Assicurazioni sanitarie private: è arrivato il momento di discuterne

Poco meno di un terzo degli italiani ha sottoscritto una assicurazione sanitaria privata. Sono i più ricchi, i più istruiti, in genere vivono al Nord e hanno meno di 70 anni. È un segnale preoccupante per il futuro del sistema sanitario universalistico.

L’espansione delle polizze sanitarie

Circa il 30 per cento della popolazione italiana è coperto, secondo le stime, da una forma di assicurazione sanitaria privata, tramite la sottoscrizione di un fondo sanitario oppure attraverso l’acquisto di una polizza sul libero mercato.

I fondi sanitari sono piani offerti dai datori di lavoro come parte del pacchetto di welfare aziendale e sono il frutto della contrattazione fra parti sociali in occasione dei rinnovi contrattuali. La loro diffusione è stata regolamentata a partire dal decreto legislativo 502/92, ed è stata favorita dai vari governi tramite incentivi fiscali ai datori di lavoro e ai lavoratori. L’attuale normativa distingue i fondi di tipo A, volti a coprire esclusivamente le cure non incluse nei trattamenti garantiti dal Sistema sanitario nazionale (tipicamente servizi odontoiatrici e servizi di long term care) e fondi di tipo B, che forniscono ai propri assicurati la possibilità di accedere privatamente a prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza (Lea). I fondi di tipo B sono in costante espansione, rappresentano la stragrande maggioranza (il 96 per cento) e finanziano circa il 70 per cento della spesa intermediata dai fondi sanitari.

Esistono poi le polizze private, molto diversificate per servizi offerti e tipo di copertura.

Nonostante il fenomeno sia in forte crescita e comporti una serie di interrogativi sulla natura del Ssn, manca un sistema centrale di tracciamento che includa tutte le forme di copertura assicurativa. Pur con i limiti relativi alla frammentazione delle fonti, va ricordato che nel 1999 solo il 2 per cento della popolazione aveva una assicurazione privata, percentuale che passa al 12 per cento nel 2013 e al 15 per cento nel 2019. Il dato attuale si attesta intorno al 30 per cento.

Che cosa dicono i numeri

Per inquadrare il fenomeno delle assicurazioni private in Italia, ci si avvale del database European Health Interview Survey, gestito in Italia dall’Istat (ultimo anno disponibile, 2019). La variabile di interesse è tratta dalla domanda: la famiglia possiede una assicurazione? Dai grafici che seguono si può osservare che la scelta di sottoscriverne una non sembra essere guidata dal bisogno di cure, ma da variabili socioeconomiche.

La distribuzione per quintili di reddito mostra che il 27 per cento della fascia più ricca di popolazione possiede una assicurazione, mentre fra coloro che stanno nel primo quintile di reddito solo il 6 per cento ha una forma di copertura. Ugualmente, i più istruiti hanno maggiore probabilità di essere coperti da assicurazione (26 per cento) rispetto a chi possiede solo un diploma di scuola primaria (5 per cento). Ancora, coerentemente con quanto detto sui contratti collettivi, un quarto dei lavoratori è coperto da assicurazione, quota che scende al 10 per cento fra i pensionati, che in genere sono i più bisognosi di cure. Il dato è confermato dalla distribuzione per età, con la percentuale più bassa (8 per cento) mostrata dagli ultrasettantenni – i più fragili in termini di salute – e la più alta (24 per cento) fra gli individui tra i 25 e i 54 anni, un’età in cui generalmente il bisogno di cure è ridotto. Esiste infine un gradiente geografico: nel Nord Italia, dove sono concentrate le attività imprenditoriali e il reddito pro-capite è maggiore, il 24 per cento dei residenti è assicurato, la percentuale scende al 15 per cento in Centro Italia e a 5,5 per cento al Sud.

Figura 1 – Distribuzione della copertura assicurativa per quintili di reddito – Valori percentuali

Fonte: Ehis, 2019

Figura 2 – Distribuzione della copertura assicurativa per titolo di studio – Valori percentuali

Figura 3 – Distribuzione della copertura assicurativa per status lavorativo – Valori percentuali

Figura 4 – Distribuzione della copertura assicurativa per classe di età – Valori percentuali

Andiamo verso il modello Usa?

Poco meno di un terzo della popolazione (in particolare i più ricchi, i lavoratori, i più istruiti, chi vive nel Nord Italia, coloro che non hanno raggiunto i settanta anni di età) ha scelto di sottoscrivere una assicurazione privata. Il segnale è allarmante in presenza di un sistema sanitario universalistico.

Assistiamo a un aumento della quota di mercato a favore degli erogatori privati, e, con i dovuti distinguo, sembra che ci stiamo orientando verso il modello Usa, dove l’assicurazione è fornita dal datore di lavoro e chi ha un lavoro migliore ha una polizza più ricca e completa.

Chi ha l’assicurazione può scavalcare le liste di attesa e scegliere l’erogatore delle cure. Inoltre, nella maggior parte dei casi, non deve farsi visitare dal medico curante per l’accesso ai servizi secondari, con un notevole risparmio di tempo. Chi non ha l’assicurazione deve spesso affrontare lunghi tempi di attesa, con possibili effetti dannosi sulla propria salute e senza la garanzia di un unico interlocutore (la scelta dello specialista) nel percorso di cura. Stiamo assistendo alla discriminazione nell’accesso alle cure a favore di chi possiede una assicurazione sanitaria, la cui distribuzione dipende, a livello collettivo, da disegni istituzionali non attentamente pianificati e a livello individuale da fattori socioeconomici che penalizzano i più bisognosi di cure.

Ci sono poi problemi di efficienza allocativa. La scelta di estendere la copertura assicurativa ad alcune classi di lavoratori partiva dal principio che si potesse alleggerire il carico del Ssn, soprattutto in tempi di tagli ai finanziamenti, attraverso la sostituzione pubblico/privato. Non esistono tuttavia vincoli all’accesso pubblico per i pazienti che hanno usufruito di servizi sanitari privatamente, e il rischio di una duplicazione dei servizi erogati, ovvero tramite canale sia pubblico che privato, è reale, con conseguente perdita di benessere per la collettività. I pochi studi scientifici che si sono occupati di questo argomento non forniscono risultati univoci, anche a causa della frammentazione dei dati disponibili e della diversificazione delle polizze (per approfondimenti, si veda qui e qui).

Sempre in termini di benessere collettivo, la mancanza dell’obbligo di prescrizione del medico curante per l’accesso alle cure secondarie aumenta il rischio di erogazione inappropriata dei servizi. Quando c’è un terzo pagante privato, gli atteggiamenti di moral hazard sono ampiamente documentati dalla letteratura sul sistema sanitario statunitense.

Il dibattito che non c’è

Di tutto ciò si parla poco o nulla. Nonostante i molteplici segnali, è del tutto assente un dibattito pubblico che faccia emergere le iniquità (e le inefficienze) e si interroghi sul futuro del Ssn. L’invecchiamento della popolazione è una sfida eccezionale per i sistemi sanitari dei paesi occidentali e impone un aumento strutturale della spesa sanitaria, probabilmente non più sostenibile. Bisogna perciò decidere quale modello sanitario, o quali strumenti, utilizzare. Le risposte sono molteplici e non è questa la sede per argomentarle e approfondirle. È possibile, tuttavia, fornire qualche spunto di analisi, come ad esempio la possibilità di opting out per chi sceglie di essere curato esclusivamente privatamente, con un conseguente sgravio della pressione fiscale; la costituzione di un fondo ad hoc per la cura degli anziani; addirittura, e provocatoriamente, il ritorno a un sistema basato sulle assicurazioni sociali. Qualunque spunto, se attentamente discusso e supportato da analisi empirica, è meglio dell’assenza di dibattito.

Quello che è difficilmente accettabile, a parere di chi scrive, è continuare ad assistere al depotenziamento del Ssn, all’aumento incontrollato – e incoraggiato da mirate strategie di marketing – di polizze e fondi sanitari diversificati, senza che ci sia un attento monitoraggio da parte del ministero della Salute. È necessario un dibattito pubblico, che includa legislatori e studiosi del settore, rappresentanti dei sindacati, delle compagnie assicurative, delle associazioni dei pazienti e delle categorie mediche. Un dibattito che dia trasparenza a un fenomeno che sta passando sottotraccia e sta progressivamente cambiando il volto del nostro Ssn.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Precedente

Il Punto

Successivo

Il doppio lavoro non va più di moda

  1. La discussione è semplice: per interesse a corto termine di pochi a detrimento di molti si è scelto di demolire la sanità pubblica il cui scopo è far star bene la popolazione per spingere quella privata il cui scopo è far soldi con le cure, quindi più la popolazione è malata meglio vanno i loro affari e la gente incapace di unirsi quando può oggi paga per avere ciò che il pubblico demolito non dà più.

    L’alternativa non è l’assicurazione ma IMPORRE furor populi la sanità e soprattutto la farmaceutica SOLO pubbliche, così da annullarne il business e a questo punto si ritorna all’antico scopo non curare ma far star bene, quindi non con lo scopo di far malati, come i partiti dei poveri che senza povertà muoiono, ma fare Cittadini sani.

    Faccio comunque notare che la dove tutto è privato, es. in USA la sanità non è efficiente, è il fanalino di coda dell’occidente con costi folli.

  2. Giuseppe

    I datori di lavoro sono obbligati dai contratti nazionali a iscrivere i dipendenti alle varie assicurazioni sanitarie integrative, ma farei notare l’altra faccia della medaglia: anche i dipendenti sono costretti ad averla anche se non la vorrebbero o ne sceglierebbero volentieri un’altra.
    Ci sono alcune assicurazioni sanitarie che fanno tutto il possibile per rendere le prestazioni non usufruibili, rendendo le procedure impossibili e bocciando le pratiche con scuse assurde.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén