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Come affrontare la tripla transizione, in Stellantis e non solo

Per fronteggiare le transizioni verde, digitale e demografica, soprattutto nell’automotive, servirebbe un progetto di politiche attive di riqualificazione mirata dei lavoratori, più che misure di sostegno al reddito, anticipando la direttiva Ue sul tema.

Il passaggio all’auto elettrica

Il 18 ottobre si è svolto lo sciopero nazionale dei metalmeccanici per difendere l’occupazione, il lavoro e per rilanciare il futuro dell’industria dell’auto in Italia e in Europa. I sindacati chiedono una transizione giusta che metta al centro il lavoro e il futuro dell’auto in Italia. E denunciano un progressivo disimpegno della multinazionale Stellantis dal nostro paese, reputato poco attrattivo rispetto ad altri stati europei, e la carenza d’investimenti per la produzione di auto elettriche che noi importiamo soprattutto dalla Cina.

Le date sono importanti: mancano poco più di dieci anni alla messa al bando nell’Unione europea del motore endotermico e gli stabilimenti italiani (ed europei) non si stanno attrezzando per la transizione obbligata all’elettrico che richiede ingenti investimenti e competenze nei settori green e digitale. Non è facile prevedere se in Europa verranno negoziate deroghe alle scadenze già stabilite. È però ragionevolmente certo che, nel frattempo, Stellantis apra una procedura per la riduzione del personale, giustificata se non dalla chiusura degli stabilimenti, dalla necessità di un ricambio generazionale richiesto dall’utilizzo delle nuove tecnologie; e che continui ad agevolare le uscite volontarie per i lavoratori più avanti negli anni. Dovendo trattare con una multinazionale è assai significativa la ritrovata unità sindacale perché la scelta del disimpegno è più facilmente praticabile da parte di un’azienda che non reputa di avere un interlocutore affidabile con cui trattare: neppure quando l’interlocutore è il governo in carica.

Ma, al di là della protesta, che fare per i lavoratori del settore che non dovessero essere trattenuti dall’azienda?

Negoziare misure per i lavoratori adulti

Se si guarda la composizione dei circa 20mila partecipanti allo sciopero nazionale, colpisce che per la maggior parte siano uomini adulti. È vero che il settore dell’automotive è poco caratterizzato dalla presenza femminile. Ma meno spiegabile è la scarsa presenza dei giovani nelle fabbriche e, dunque, nel sindacato e alla manifestazione.

Molti dei lavoratori scesi in piazza sono da anni in cassa integrazione: mi ha molto impressionato sentir dire da alcuni di loro che si sentono più dipendenti dell’Inps che di Stellantis. Questi lavoratori sono i primi a rischiare il licenziamento perché hanno perso la loro professionalità e, probabilmente, non sono riqualificabili per le lavorazioni richieste dal passaggio all’auto elettrica.

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Del resto, in Italia il numero dei lavoratori over 50 cresce in tutti i settori a cominciare dalla pubblica amministrazione. Poiché per molti di loro stanno terminando gli ammortizzatori sociali e non è possibile accedere al prepensionamento, è necessario che il sindacato giochi di anticipo e cominci a pensare a una strategia efficace di politiche attive per il lavoro e di politiche per l’invecchiamento attivo chiedendo il coinvolgimento di tutte le istituzioni interessate.

Anticipazione dei fabbisogni del mercato del lavoro

Nell’ultimo decennio si è assistito a un cambio radicale nell’analisi del mercato del lavoro. La digitalizzazione di una serie di processi amministrativi e il ricorso sempre più frequente alle piattaforme da parte delle aziende per la ricerca del personale hanno significativamente incrementato le basi informative disponibili. Questo ha favorito lo sviluppo di strumenti di Labour Market Intelligence e di Skills Intelligence in grado di restituire una fotografia del mercato del lavoro estremamente dettagliata e di garantire al contempo un supporto informativo indispensabile per la gestione e l’attuazione di politiche del lavoro efficaci. Questi strumenti sono utili a comprendere meglio le esigenze del mercato e possono migliorare il processo di allineamento tra la domanda e l’offerta di competenze (Indagine Excelsior Unioncamere). Con un mismatch che supera il 50 per cento per i lavoratori specializzati e tecnici, non è difficile capire quale sia il solo modo in cui si può aggredire il problema della riqualificazione e della eventuale ricollocazione dei lavoratori del settore automotive che rischiano il licenziamento.

Cosa può fare il governo: l’esempio della direttiva due diligence

A luglio di questo anno è stata approvata la direttiva n. 2024/1760 la quale introduce, tra l’altro, obblighi per le grandi aziende in materia di prevenzione ed eliminazione degli effetti negativi, effettivi o potenziali, sui diritti umani (nei quali sono ovviamente compresi i diritti dei lavoratori) e sull’ambiente, nell’intera catena di valore. La direttiva prevede poi obblighi per le società di determinate dimensioni (più di mille dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450 milioni di euro nell’ultimo esercizio; o aziende che senza aver raggiunto i limiti suddetti, sono a capo di un gruppo che ha raggiunto tali limiti minimi nell’ultimo esercizio) di adottare e attuare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici, volto a garantire la compatibilità del modello di business e delle strategie aziendali con la transizione verso un’economia sostenibile nel rispetto del limite di un aumento non superiore a 1,5 gradi di riscaldamento globale entro il 2030 e di neutralità climatica entro il 2050.

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La stessa direttiva sancisce che gli stati membri provvedano a che ciascuna società eserciti il dovere di diligenza mediante una serie di azioni per valutare e prevenire gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente. E che sia garantita la consultazione dei portatori di interessi (tra i quali sono compresi i lavoratori, i sindacati e rappresentanti dei lavoratori autonomi) ai quali devono essere fornite informazioni pertinenti e complete al fine di svolgere una consultazione efficace e trasparente su come il dovere di diligenza sia inserito nei sistemi di gestione dei rischi.

I sindacati italiani dovrebbero dunque sollecitare il governo ad anticipare l’attuazione della direttiva esigendo dall’industria dell’auto di individuare subito le transizioni professionali necessarie, in relazione agli sviluppi economici prevedibili nel settore. In modo che possa essere messo in campo urgentemente un progetto di riqualificazione delle persone interessate specificamente mirata alle esigenze proprie della triplice transizione in atto. Sarà, certo, un processo costoso; ma – se avviato subito – lo sarà certamente meno di quanto costerebbero altrimenti le politiche passive inerenti al sostegno del reddito di decine di migliaia di persone che perderanno il posto in questo settore. Rientrerà, poi, nella due diligence cui dovrà essere sollecitata l’impresa anche l’apertura del dialogo e della consultazione con i sindacati per la valutazione degli impatti negativi causati dalla propria attività e per stabilire in modo condiviso strategie di mitigazione sui livelli occupazionali. Ma l’accento dovrà cadere più sulle politiche attive mirate alla riqualificazione dei lavoratori che sulle politiche passive necessarie per sostenere il reddito di persone la cui occupazione è destinata a cessare.

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Governo societario: le buone regole nascono dall’autodisciplina

  1. Savino

    A furia di continuare a dire che solo il mercato può risolvere certi problemi e di continuare ad escludere lo Stato dall’economia (salvo i profumati incentivi periodici e l’eterna cassa integrazione accollata), si è imbavagliata ogni possibilità di decidere in senso pubblicistico su tali questioni.
    Se si apre una due diligence, non deve solo essere una ipotesi di progetto industriale, ma deve essere ben chiarito chi comanda, alla luce del fatto che c’è uno Stato che ci mette le risorse (di tutti) ed un privato che pensa solo agli utili (per pochi e soliti, con zero rischi). Il mercato ha fallito e non si possono inventare cavilli o regole UE che impediscono allo Stato di entrare nel vivo della sua economia e di salvare i suoi marchi storici. La famiglia Agnelli-Elkann deve farsi da parte e lasciare spazio a chi ci sta mettendo le risorse, che potrà rilanciare l’azienda con nuove assunzioni e riqualificando i dipendenti over 50.

  2. Angelo

    Dubito sempre molto sulle politiche attive che mirano a riqualificare i lavoratori in esubero. Ho esperienze dirette, sia lavorative nel settore della formazione, che come lavoratore che ha dovuto “subire” la riqualificazione e mi sembra che gli attori che hanno modo di guadagnarci siano sempre solo 3, sui 4 partecipanti. L’azienda che licenzia, che scarica quasi interamente sul pubblico i costi per riqualificare, ma ci fa’ comunque bella figura ed evita, e riduce lo scontro con i sindacati. Lo stato, che nelle grandi vertenze, per capirci quelle che arrivavano a interessare i media, mostra di occuparsene. Le società di formazione, che da sempre vivono su fondi europei e pubblici, alimentando spesso un sottobosco di lavoratori con contratti poco trasparenti. Quelli che ci guadagnano sempre poco sono i lavoratori, che finito il periodo di riqualificazione, spesso addirittura retribuito, anche se in maniera risibile, si trovano al punto di partenza, ma con un bellissimo attestato che possono appendere in soggiorno, sempre che ne abbiano ancora uno. Chiedere ai sindacati di farsi parte attiva in questo processo mi sembra fuori luogo. Sempre che l’attività che viene richiesta non sia quella di compilare moduli e fare richieste attraverso l’importante rete di patronati che a loro fa capo. Ovviamente dietro pagamento da parte di Inps.

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