Il commercio può svolgere oggi le stesse funzioni coercitive della politica estera, della diplomazia o del potere militare. Da Marx a Hirschman, gli scienziati economici ci consentono di rintracciare le ragioni alla base delle politiche commerciali di Trump.

Il libero scambio secondo Marx

Alla fine del 1847, gli industriali inglesi organizzarono a Bruxelles una conferenza sul libero scambio. L’obiettivo era quello di promuovere l’abolizione dei dazi in Europa, dopo che in patria le Corn Laws avevano permesso di abbassare i prezzi dei generi alimentari e dei salari, favorendo così la nascente industria manifatturiera. Il giovane Karl Marx si iscrisse nella lista degli oratori, ma prima che arrivasse il suo turno, il congresso fu chiuso. Marx espose allora la sua relazione dal titolo “On the Question of Free Trade”all’Associazione democratica di Bruxelles.

Il grande filosofo riconosce che il libero scambio ha un ruolo rivoluzionario, poiché distrugge i resti del feudalesimo, spinge verso la crescita del capitalismo e la modernizzazione dell’economia. Tuttavia, non porta alla pace e al benessere per tutti, come sostenuto da Montesquieu, Smith e Ricardo, ma aumenta lo sfruttamento, la concentrazione della ricchezza e le disuguaglianze.

Come non vedere allora nell’analisi di Marx alcune delle ragioni di quello che viene chiamato “backlash of globalization”. Ovveroquelle ondate populiste che a partire dalla fine del ventesimo secolo hanno osteggiato, sia da destra che da sinistra, l’“iper-globalizzazione.” Così oggi Donald Trump pretende di difendere con i dazi le classi che più hanno subito gli effetti della globalizzazione. Dimenticando però gli enormi benefici che l’economia mondiale, inclusa quella americana, ne ha tratto, E soprattutto dimenticando che vi sono strumenti ben più efficienti per proteggere i settori più colpiti dal commercio.   

Il commercio estero come strumento politico

Cent’anni dopo Marx, un altro economista ebreo, Albert Hirschman, profugo scappato dal nazismo, in un libro allora sottovalutato (National Power and the Structure of Foreign Trade)sosteneva che Il commercio estero non è solo un fattore economico, ma soprattutto politico, che può essere utilizzato in maniera strategica per ottenere vantaggi. Infatti, spesso i paesi dominanti strutturano le loro relazioni commerciali in modo da esercitare pressioni e creare dipendenze economiche in altri stati. Hirschman poi osservava come i regimi autoritari sono più inclini a usare il commercio per scopi politici. Aveva ben impresso nella memoria ciò che la Germania hitleriana aveva imposto ai paesi dell’Europa dell’Est. Oggi il suo lavoro ci aiuta a capire l’ossessione di Trump per i dazi e soprattutto il loro utilizzo per ottenere vantaggi economici di vario tipo dagli altri paesi: dalla lotta all’immigrazione clandestina a quella al fentanil, fino al tentativo di riportare le imprese manifatturiere negli Stati Uniti e aumentare l’occupazione.

Quando relazioni squilibrate portano a risposte aggressive

Altri due filoni di letteratura economica possono aiutarci a capire le recenti guerre commerciali. Il primo è rappresentato dal libro di una giovane studiosa di relazioni internazionali, Katherine Barbieri: The Liberal Illusion: Does Trade Promote Peace?. Ancora una volta, si mette lì in discussione il paradigma liberista secondo cui gli scambi internazionali portano sempre il benessere e la pace. Infatti, secondo l’autrice, l’interdipendenza economica può intensificare le rivalità, soprattutto quando le relazioni commerciali sono squilibrate. Tipico il caso dell’Inghilterra e della Germania che negli anni precedenti la prima guerra mondiale avevano accresciuto gli scambi bilaterali in maniera asimmetrica: per la Germania l’Inghilterra era un partner commerciale fondamentale, ma per l’Inghilterra il commercio con la Germania era marginale. Lo stesso valeva per le relazioni fra gli Stati Uniti e il Giappone negli anni Trenta. Il paese del Sol Levante, infatti, dipendeva fortemente dalle importazioni americane per materie prime essenziali, come il petrolio, l’acciaio, la gomma, e per altri beni industriali. Quando gli Stati Uniti imposero sanzioni commerciali, in risposta all’espansionismo giapponese (reso evidente dall’invasione della Manciuria e poi della Cina), Tokyo si trovò strategicamente in una posizione vulnerabile e rispose in maniera rabbiosa.

Sulla base di questa analisi è anche facile capire come oggi le intense, ma squilibrate, relazioni fra la Cina e gli Stati Uniti non fanno altro che aggravare le differenze ideologiche, culturali e politiche tra i due paesi.

Come poi sottolinea un contributo fondamentale di Dale Copeland, “Economic Interdependence and War”, ciò che conta sono le aspettative future degli stati. Se un paese si sente minacciato dalle crescenti relazioni commerciali con un altro stato è probabile che si comporti in maniera aggressiva. Oggi, ad esempio, è alquanto evidente che gli Stati Uniti si sentano minacciati dalla crescita economica, tecnologica e militare cinese e reagiscono attaccando, ancora solo commercialmente.  

Il secondo filone della letteratura che ci aiuta a capire l’attualità ha a che fare con la cosiddetta militarizzazione del commercio. David Baldwin nel suo Economic Statecraft, sottolinea come l’economia può diventare uno strumento di politica estera o meglio come il commercio può svolgere le stesse funzioni coercitive del potere militare, della politica estera o degli apparati diplomatici. Negli ultimi anni la militarizzazione del commercio è cresciuta enormemente. Sanzioni, embarghi, dazi e aiuti di stato sono stati abbondantemente usati. Più di recente si è ampliato anche l’utilizzo improprio di reti di comunicazione (cavi sottomarini), sistemi di pagamento (Swift), canali di navigazione (Suez, Panama) e così via.

In questo clima è evidente che l’utilizzo di dazi non appare sconvolgente, ciò che li rende tali è che siano stati usati dal presidente Usa in maniera tanto estesa e disinvolta contro nemici ed ex-amici.  

Le distopie di Trump trovano così qualche giustificazione, anche se non ci permettono comunque di dormire sonni tranquilli. 

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