Il disegno di legge di bilancio 2025-2027 proroga per altri tre periodi d’imposta l’incentivo per le nuove assunzioni. Resta sospesa l’attuazione della legge delega per la riforma fiscale. A conti fatti, le imprese escono nel complesso penalizzate.
La legge delega per la riforma fiscale e le leggi di bilancio
L’articolo 70 del disegno di legge di bilancio 2025-2027 proroga per i tre periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2024 la maggiorazione del costo del lavoro per le assunzioni incrementali, ma resta sospesa l’attuazione della legge delega per la riforma fiscale. Le imprese escono nel complesso penalizzate dai provvedimenti presi da quando si è insediato il governo Meloni.
La legge delega per la riforma fiscale (legge 111/2023, art. 6) prevede l’applicazione di un’aliquota ridotta dell’Ires (la cosiddetta mini-Ires) sugli utili accantonati finalizzati, entro un biennio, a investimenti qualificati e incrementi occupazionali. Trascorsi i due anni, se gli utili non fossero utilizzati per le finalità previste, verrebbero ripresi a tassazione ad aliquota normale. La difficoltà di attuare un sistema a doppia aliquota di questo tipo ha subito indotto il legislatore ad affiancare alla discutibile e complessa riforma (che forse non vedrà mai la luce) l’opzione di avvalersi in alternativa di specifici incentivi, attraverso la possibile maggiorazione della deducibilità dei costi per investimenti qualificati e nuova occupazione.
Nella prima fase di attuazione della delega (Dlgs 216/2023), ci si è concentrati sulla soluzione alternativa, ma limitatamente alle nuove assunzioni, per le quali è stata prevista, solo per il 2024, una maggiorazione del 20 per cento del costo del lavoro deducibile per i nuovi assunti a tempo indeterminato, elevato al 30 per cento nel caso di soggetti “meritevoli di maggior tutela”. Contestualmente, però, è stato abrogato l’aiuto alla crescita economica (Ace), benché non fosse espressamente previsto nella legge delega.
Ora il disegno di legge di bilancio per il 2025, in discussione in Parlamento, cristallizza la situazione di stallo: a) l’incentivo all’assunzione stabile di nuovi lavoratori è prorogato per tre periodi d’imposta, ma rimane comunque temporaneo; b) non è prevista alcuna maggiorazione del costo fiscale degli investimenti. Il Ddl di bilancio proroga alcuni incentivi esistenti (la nuova Sabatini, il credito di imposta per la quotazione delle Pmi, gli incentivi per gli investimenti nella Zona economica speciale), ma, come osservato nella audizione dell’Upb, resta sostanzialmente invariata la struttura di quelli esistenti, la maggior parte dei quali scadrà nel 2025 e si procede, come peraltro già previsto, a una riduzione delle risorse complessivamente impegnate, rispetto al 2024. Di mini-Ires si parla sempre meno. Nel frattempo, il prezzo che le imprese hanno pagato è stato l’abolizione dell’Ace, a partire già dallo scorso anno.
L’Ace si configurava come un elemento strutturale della tassazione del reddito d’impresa, che intendeva avvicinare il trattamento fiscale della remunerazione del capitale con quello degli interessi, cioè del capitale a debito, per ridurre la discriminazione a favore dell’indebitamento rispetto al capitale di rischio. Lo faceva riconoscendo la deducibilità fiscale di un rendimento nozionale del capitale proprio (autofinanziamento e nuovi apporti di capitale). Ne conseguiva l’esenzione della remunerazione ordinaria del capitale proprio e la tassazione dei profitti eccedenti. Con la sua abrogazione, che ha interessato oltre alle società di capitali anche le imprese individuali e le società di persone, si amplia la definizione di reddito sottoposta a tassazione, si torna a incentivare il ricorso al debito, invece che al capitale proprio, si indebolisce la struttura patrimoniale delle imprese. Proprio per le sue proprietà, l’Ace avrebbe dovuto essere semmai potenziata, non abolita.
L’incentivo all’occupazione e l’abrogazione dell’Ace
Un’analisi degli effetti dell’incentivo sulla nuova occupazione introdotto nel 2024 (e prorogato dal nuovo Ddl di bilancio) e della contestuale abrogazione dell’Ace è stata proposta dall’Istat nel luglio scorso, sulla base del modello di microsimulazione delle società di capitali dell’Istituto (Matis).
I risultati della simulazione mostrano che la maggiorazione del costo del lavoro per incremento occupazionale avvantaggerà solo il 5,6 per cento delle imprese, in particolare nei settori della manifattura e delle costruzioni e prevalentemente medio-grandi; una società su quattro (il 25,3 per cento) risulterà invece svantaggiata dalla soppressione dell’Ace. Queste ultime sono concentrate nel settore manifatturiero (32,9 per cento), sono di grandi dimensioni (quasi una su due tra quelle con oltre 2 milioni di fatturato), localizzate nelle regioni settentrionali ed esportatrici, generalmente più solide e con elevato grado di dinamismo. In media vi è un prelievo Ires addizionale del 12,2 per cento, con quote più elevate per le imprese che, sulla base dell’indicatore sulla sostenibilità economica e finanziaria, figurano “a rischio” e “fortemente a rischio” (25 per cento). Aumenti dell’Ires superiori alla media, e sempre a seguito dell’abolizione dell’Ace, si hanno tra le imprese con fatturato fino a 500mila euro (14,2 per cento), del Nord Est (14 per cento), del Centro (13,3 per cento), dei servizi diversi dal commercio e dai servizi di pubblica utilità (15,6 per cento).
Gli indicatori del cuneo fiscale evidenziano inoltre come l’abrogazione dell’Ace renda il ricorso al capitale proprio più oneroso rispetto al capitale di terzi (+2,5 punti percentuali), indirizzando le scelte di finanziamento delle imprese verso l’indebitamento invece che verso una maggiore patrimonializzazione. L’Ace si era infatti rivelata uno strumento molto efficace per contrastare la dipendenza dal finanziamento bancario, anche nel caso di imprese vulnerabili e rischiose. Nei primi dieci anni di applicazione (2011-2021), lo spostamento verso livelli più elevati di sostenibilità economico-finanziaria è più evidente tra le imprese beneficiarie dell’Ace rispetto a quelle che non ne hanno beneficiato.
Anche osservando le stime riportate nelle relazioni tecniche di accompagnamento ai provvedimenti, le imprese risultano nel complesso penalizzate. L’effetto della detassazione della nuova occupazione consentirà un risparmio di poco più di 1,3 miliardi di imposte, mentre il costo dell’abolizione dell’Ace comporterà un maggiore onere fiscale di 4,8 miliardi nel 2025, che scendono a 2,8 negli anni successivi. Nel complesso, non un buon viatico per la crescita economica.
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