Stipendi a scuola: c’è chi ci guadagna e chi ci perde

Un insegnante italiano guadagna, in media, molto meno di un lavoratore laureato. Il divario non è però uguale per tutti. Chi ha una laurea umanistica ha uno stipendio più alto degli ex colleghi di università. Per i laureati Stem accade il contrario. 

Il divario salariale degli insegnanti 

Con l’inizio dell’anno scolastico tornano in classe non solo gli studenti, ma anche gli insegnanti. Figure centrali per il funzionamento della scuola pubblica, continuano però a essere poco valorizzati: lo confermano i dati. 

Secondo il rapporto Education at a Glance 2023 dell’Ocse, un docente italiano delle scuole superiori con 15 anni di esperienza guadagna in media circa 44mila dollari annui lordi a parità di potere d’acquisto, al di sotto della media Ocse (che si aggira tra i 50mila e i 55mila dollari) e lontano dai 65mila dollari che si registrano in paesi come Germania e Paesi Bassi. Complessivamente, un insegnante italiano percepisce circa il 16 per cento in meno rispetto ai colleghi europei a parità di esperienza. 

Il problema si pone non soltanto in termini assoluti, ma anche in termini relativi. La figura 1, tratta dallo stesso rapporto, evidenzia come in Italia la retribuzione degli insegnanti della scuola secondaria sia inferiore in modo consistente a quella dei lavoratori con un titolo terziario, nonostante richieda un livello d’istruzione comparabile: il salario dei docenti in Italia rappresenta meno dei tre quarti del salario medio di un lavoratore laureato, uno dei livelli più bassi tra i paesi Ocse, dove la media si attesta al 95 per cento. 

Il grafico mette in chiaro anche la marcata differenza retributiva tra insegnanti e dirigenti scolastici. Questi ultimi percepiscono uno stipendio superiore del 72 per cento rispetto al salario medio di un lavoratore laureato, contro una media Ocse pari al 45 per cento. La distanza riflette una struttura retributiva interna al sistema scolastico italiano, in cui il riconoscimento economico è concentrato sulle posizioni apicali. Se da un lato la maggiore responsabilità gestionale può giustificare una differenza salariale, l’ampiezza della forbice solleva interrogativi sulla valorizzazione economica della funzione docente. 

C’è divario e divario: la differenza tra materie umanistiche e Stem

Se è vero che gli insegnanti italiani guadagnano in media meno di un laureato, il divario non è tuttavia lo stesso per tutti. I microdati dell’Indagine sulle forze lavoro dell’Istat analizzati dal nostro think-tank rivelano che per alcune aree disciplinari, per esempio le materie umanistiche, la differenza si ribalta e diventa addirittura positiva. Nello specifico, abbiamo utilizzato i dati relativi all’anno 2021, gli ultimi per i quali è possibile analizzare congiuntamente reddito e titolo di studio (data la ritrosia e lentezza dell’Istat nel fornire dati sui salari), confrontando il reddito degli insegnanti con quello degli altri laureati. Il confronto avviene a parità di alcune caratteristiche osservabili: genere, età, regione, cittadinanza, tipologia contrattuale. Purtroppo, non abbiamo a disposizione il reddito in valori assoluti, ma solo il decile (rispetto alla distribuzione dell’intera popolazione) a cui appartiene ciascun individuo. 

Nella figura 2 i pallini blu rappresentano il risultato della stima, mentre i pallini arancioni mostrano l’incertezza statistica. I laureati in discipline letterarie, umanistiche, linguistiche, ma anche artistiche e di insegnamento guadagnano 0,5/1 decili di reddito in più se scelgono di fare gli insegnanti rispetto ai loro ex colleghi d’università che intraprendono un’altra professione. Al contrario, i veri penalizzati sono i laureati in discipline scientifiche e ingegneristiche che, quando diventano insegnanti, si trovano 0,5/1 decili più in basso degli ex colleghi. I numeri forniti dall’Ocse e spesso utilizzati nel dibattito pubblico celano, insomma, una profonda eterogeneità. 

Che scuola vogliamo 

Questi dati, oltre a offrire uno sguardo più approfondito su un tema ricorrente, sollevano una rilevante questione di politica economica: quali laureati attira la scuola pubblica in Italia? La ricerca scientifica economica ha ormai corroborato con solide evidenze quantitative l’idea che un bravo insegnante possa fare una differenza significativa nella vita di uno studente (si vedano per esempio i tanti studi dell’economista Jonah Rockoff). La questione riguarda anche il riconoscimento sociale e l’attrattività della professione, con conseguenze in termini di stabilità del personale docente. Uno studio del Center for Education Policy Analysis (Cepa), “Examining the Link between Teacher Wages and Student Outcomes”, mostra che gli stipendi più elevati sono associati a una minore probabilità che gli insegnanti lascino la professione. Questo suggerisce che retribuzioni inadeguate possono contribuire ad alimentare fenomeni di turnover e carenza di personale qualificato. 

E dunque, gli stipendi offerti ai docenti italiani sono in grado di attirare e trattenere buoni insegnanti? I numeri presentati qui suggeriscono che negli ambiti umanistici la scuola pubblica italiana possa davvero ambire ad attirare i migliori, mentre lo stesso non vale per gli ambiti scientifici. Ed è un problema per un paese storicamente indietro nelle materie Stem, in un sistema economico che si sposta sempre più verso i servizi, in un mondo che si fa sempre più digitale. Una politica educativa lungimirante dovrebbe interrogarsi in proposito. Allora, oltre a un necessario innalzamento generalizzato degli stipendi degli insegnanti, perché non immaginare aumenti mirati alle aree disciplinari che fanno più fatica ad attirare docenti in grado di cambiare la vita degli studenti?

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Precedente

L’India, un “non allineato” nel mondo polarizzato

Successivo

Il futuro del Gruppo Mps

  1. Savino

    Credo che dovremmo conservare e tutelare maggiormente, anche come filosofia di vita, la nostra cultura umanistica, che rappresenta il vero made in Italy, per cui non c’è dazio che tenga e che, come i grafici dimostrano, rappresenta quel quid di meritocrazia e cooperazione sociale. Dove c’è cultura umanistica, infatti, non c’è spazio per la competizione sleale tra persone, per gli arrivisti che sgomitano, per i raccomandati, per i conflittuali e i guerrafondai, per i saccenti e tuttologi. Insomma, non c’è spazio per tutti i difetti dei professionisti tecnici, che conosceranno pure le materie STAM e i computer quantistici, ma, con i loro atteggiamenti immaturi e puerili, non stanno rendendo un buon servizio a questa società, che già di problemi ne ha molti di suo.

  2. Fabrizio Merli

    Lo stipendio annuo complessivo lordo ha poco senso se non rapportato alle ore in media effettivamente lavorate. Quante ore all’anno lavora un laureato STEM rispetto ad un insegnante? Quante ore all’anno lavora un insegnante in Italia rispetto ad un insegnante in UK?

    Grazie anche alla tassazione estremamente agevolata in Italia per i dipendenti a tempo pieno in fasce di reddito sino ai 40mila euro lordi a prescindere dalle ore complessivamente lavorate in corso d’anno, il netto guadagnato all’ora di un insegnante è estremamente allettante, motivo per cui è uno di quei comparti pubblici in cui ancora si investe tanto pur di riuscire a rientrarvi.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén