Cosa ostacola la scelta universitaria

Tre fattori influenzano la scelta di iscriversi o meno all’università: l’indirizzo di istruzione secondaria superiore frequentato, le differenze nei contenuti di apprendimento, le diverse aspirazioni. L’analisi empirica mostra l’iniquità del meccanismo.

Che scuola ha fatto chi frequenta l’università

Un recente articolo pubblicato su lavoce.info ha illustrato come sia possibile modificare la formazione delle aspettative nei ragazzi e nelle loro famiglie in merito alla scelta universitaria, attraverso l’introduzione di forme di risparmio incentivato. Qui ci soffermiamo su un altro aspetto connesso alla formazione delle aspettative, quello legato alla decisione dell’indirizzo di scuola secondaria e alle conseguenze sulla possibile scelta universitaria.

Iniziamo con un quadro d’insieme, desunto dall’ultimo rapporto di Anvur sul sistema universitario italiano.

Negli ultimi anni, in Italia, quasi il 60 per cento di tutti i diplomati della scuola secondaria passa all’istruzione terziaria, ma la media nasconde ampie differenze legate ai diversi indirizzi scolastici. Il tasso di transizione è pari al 76 per cento per gli studenti provenienti dai licei, al 46 per cento per quelli degli istituti tecnici e solo al 24 per cento per gli istituti professionali. Se poi si considera che anche l’abbandono tra il primo e il secondo anno di iscrizione all’università (unico dato reso disponibile da Anvur, ma è quello dove il fenomeno più si manifesta) è correlato all’indirizzo scolastico di provenienza, si ottiene un tasso stimato di transizione e permanenza complessivo pari al 50 per cento, che varia da quasi il 70 per cento per i diplomati dei licei al 20 per cento circa per quelli degli istituti professionali.

Almeno tre meccanismi contribuiscono alla selettività sociale nella scelta di iscriversi all’università per gli studenti italiani: l’indirizzo di istruzione secondaria superiore (scelto dai quattordicenni e dalle loro famiglie, a partire da un consiglio orientativo degli insegnanti della scuola media); le differenze nei contenuti di apprendimento tra i percorsi; le differenze nelle aspirazioni.

I primi due meccanismi possono essere illustrati utilizzando la dimensione longitudinale dei punteggi dei test degli studenti raccolti da Invalsi (l’Agenzia nazionale per la valutazione delle competenze degli studenti). Grazie alla possibilità di collegare i risultati dello stesso studente attraverso le diverse rilevazioni Invalsi, prendiamo gli studenti in quinta superiore nel 2018-2019 (anno pre-Covid, per evitare fattori di disturbo esterni) e andiamo a rintracciarli tra gli iscritti in terza media nel 2013-2014 (primo anno in cui il collegamento dei dati è possibile). In questo modo possiamo sapere per ciascun ragazzo di terza media quale indirizzo ha scelto, al netto di cambi di indirizzo. Perdiamo così il collegamento per gli studenti bocciati almeno una volta, in quanto hanno conseguito il diploma di terza media negli anni precedenti. Si tratta quindi della popolazione di studenti regolari.

Quanto contano i voti e i risultati Invalsi

L’analisi statistica ci dice che la scelta dell’indirizzo scolastico alle superiori dipende dai risultati scolastici (misurati dai voti in italiano e matematica in terza media, così come dai risultati ai test Invalsi), ma anche dall’origine sociale degli studenti, misurata tramite il livello di istruzione dei genitori (probabilmente attraverso le aspettative e le opinioni delle famiglie). Tuttavia, insegnanti e genitori conoscono i voti scolastici, ma non necessariamente i risultati dei test Invalsi, che possono essere considerati una misura indiretta delle capacità degli studenti.

Figura 1 – Distribuzione dei punteggi nei test – Studenti in terza media nel 2013-2014 osservati in quinta superiore nel 2018-2019

Fonte: Checchi e Frattini (2023), figura 2.

La figura 1 mostra la distribuzione dei risultati ai test in italiano e matematica in terza media (quando gli studenti frequentano tutti la stessa scuola) e in quinta superiore (dopo cinque anni di frequenza del percorso scelto). La prima osservazione è che l’assegnazione ai diversi percorsi riflette effettivamente le differenze nelle competenze degli studenti, poiché i futuri liceali hanno in media livelli di competenza più elevati prima dell’ingresso nella scuola secondaria di secondo grado. Tuttavia, nonostante le differenze tra indirizzi, le distribuzioni hanno in larga misura un’area comune di sovrapposizione, poiché studenti con competenze elevate scelgono anche i percorsi professionali e, viceversa, studenti con competenze più basse si iscrivono ai licei. La seconda osservazione è che, cinque anni dopo, le differenze tra i percorsi si sono ampliate, ma è ancora possibile trovare studenti con competenze elevate negli istituti professionali e studenti con competenze più basse nei licei.

Il ruolo delle aspirazioni

Il terzo fattore che contribuisce alla stratificazione sono le aspirazioni. Invalsi non rileva le intenzioni di iscrizione all’istruzione terziaria, ma è possibile ricorrere all’indagine Oecd-Pisa per ottenere queste informazioni, raccolte separatamente tra studenti e loro genitori. La tabella 2 riporta alcune statistiche descrittive del campione Pisa nel caso italiano, distinte per indirizzo di scuola secondaria frequentata a quindici anni. Mostra chiaramente che i licei attraggono i migliori studenti sia in termini di competenze cognitive (vedi i punteggi nei test di literacy, numeracy e science per indirizzo) sia in termini di background sociale (istruzione e occupazione dei genitori, risorse educative: si confrontino i valori a media zero dell’indice Escs). Le ragazze sono sovrarappresentate nei licei (60 per cento), mentre i ragazzi rappresentano la maggioranza negli istituti tecnici (71 per cento) e professionali (53 per cento).

L’indagine Pisa analizza inoltre le aspirazioni degli studenti e delle famiglie rispetto alle future carriere educative. Mentre in media quasi tre studenti su quattro (72 per cento – si veda la penultima riga della quarta colonna) dichiarano l’intenzione di proseguire nell’istruzione terziaria tre anni dopo, la percentuale varia dall’87 per cento nei licei al 46 per cento negli istituti professionali. Le aspirazioni dei genitori sono più basse, ma ordinate in modo simile (si confrontino le ultime due righe). Ciò suggerisce che l’iscrizione all’istruzione terziaria non dipende soltanto dal livello di competenze raggiunto o dalle risorse familiari, ma riflette anche autopercezioni e aspirazioni che sono modellate dalla pressione degli insegnanti e dei compagni di scuola (anche se è impossibile misurare con precisione il contributo specifico di ciascuna componente).

Dove nasce l’iniquità

Occorre quindi domandarsi ancora una volta se la stratificazione della scuola secondaria per indirizzi in Italia sia una configurazione efficiente (fornisce a ciascuno la miglior formazione che è in grado di ricevere) ed equa (offre a ciascuno studente le stesse opportunità, indipendentemente dalle origini sociali).

Mentre non è possibile valutare con questi dati l’efficacia (occorrerebbe poter assegnare in modo casuale gli studenti agli indirizzi), possiamo invece affermare che gli indirizzi attuali sono iniqui. In base al principio di equità, quando esistono politiche restrittive di accesso all’università (come i test di ammissione), i migliori studenti dovrebbero essere ammessi indipendentemente dal tipo di scuola frequentata. In pratica, l’evidenza suggerisce che frequentare un istituto professionale in Italia riduce la performance relativa degli studenti corrispondenti, probabilmente perché i contenuti di insegnamento sono eccessivamente semplificati e privi di una solida impostazione teorica.

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  1. dino

    come evidenziato è indicazione che fa una media , per esperienza sono andato all’istituto tecnico per la tipologia della specializzazione e materie di studio, avere una chance in più per il mondo del lavoro, con quel tipo di studi. Al quarto superiore avevamo completato, splendidamente grazie anche al docente, un programma di matematica più ampio di quello del liceo scientifico e al quinto affrontato matematica che solo alcune branche di corsi universitari prevedono . Come italiano abbiamo svolto un programma superiore a molti licei, per non parlare di molte materie scientifiche che mi hanno dato una marcia in più all’università rispetto a molti colleghi liceali . In tutto ciò alla fine del terzo anno di ingegneria ho iniziato a lavorare , dinnanzi ad un’offerta a cui non si poteva dire di no, dopo tante richieste arrivatemi dopo la maturità . Pertanto mi sono laureato quasi in regola da studente lavoratore , Praticamente tutti i miei 35 colleghi di classe delle Superiori non hanno avuto problemi a inserirsi nel mondo lavorativo

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