L’accordo sulla gestione delle crisi raggiunto dal Consiglio europeo è l’ultimo tassello del nuovo Patto su migrazione e asilo. L’obiettivo è introdurre prima delle Europee un insieme di regole ben definite che si applichino a tutti gli stati membri.
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La maggioranza della popolazione immigrata è costituita da donne. Pur con un livello di istruzione in media superiore, hanno una probabilità di occupazione molto più bassa degli immigrati uomini e delle native. E quando lavorano hanno salari più bassi.
Aumentano gli arrivi di migranti nel Regno Unito attraverso il canale della Manica. Molto spesso si tratta di persone che hanno diritto alla protezione internazionale. Il problema è che, nel post Brexit, la crisi di Calais assume un forte valore simbolico.
La Ue esclude il finanziamento alla costruzione di barriere fisiche contro i migranti. Resta però la debolezza della sua politica migratoria. Si dovrebbero invece creare canali di immigrazione legale in Europa per ragioni umanitarie, ma anche economiche.
L’Unione Europea negli ultimi anni ha arginato l’arrivo di rifugiati delegando i controlli di frontiera ai paesi di transito, Libia e Turchia su tutti. Un’arma che Erdogan intende far pesare nei negoziati in corso. A farne le spese è la credibilità stessa dell’Ue.
La crisi economica causata dalla pandemia ha avuto gli effetti più duri sui lavoratori immigrati. È cresciuta per loro la probabilità di perdere il lavoro ed è aumentato il divario occupazionale con gli italiani, soprattutto per le donne.
La “fase 2” potrebbe penalizzare parecchio i lavoratori migranti. Svolgono infatti mansioni che li espongono di più al rischio contagio. E contemporaneamente cresce per loro il rischio povertà e quello di perdere il diritto al permesso di soggiorno.