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Nell’America divisa vince Trump

Le incertezze della vigilia sono state spazzate via dal voto: Donald Trump è il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Ha superato Harris anche nel voto popolare e avrà un Congresso allineato sulle sue posizioni. Ma il paese resta spaccato a metà.

Nessuna incertezza sul risultato

Alla vigilia delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti regnava l’incertezza, su almeno quattro fronti. Innanzitutto, c’era incertezza su chi avrebbe vinto la presidenza, con Kamala Harris e Donald Trump sostanzialmente alla pari nei sondaggi. Poi c’era incertezza sul risultato delle elezioni per il rinnovo del Congresso, e quindi sull’eventualità di un allineamento tra presidenza e Congresso o, al contrario, di un governo diviso. In terzo luogo, c’era incertezza su quando si sarebbero conosciuti i risultati definitivi, dato il precedente del 2020 e il fatto che 80 milioni di americani hanno votato per posta. C’era infine l’incognita su cosa sarebbe accaduto una volta comunicati i risultati, poiché il candidato repubblicano aveva minacciato di non riconoscere eventuali esiti a lui sfavorevoli.

Nella notte tra il 5 e il 6 novembre tutta questa incertezza è stata spazzata via (o quasi). Donald Trump è il nuovo presidente, il Senato è passato dal controllo democratico al controllo repubblicano e sembra probabile che lo stesso avvenga per la Camera.

Il voto per la presidenza

Fino alla vigilia delle elezioni, i sondaggi mostravano una competizione estremamente serrata tra i due candidati. In quelli nazionali sul “voto popolare”, Harris manteneva un leggero vantaggio su Trump, ma sempre entro il margine di errore, indicando un equilibrio precario. Le presidenziali si decidono tuttavia tramite l’Electoral College, ma anche le previsioni su questo fronte riflettevano un testa a testa, con probabilità statisticamente identiche di vittoria per entrambi.

Il voto ha premiato Trump, che ha vinto in tutti i cosiddetti stati contesi. La maggior parte degli stati americani ha solide tradizioni di voto verso una parte o l’altra; dunque, i candidati di fatto partono già con oltre 200 voti elettorali ciascuno e l’elezione si decide nei cosiddetti “battleground” o “swing states”. Questa volta erano sette gli stati in bilico con un totale di 93 delegati, dai sei del Nevada ai diciannove della Pennsylvania. I sondaggi degli ultimi giorni prima delle elezioni mostravano una situazione molto incerta in tutti, con pochi punti percentuali a separare i due candidati: Harris era data leggermente favorita in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin (il cosiddetto Blue Wall) e Trump in Georgia, Arizona e North Carolina. Il Blue Wall non ha retto e Trump ha vinto non solo in Georgia e North Carolina, ma anche in Pennsylvania e Wisconsin (il conteggio dei voti è ancora in corso in Arizona, Michigan e Nevada, ma Trump è in vantaggio anche lì). Le vittorie in questi stati sono tra uno e tre punti percentuali, ma tutti i risultati sono orientati nella stessa direzione.

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Trump ha inoltre vinto il voto popolare, un traguardo che i repubblicani non raggiungevano dal 2004.

L’importanza del Congresso

Anche i risultati delle elezioni per il Congresso sono fondamentali nel sistema americano, data l’importanza dei “checks and balances”. Il Congresso, infatti, ha il potere di influenzare e limitare le azioni del presidente attraverso leggi, bilanci e indagini, rappresentando un contrappeso essenziale alla presidenza. In particolare, il presidente ha bisogno del sostegno del Congresso per attuare politiche fiscali, incluse imposte e spese, che rientrano tra le competenze legislative. Il presidente ha invece un maggiore potere in materia di dazi e altre politiche commerciali e, in parte, sulle politiche per l’immigrazione. Se il partito del presidente non controlla entrambe le camere del Congresso, l’agenda politica dell’amministrazione può essere significativamente ostacolata. Di conseguenza, l’esito delle elezioni per la Camera dei rappresentanti e per il Senato ha un ruolo cruciale nel determinare la capacità del presidente di attuare le proprie politiche.

Com’è composto il Senato

Alla vigilia delle elezioni, il controllo del Senato degli Stati Uniti era in bilico. I senatori sono eletti per mandati di sei anni, e ogni due anni si rinnova circa un terzo del Senato, garantendo così una maggiore continuità rispetto alla Camera dei rappresentanti, dove tutti i seggi sono in gioco ogni due anni. I democratici detenevano una maggioranza risicata di 51 seggi, grazie al sostegno di quattro indipendenti uniti al “caucus” democratico; Bernie Sanders del Vermont, Angus King del Maine, Joe Manchin della West Virginia e Kyrsten Sinema dell’Arizona. I repubblicani avevano 49 senatori. La maggior parte dei seggi in palio (23 su 34) era occupata da democratici o indipendenti alleati dei democratici.

Il risultato delle elezioni consegna il controllo del Senato ai repubblicani: sono bastati l’Ohio e la West Virginia per ribaltare il controllo 51-49, a cui si è aggiunto il Montana, portando i repubblicani a una maggioranza di 52-48.

Scrutinio in corso per la House of Representatives

Prima delle elezioni, la situazione nella House of Representatives vedeva una maggioranza risicata dei repubblicani, con 220 seggi rispetto ai 213 dei democratici; la soglia di maggioranza è fissata a 218 seggi. Anche l’esito dell’elezione per il controllo della Camera dipende da un numero relativamente limitato di distretti altamente contesi. Per questo, se per presidenza e Senato i risultati sono definitivi, in molti distretti per la Camera il conteggio dei voti postali è ancora in corso. Tuttavia, le previsioni danno i repubblicani in vantaggio. Il New York Times dà ai repubblicani una probabilità dell’83 per cento di conquistare il controllo della Camera.

Si prospetta dunque un Congresso controllato dai repubblicani e allineato con il presidente.

Le promesse elettorali di Trump

Tutto questo significa che Trump avrà una concreta possibilità di attuare il programma promesso durante la campagna elettorale, anche perché i repubblicani eletti al Congresso oggi sono molto più in sintonia con lui di quanto non lo fossero durante il suo primo mandato.

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Il programma prevede misure drastiche su molti fronti, specialmente in ambito economico, sull’immigrazione e sulla deregolamentazione. Sul piano economico, propone tagli alle imposte sulle imprese e per i redditi personali più alti, una riduzione delle regolamentazioni e un uso aggressivo dei dazi doganali, inclusa una proposta di aumentare nettamente quelli sui prodotti cinesi e di imporne uno del 10 per cento sui prodotti importati da qualsiasi paese.

In tema di immigrazione, Trump prevede misure molto severe: da una parte, propone la deportazione di massa di milioni di immigrati irregolari; dall’altra, intende introdurre restrizioni anche per l’immigrazione regolare.

In tema di deregolamentazione, ha annunciato la creazione di una “commissione per l’efficienza del governo” guidata da Elon Musk, con l’obiettivo di eliminare un buon numero di regolamentazioni federali e di ridurre il potere delle agenzie federali. Non solo, ma Trump ha dichiarato che vorrebbe maggiore controllo sulla Federal Reserve, riducendone l’indipendenza. Questa prospettiva è particolarmente preoccupante, poiché alcune delle sue politiche economiche, come i dazi e le restrizioni sull’immigrazione, sono potenzialmente inflazionistiche.

Gli Stati Uniti dei prossimi quattro anni

Gli Stati Uniti, ancora una volta, si presentano al mondo come un paese profondamente polarizzato, diviso quasi perfettamente a metà. Il testa a testa negli stati contesi e la vittoria di Trump di pochissimi punti riflette non solo una competizione elettorale serrata, ma una frattura sociale e politica radicata, che sembra attraversare ogni strato della popolazione. Le differenze ideologiche non sono mai state così marcate, con visioni opposte su temi fondamentali come economia, immigrazione e il ruolo del governo. La divisione rende complesso il dialogo e ostacola l’unità nazionale, spingendo il paese verso un futuro in cui governare sarà sempre più arduo e la coesione sociale sempre più fragile. Di fronte a un Congresso allineato con il presidente e un programma che promette misure drastiche, l’America si trova ora a un bivio, dove le sfide interne ed esterne metteranno alla prova la resilienza delle sue istituzioni e la tenuta del suo tessuto sociale.

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  1. Savino

    In giro non c’è più un’idea di Stato e di politica. Si chiede solo la protezione di uno sceriffo, ma il suo distintivo è una spilla pro-forma e non un simbolo di democrazia e di libertà. E’ chiaro che laddove gli organismi multilaterali sono delegittimati si spera che la pace sia garantita da un isolazionismo buono e l’economia dalla chiusura medievale data dalla limitazione dei dazi. Già gli USA erano uno Stato leggero, senza peso in economia e nelle politiche sociali, ora si scioglieranno nel liquido dell’AI, con conseguenti sacche di povertà per chi, a causa di Musk, perderà il posto di lavoro.

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