Dopo la pandemia, il tasso di litigiosità in materia di licenziamenti è tornato a crescere, toccando nel 2024 un picco di 1,6 nuovi procedimenti ogni cento licenziamenti. È un elemento da tenere in considerazione alla vigilia dei referendum sul lavoro.
Molti slogan, poche considerazioni di merito
Il dibattito in vista dei referendum sul lavoro è stato molto animato da slogan e poco da considerazioni concrete nel merito dei quesiti proposti. In particolare, non si è mai discusso di come si sia evoluta la giustizia del lavoro negli ultimi anni, un aspetto chiave per un mercato del lavoro in grado di generare crescita e posti di lavoro.
Uno degli obiettivi chiave del Jobs act era infatti quello di razionalizzazione il diritto del lavoro e rendere più efficiente la giustizia in tale ambito. Come ricordato già qui su lavoce.info, la seconda metà degli anni Dieci è stata effettivamente caratterizzata da una riduzione del contenzioso giudiziario su questa materia. Tuttavia, guardando i dati più recenti forniti dal ministero della Giustizia, sembra ora emergere una inversione di tendenza.
I procedimenti in ambito lavoro
In effetti, negli anni successivi alle riforme del 2015 si è registrata una forte riduzione del contenzioso giuridico in materia di lavoro. Nel 2014 venivano iscritti oltre 105mila nuovi procedimenti e ne venivano definitivi circa 130mila, mentre dieci anni dopo, nel 2024, questi numeri erano rispettivamente scesi a 67mila e 71mila. Il costante “surplus” di provvedimenti definiti su quelli iscritti ha ovviamente generato una riduzione delle pendenze, di proporzioni assai importanti, come si vede nel primo grafico della figura 1: da oltre 207mila procedimenti pendenti nel 2014 in area lavoro si è passati a solo 80mila nel 2024, ben meno della metà.
Nello stesso periodo è calata significativamente anche la durata media dei procedimenti, come si vede nel secondo grafico, passando dai 418 giorni del 2014 ai 296 del 2024.
I procedimenti relativi a licenziamenti
La fotografia cambia se ci concentriamo sulla sezione relativa ai licenziamenti (individuali o collettivi) nel settore privato. Come si vede nella figura 2, dal 2021 in poi c’è una inversione di tendenza, che porta il numero di nuovi procedimenti ad aumentare anno su anno per la prima volta dal 2014 (con una conseguente ripresa anche dei procedimenti definiti). Nel 2024 i nuovi procedimenti raggiungono quota 105mila, in aumento del 15 per cento rispetto al 2023 e del 43 per cento rispetto al 2022. Nello stesso periodo si osserva anche una diminuzione nel numero di licenziamenti, che nel 2024 hanno toccato il valore più basso degli ultimi venti anni, pari a 680mila. I due dati combinati, però, fanno sì che il tasso di litigiosità riguardo ai licenziamenti (il numero di procedimenti iscritti diviso il totale di licenziamenti avvenuti) abbia toccato l’anno scorso il valore più alto degli ultimi dieci anni: vi sono stati infatti 1,6 nuovi procedimenti ogni cento licenziamenti, un valore persino superiore agli 1,3 del 2014.
Non è semplice capire quale sia un possibile “livello ottimale” di litigiosità, ma in prima battuta le ragioni dietro questi numeri possono essere ricercate nelle modifiche apportate tra il 2019 e il 2024 dalla Corte costituzionale alla disciplina dei licenziamenti contenuta nel Dlgs n. 23/2015: sono correzioni che tendono a eliminare l’automatismo nella determinazione dell’indennizzo dovuto (nel caso di motivazione ritenuta dal giudice insufficiente) e ad aumentare la discrezionalità del giudice nella scelta tra sanzione reintegratoria e sanzione indennitaria.
Riflessioni in vista del voto
Le riforme del mercato del lavoro degli anni 2012-2015 avevano l’obiettivo di riorganizzare e semplificare l’ordinamento giuslavoristico e dare maggiore certezza agli attori in campo, con l’idea che leggi più chiare siano un beneficio per tutti: passare da un’aula di tribunale non è un’esperienza semplice o piacevole né per i lavoratori né per gli imprenditori. E l’incertezza generata da norme poco chiare, o che lasciano troppa discrezionalità al giudice, porta vantaggio solo ad avvocati e giuslavoristi chiamati a sbrogliare la matassa. Uno studio scientifico appena pubblicato sul prestigioso Journal of Labour Economics mostra, proprio per il caso italiano, come la lentezza dei giudizi nel risolvere le cause renda la vita difficile alle aziende, riducendone la capacità di assumere nuovo personale.
I numeri raccolti in questo articolo vanno letti con cautela, ma l’inversione di tendenza degli ultimi anni è un fatto importante nel valutare i quesiti referendari dell’8 e 9 giugno, che puntano ad allargare l’area di discrezionalità della valutazione del giudice, così aumentando l’alea del giudizio: fattore diretto, questo, di un aumento del contenzioso giudiziale. In altre parole, l’ago della bilancia si sposterebbe di nuovo nel senso di un aumento degli spazi nei quali la soluzione delle controversie giuslavoristiche può essere trovata soltanto sul terreno giudiziario.
Se è molto difficile che venga raggiunto il quorum, il dibattito intorno ai quesiti potrebbe essere utile per ricordare come una efficiente giustizia in materia di lavoro sia un aspetto da cui non si può prescindere per creare un mercato del lavoro capace di generare crescita e opportunità.
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Pietro Della Casa
Direi che l’autore mette il dito su una piaga. Che però ha forse più a che vedere col concetto italiano di giustizia che col tema specifico del lavoro … Ossia giustizia intesa in senso morale ed in accordo coi principi morali, inevitabilmente soggettivi in una società individualista, piuttosto che giustizia intesa tecnicamente come applicazione della legge. Legge che diventa fluida e di fatto plasmabile a piacimento da parte di chi ha il potere di applicarla.