stimolato e non metterebbe continuamente in imbarazzo maestre e genitori.

    • Pino

      Il nipotino sarà anche un genio, ma: o è un po’ disadattato, o gli insegnanti sono piuttosto mediocri.

  2. Giuseppe Mirabella

    Lo studente,a qualunque età, non è,e non deve diventare, un robot idoneo solo a svolgere specifiche mansioni.Pertanto, sia l’apprendimento, sia la formazione del carattere, derivano dallo studio, ma anche dall’interazione con i compagni e con tutto l’ambiente circostante. Di conseguenza, al di là di di chiacchiere alla moda e di sperimentazioni da risultati assai opinabili, penso che la formazione di sezioni sulla base di livelli di profitto avrebbe risultati deleteri.

  3. ghino di punta

    Solo un asino può trasformare “gruppi di livello” in “classi dei bravi e degli asini”. Si può essere bravo in italiano, ma asino in fisica. Non occorre solo superare la suddivisione in classi, ma la suddivisione in licei vari indirizzando gli studenti verso discipline differenziate in livelli di difficoltà.
    Uno studente bravo e capace in matematica studierà con un gruppo di studenti di pari livello, ma potrebbe essere meno bravo in latino e quindi trovarsi in un gruppo di livello più basso per questa disciplina.
    Per andare oltre, andrebbero abolite le medie e introdotte primarie di 7 anni e con almeno due maestri. Nei successivi 5 delle superiori devono essere gli studenti stessi, adeguatamente seguiti durante il settimo anno delle primarie, a scegliere un piano di studio.
    In questo modo si supererebbero anche i test di ammissione all’università: senza fare greco e latino di livello A non si può accedere a lettere classiche. Senza matematica o fisica di livello A niente SMFN o medicina e così via. Seguendo matematica livello B o C, latino livello B possono essere intrapresi studi tipo lettere moderne, storia, psicologia, giurisprudenza.
    E’ bene dire che chi non ha nel suo curriculum scolastico discipline di livello A non potrà insegnarle nelle scuole superiori.
    Nel sistema attuale gli studenti “poco” bravi costituiscono una ingiusta zavorra per quelli capaci e meritevoli!

  4. giovane arrabbiato

    Sono sempre stato uno studente eccellente, dalla matematica all’educazione fisica, e ad essere onesti gli ”asini” sono tali semplicemente perchè non hanno voglia di studiare.
    Io passavo 4 ore al pomeriggio a fare traduzioni di greco e latino mentre gli ”asini” le passavano al bar.
    Nota, io venivo dalla cosiddetta famiglia ”povera”, gli asini spesso da quelle ricche.
    Guardando indietro, sono sempre stati un peso: non solo studiavano poco, ma disturbavano la lezione e i compagni e venivano mandati avanti con il famoso calcio nel c…

    Se uno non ha voglia di studiare, perchè forzarlo? Perchè obbligare altri a sopportare la sua presenza? A conti fatti sono sempre stati un peso ed invece ricordo con piacere quelle pochissime occasioni in cui le classi venivano suddivise in gruppi in base alle capacità.

    In Italia il merito non conta e si vede dalla scuola.

    Perchè togliere le famose braccia all’agricolutra?

  5. Luca Demattè

    La proposta di stabilire tramite studio randomizzato quale modello sia migliore mi sembra particolarmente discutibile sul piano etico: a differenza di situazioni apparentemente paragonabili, penso alle sperimentazioni cliniche, la scelta randomizzata di un percorso scolastico può in effetti condizionare tutte le scelte successive del soggetto. Non si capisce poi quale autorità dovrebbe approvare il protocollo (in analogia con i comitati etici dei trial clinici).
    Forse sarebbe preferibile uno studio che misuri non tanto le competenze raggiunte alla fine del percorso scolastico, quanto il grado di miglioramento dei ragazzi. In questo modo, e ovviamente registrando per quanto possibile i confounders esistenti, si potrebbe forse arrivare a qualche conclusione sufficientemente robusta.

  6. Roberto Crescini

    La didattica per livelli è già prevista in ogni scuola. Il consiglio di classe divide periodicamente gli alunni in tre o quattro fasce di livello, e prevede interventi diversi per ognuna di esse. Inoltre nelle scuole ci sono anche tante possibilità di aprire le classi, che ogni collegio dei docenti decide preventivamente, così da poter accorpare chi ha bisogno di potenziamento o di recupero. Il peccato è che poi il docente medio raramente progetta e attua questi interventi per fasce nella didattica quotidiana.

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