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Competenze degli italiani: siamo i peggiori *

La prima indagine Piaac dell’Ocse sulle competenze dei cittadini adulti di 24 paesi denuncia tutta l’inadeguatezza degli italiani. Le responsabilità della scuola e delle inefficienze del mercato del lavoro. Le riforme da fare per risollevarci da questo degrado. Con urgenza.

Oggi l’Ocse e la Commissione Europea hanno reso pubblici i risultati della prima indagine Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies). Si tratta di uno studio finalizzato a misurare competenze linguistiche e matematiche della popolazione adulta in modo comparabile tra paesi. (1)
IL CAMPIONE E I TEST
Campioni rappresentativi della popolazione di età compresa tra i 16 e i 65 anni sono stati selezionati in 24 paesi (22 membri dell’Ocse) e alle persone campionate è stato sottoposto un questionario per rilevare alcune informazioni di base (sesso, composizione famigliare, condizione occupazionale, etc.) ed è stato chiesto loro di partecipare a un test delle competenze linguistiche e matematiche. Si tratta di test che rilevano, per esempio, la capacità di comprensione di testi scritti oppure di svolgere operazioni matematiche di varia complessità. Le domande dei test sono le stesse in tutti i paesi, semplicemente tradotte nella lingua locale, garantendo così, grazie anche all’armonizzazione delle tecniche di campionamento, la comparabilità dei risultati.
GLI ITALIANI: UN VERO DISASTRO
I risultati dell’Italia in questo particolare confronto internazionale sono pessimi, forse oltre le aspettative. Siamo i peggiori in termini di competenze linguistiche (Figura 1) e penultimi per un soffio in matematica (Figura 2). Questa deludente performance riguarda sia le nostre coorti più anziane, che fanno particolarmente male, ma anche -ed è forse il dato più preoccupante- i giovani, che quando confrontati con i loro coetanei negli altri paesi si piazzano anch’essi nella parte più bassa, bassissima della classifica (Figura 3).
Si tratta certamente di un problema di formazione scolastica. Gli adulti italiani che non hanno ottenuto un diploma di scuola superiore hanno competenze linguistiche e matematiche molto scarse. Questo accade però anche in paesi come la Francia o gli Stati Uniti, che però compensano con performance eccellenti dei laureati. Da noi non è così. I nostri laureati hanno in media competenze linguistiche comparabili a quelle dei diplomati finlandesi o giapponesi o australiani o olandesi (Figura 4).
Tuttavia, la scuola non è la sola responsabile di questi risultati così scadenti. Infatti, l’indagine Piaac suggerisce che una parte molto importante delle competenze si acquisiscono al di fuori del sistema di istruzione formale, principalmente sul posto di lavoro. Allora, le cause della debacle italiana sono da ricercare anche nello scarso livello di formazione offerta dalle imprese e, forse ancor di più, al fatto che la nostra struttura industriale è concentrata in settori a scarso tasso di innovazione e che non favoriscono lo sviluppo delle competenze. E molto probabilmente i dati Piaac, focalizzandosi sulle nozioni fondamentali di lettura, scrittura e calcolo, sottostimano l’importanza della formazione non scolastica, che in larga parte coinvolge competenze molto più pratiche.
Figura 1: distribuzione dei risultati sulle competenze linguistiche
2.4
Fonte: Piaac 2013 – Ocse
Figura 2: distribuzione dei risultati sulle competenze matematiche
2.8
Fonte: Piaac 2013 – Ocse
Figura 3: distribuzione dei risultati sulle competenze linguistiche, divisi per età
3.2
Fonte: Piaac 2013 – Ocse
Figura 4: distribuzione dei risultati sulle competenze linguistiche, divisi per formazione
3.9
Fonte: Piaac 2013 – Ocse
SPRECO DI CAPACITÀ PRODUTTIVE
L’indagine Piaac permette anche di studiare nel dettaglio la relazione tra competenze e mercato del lavoro e mostra come, in Italia ma anche in molti altri paesi, la competenze linguistica e matematica degli occupati non sia poi così dissimile da quelle dei disoccupati o degli inattivi (Figura 5). Da un lato questo risultato lascia intuire l’enorme potenziale di crescita del nostro paese, dove percentuali elevatissime di persone non sono occupate (il 43,2 per cento). E tuttavia, un tale spreco di capacità produttive segnala anche gravi inefficienze nel funzionamento del mercato del lavoro, che non è in grado di offrire un impiego adeguato alle persone più competenti.
In realtà l’inefficienza del mercato del lavoro si nota non solo nel confronto tra occupati e non occupati ma anche dalla misure del cosiddetto mismatch, ovvero dalla percentuale di lavoratori occupati che non utilizzano al meglio le proprie competenze. L’indagine Piaac segna un grande passo anche nella qualità delle misure di mismatch che siamo in grado di calcolare perché consente di avere per ogni lavoratore intervistato sia i test delle competenze linguistiche e matematiche sia informazioni riguardo alle attività che egli svolge quotidianamente sul posto di lavoro. Nell’indagine si chiede, per esempio, se e quanto spesso l’intervistato utilizza il computer o legge testi scritti o svolge calcoli matematici e così via. L’Italia è uno dei paesi con la percentuale più elevata di lavoratori under-skilled (più di noi solo Cipro e la Gran Bretagna), ovvero lavoratori che non possiedono le competenze sufficienti per svolgere il proprio lavoro in modo adeguato, e con una percentuale di lavoratori over-skilled, ovvero con competenze più elevate rispetto a quanto necessario per svolgere il proprio lavoro, superiore alla media (Figura 6).
Figura 5: risultati sui test letterari su occupati, disoccupati e inattivi
6.2
Fonte: Piaac 2013 – Ocse
Figura 6: percentuale di lavoratori under-skilled e over-skilled
4.25
Fonte: Piaac 2013 – Ocse
COSE DA FARE. ALCUNE A COSTO ZERO
Di fronte a risultati così deludenti è necessario intervenire e per decidere come farlo è fondamentale interpretare correttamente queste analisi. Questi dati ci dicono che per fermare il declino italiano e rilanciarne la crescita e l’occupazione la prima e più importante cosa da fare è investire sulla capacità delle persone di fare le cose, di scrivere e di far di conto in primis. Purtroppo per questo non basta incentivare le imprese ad assumere, non basta nemmeno ridurre il carico fiscale. È necessario piuttosto migliorare il sistema scolastico, dalle scuole primarie alle università, creare le opportunità per investire in settori ad alta innovazione, affinché le imprese diventino anch’esse luoghi di formazione di capitale umano. E tanti provvedimenti che andrebbero in questa direzione si potrebbero attuare subito e a costo zero, inutile nascondersi dietro alla scusa della mancanza di risorse. Liberalizziamo i mercati dei prodotti e dei servizi perché, è proprio nei settori protetti dalla concorrenza, che si avverte di  meno la necessità di investire in innovazione e competenze. Introduciamo sistemi equi ma efficaci di valutazione nelle scuole e nelle università e forse riusciremo a tenerci qualche cervello in più e magari anche ad attrarne qualcuno dall’estero. E forse, dopo aver fatto qualche riforma di questa natura che segnali un vero cambio di direzione della politica economica italiana, qualcuno potrebbe anche decidere di investire sull’Italia facilitandoci nella realizzazione delle riforme che costano. Magari anche l’Europa.
* L’autore ha contribuito al progetto Piaac durante il suo periodo di lavoro come economista all’Ocse ed è uno degli autori del rapporto presentato oggi.
(1) L’indagine rileva anche un terzo ambito di competenze, quello della logica o della risoluzione di problemi (problem solving). Tuttavia, l’Italia insieme a pochi altri paesi ha deciso di non partecipare a questo test, che si svolge quasi esclusivamente al calcolatore.
 

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Il Punto

61 commenti

  1. Luigi Calabrone

    PICCOLO E’ BELLO? NO, PICCOLO E’ BRUTTO, PRIMITIVO, IGNORANTE, POCO PRODUTTIVO.
    Giustamente, gli autori hanno fatto l’ipotesi che uno dei fattori che tengono basso il livello delle competenze sia la mancanza di formazione sul posto di lavoro. Sarebbe interessante – se il dato è stato raccolto – incrociare i risultati di formazione rilevati con quelli relativi alle dimensione dell’impresa in cui lavorano/lavoravano i soggetti che hanno risposto ai questionari. Si vedrebbe la correlazione tra dimensioni delle imprese e livello culturale del personale. Piccola impresa, piccola la cultura dei dipendenti, e viceversa.
    Se è vero, come è vero, che in Italia prevalgono le micro imprese (spesso dirette da imprenditori – pur abili e dotati di intelligenza pratica – di basso livello culturale), non si può che confermare che in tale contesto i dipendenti imparano poco e nulla, se non le informazioni/abilità indispensabili per svolgere le elementari mansioni richieste in tale contesto. Né i padroni fanno/possono fare nulla per migliorare la qualità del loro personale. Mancano le risorse, non c’è la voglia, non si vede o non c’è la necessità. Qualche volta, vengono assunti dipendenti che non debbono imparare nulla, per non far ombra/concorrenza al titolare.
    La piccola e piccolissima impresa italiana nasce con il fondatore e con il fondatore muore o viene trasmessa ad eredi incapaci, o venduta ad altro micro imprenditore.
    Non per niente, l’Italia sta perdendo produttività rispetto ai concorrenti.
    Importiamo badanti, camerieri, autisti di furgoni, addetti alle pulizie. Esportiamo diplomati, laureati, ricercatori.

  2. Enrico

    Ottimo articolo, quantifica il “sentire comune” (e l’esperienza diretta)

  3. Luigi Proia

    Perché meravigliarsi!?
    Ho insegnato materie scientifiche per trentasei anni e ho avuto modo di constatare il declino del sistema formativo italiano e dell’Italia ora guardo gli avvenimenti da pensionato e come tutti i vecchi sostengo che quando andavo a scuola io allora sì che era scuola.
    Certo volgere la testa all’indietro non è un buon esempio proviamo a guardare al futuro e sognare a occhi aperti:
    La scuola elementare dovrebbe tenere conto che gli alunni provengono da tutto il mondo e l’insegnamento della lingua dove si vive e della storia del paese è fondamentale. Vale sempre secondo me che la scuola elementare deve insegnare a leggere scrivere e far di conto.
    La scuola media primaria dovrebbe essere articolata su cinque anni con poche materie es: italiano, matematica e lingua straniera europea. Altre materie a scelta dell’alunno e molte ore di laboratorio con laboratori attrezzati all’uso di molte discipline.
    La scuola media secondaria dovrebbe essere articolata su tre anni 2+1 con due soli indirizzi: umanistico e scientifico con un elevato livello di selezione per gli obiettivi non raggiunti. L’ultimo anno la scuola dovrebbe tramite un esame di stato rilasciare un attestato. Gli alunni che volessero iscriversi all’università dovrebbero sostenere un esame di stato (maturità) con un programma nazionale e con una commissione di professori provenienti da altre scuole e dall’università.
    Per quanto riguarda l’università avendone oggi sessanta si dovrebbe tornare ad averne tre al massimo cinque di livello internazionale e riciclare tutte le altre come scuole superiori come in effetti sono.
    Mi sono svegliato e mi rendo conto di aver solo sognato.

  4. IlGranchio

    Purtroppo in Italia nel pubblico, come nel privato, la fedeltà fa premio sulla competenza. L’unica cosa che si chiede ai lavoratori è essere bravi a dire si. Il resto non conta.
    I risultati si vedono.

  5. jacopo

    Caro Michele, lei chiama “competenze linguistiche”, che in italiano tipicamente indicano competenze nelle lingue straniere, un test che invece riguarda la comprensione verbale.
    La prego quindi di migliorare la sua propria competenza della lingua italiana cosicché nessuno possa trarre conclusioni errate leggendo il suo articolo.
    Ovviamente assumo che lei abbia letto e compreso la metodologia della studio e che il problema sia piú con la lingua italiana che con la comprensione dello studio di per sé stesso.
    Cordialmente,
    Jacopo

  6. MD

    In Italia l’indagine è condotta, su incarico del Ministero del Lavoro, dall’ISFOL che, contestualmente a Ocse e agli altri 23 paesi, mette oggi a disposizione i dati nazionali e le relative elaborazioni (vedi approfondimenti su http://www.isfol.it/primo-piano/i-dati-dellindagine-isfol-piaac )

  7. armando

    E se il vero problema fosse il mercato del lavoro?! Personalmente non credo all’inadeguata competenza degli italiani: vedo molta professionalità. Il vero problema è che al netto di chi occupa una sedia da scaldare, non voluta professionalmente ma raccomandata in cambio di un voto o altro, c’è tanta gente che svolge da solo un lavoro che normalmente sarebbe svolto da 4 persone. Si deve occupare di più aspetti e ruoli che a cose normali vanno affidate a collaboratori e colleghi. Questo perchè è difficile permettersi di assumere altre persone visto i costi del lavoro e per “stare nei costi” uno svolge il lavoro di molti: “spending review”?

  8. Luigi Oliveri

    Non credo che la “valutazione” delle scuole abbia utilità concrete. Le scuole hanno evidenti problemi di arretratezza nei programmi e nei metodi di insegnamento. Quanti docenti utilizzano slides, pc e videoproiettori, piattaforme informatiche, il linguaggio delle immagini e delle animazioni? Pochissimi, anche a causa degli scarsi investimenti.
    Le imprese sono ancorate all’old economy. Inutile chiedere se usa il pc ad una lavoratrice di un’impresa tessile o a un artigiano della meccanica. Per altro, i datori si ostinano a non dare rilievo ai titoli di studio, ai fini della ricerca. Nè l’ulteriore loro ostilità ad una ricerca aperta attraverso i canali ufficiali aiuta verso la selezione dei capaci.

  9. Giorgio Massarani

    Purtroppo l’autovalutazione collettiva è molto diversa: il popolo italiano tende a sovrastimare le proprie capacità culturali sia di literacy sia di numeracy. Ignoranza e presunzione vanno a braccetto. Per questo è vitale che il sistema di valutazione e autovalutazione scolastica venga praticato sistematicamente. Forse si dovrebbe pensare anche a qualche cosa di analogo per gli adulti, anche se certamente è molto difficile.

  10. Paolo Zappavigna

    Ottimo lavoro. Come docente universitario ormai prossimo alla pensione è quanto vado constatando sempre più col passare degli anni. Il livello medio di conoscenze degli studenti è molto peggiore oggi di trenta o anche venti anni fa. Problema che nasce soprattutto, io credo, da carenze della scuola primaria (e dal disinteresse dei genitori per la sua qualità); ma temo che a questo abbia concorso anche la “facilità” con cui ormai si consegue la laurea breve (di cui ero un sostenitore ora deluso), il cui abbassamento del livello medio finisce per penalizzare anche la laurea magistrale.

    • Luca Orso Maria Pesacane

      L’unica tabella riportata che discrimina le competenze linguistiche per età sembra riportare il contrario…

  11. Sara Potyscki

    Posso solo vergognarmi anche per quelli troppo stupidi per capire che dovrebbero farlo…

  12. Jon Snow

    Trovo scandaloso quanto scritto nella nota: perché l’Italia ha deciso di non partecipare al test relativo alle competenze di logica e problem solving (che secondo me, ma è un’opinione personale, è anche il più interessante di tutti)?

  13. Lorenzo62

    Anziché su 24 perchè non fare un’indagine su 36 o magari 48 paesi?
    La prima posizione probabilmente rimarrebbe la stessa ma l’ultima di sicuro no.

  14. Competenze? Ieri sono entrato in una farmacia di Ancona e il titolare (dottore in farmacia) gesticolava di fronte a un turista inglese che gli chiedeva del semplice olio per massaggi…

  15. Stefano The Catcher

    Caro Michele, bisognerebbe però spendere due parole sul valore delle analisi demoscopiche in regioni eterogenee culturalmente. Come lei sa, generalmente i risultati sono di difficile interpretazione.
    Certo è che in Italia il rapporto tra cultura scientifica (che sembra un insulto per la gente comune), applicazioni e ricerca (altro insulto ma per i livelli istituzionali), industria (che non pensa alla ricerca come risorsa), e università (che non si sa a che pensa) pare del tutto vacuo e nullo. Ognuno pensa ai propri fatti: e il modello culturale è quello del 1950. Il proprietario, il prodotto e l’operaio.
    Ma in un mondo in cui i Cinesi fanno tutto, a livello manifatturiero, a costi infimi, mi pare sciocco affidarsi a questo modello.
    Il valore della cultura scientifica quindi ricade nel campo stretto dell’economia moderna, di un paese in area Euro. Gli europei lo sanno e si danno da fare, in questo senso.
    Varrebbe la pena di dire questo forse. Ovvero che l’Italia è ferma, in attesa di miracoli divini. Ma i miracoli in economia, non sono frutto del caso.

  16. Ivano Zatarra Terzo

    Tristemente, non faccio altro che constatare la validità del “principio di Peter”. L’incompetenza, declinata secondo tutte le tonalità e sfumature, riesce a piegare ogni abilità, conoscenza e sapere. E l’incompetenza, che non è mai grande ma solo e sempre pesantemente negativa, sembra obbedire a una sorta di legge relativistica in grado di curvare ogni cosa. È triste ma è così. Molto spesso si riconoscono ad alcuni capacità che non possiedono solo perché si ritiene, chissà in base a quale criterio o logica, che il tempo sia in grado, da solo, di costruire valori assolutamente inesistenti o quantomeno deboli.
    È poi ovvio che la pedissequa applicazione del “principio di Peter” non fa altro che trascinare verso il basso l’efficienza di quelle strutture il cui corretto funzionamento è proprio una funzione di quella stessa efficienza.
    I mali, quindi, si moltiplicano sino a diventare la rappresentazione esponenziale di qualcosa che nessuno è più in grado di fermare o almeno rallentare.
    È la proliferazione dell’effetto valanga che, una volta fuori controllo, porta alla irrimediabile distruzione della struttura dentro il quale agisce. E mi domando quanti dei lettori o degli stessi articolisti della voce.info, abbiano già sperimentato e appurato l’esistenza di quel “principio” il cui unico scopo è la pura e semplice sostituzione.
    Una sostituzione che, in quanto tale, restituisce un valore che non è mai quello atteso o sperato.

    • DUBBIOSO

      Ho la fortuna di conoscere il “principio di Peter” che Lei cita; per il resto, non ho capito niente di quanto ha scritto. Forse non sono al suo livello. Vuole spiegare in parole più semplici a che cosa si riferisce, quale è il suo bersaglio, eccetera?

      • Danilo

        MI sembra abbastanza chiaro quello che scrive Ivano. L’incompetenza, dovuta a meccanismi molto popolari in italia (nepotismo, scambi di voto e di favore) genera insoddisfazione, ignoranza ed altra incompetenza. E’ un circolo vizioso in cui gli ignoranti sono al potere e, per questo, sono interessati a non far progredire intellettualmente il popolo suddito.

  17. Rockwell67

    Chiamasi “meritocrazia”. E non importa che Young l’usasse in modo dispregiativo.

  18. Francesco

    Estremamente interessante il tema e fondamentale il contributo dell’OCSE attraverso l’indagine PIAAC (che spero di poter approfondire per intero).
    E’ tristissimo vedere l’Italia in fondo all’ennesima classifica internazionale.
    Avrei una domanda per il prof. Pellizzari (e per chi commenta l’articolo): è possibile che parte delle differenze tra l’Italia e gli altri Paesi, in questo test così come nel PISA, siano dovute a differenze nel sistema di valutazione utilizzato dalle scuole italiane?
    Mi spiego meglio: per quella che è la mia percezione soggettiva (quindi senza nessuna validità generale) il sistema scolastico italiano non è stato, fino a un recente passato, molto avvezzo ai test a risposta multipla con tempo limitato.
    Potrebbe darsi che la modalità di test abbia un effetto sul risultato?
    E’ possibile verificare questa ipotesi?
    grazie in anticipo

  19. Don_Drupi

    Vedo che nessuno commenta la Figura 3, che dimostra come i piu’ giovani italiani abbiano un livello medio superiore a gruppi di eta’ superiore, e che invece in paesi piu’ avanzati come Giappone o UK sia l’esatto contrario: i piu’ giovani sono i meno “proficient”.

    • E

      sì ma i giapponesi peggiori sono comunque molto superiori ai migliori italiani…

      • Don_Drupi

        Figura 1 e 2 in realta’ dicono che non e’ cosi’. A meno di una deviazione standard, le popolazioni di Italia e Giappone sono compatibili

  20. Enrico

    Scusate, ma dai commenti sembra che si tenda ad attribuire questi risultati negativi ai “giovani” (si parla del nuovo sistema scolastico etc etc)
    Se non ho capito male (correggetemi se sbaglio) questi risultati si riferiscono *anche* a persone in piena età lavorativa, che sono il frutto dei sistemi scolastici pre-riforme (concedetemi questa semplificazione) ed attualmente in posizioni migliori rispetto ai giovani, sia in termini retributivi che in termini di tutele (lasciamo stare….)
    Detto questo, Il basso livello di competenze tecnologiche richieste in Italia è anche dovuto al basso livello delle produzioni, infatti subiamo la concorrenza diretta della Cina (sulla produzione non possiamo batterli): non facciamo prodotti avanzati, ad alto contenuto tecnologico (salvo piccole nicchie).

  21. Michele Pellizzari

    Mi scuso per l’ambiguità ma si tratta della terminologia comunemente utilizzata in questa letteratura. Segnalo però anche la definizione ufficiale dell’aggettivo linguistico.
    Linguistico: che riguarda la lingua o la linguistica (Dizionario Garzanti)

  22. Giorgio

    Ma si può sapere perché, qualsiasi sia il tema trattato, il mantra ripetuto all’eccesso in questo sito è “liberalizzare”? Cosa c’entra la liberalizzazione con la cultura? Notate che il primo paese, ossia il Giappone, è con ogni probabilità quello col minore grado di liberalizzazioni in assoluto di tutto il campione: come la mettiamo con il dogma liberista, inculcato anche dove non ha niente a che vedere con l’argomento dell’articolo? Piuttosto, domandiamoci quale sia il pietoso livello delle scuole private italiane (e di praticamente tutte le università private, salvo Bocconi e Cattolica): se il mantra liberista avesse senso, dovrebbe accadere invece l’esatto opposto.

    • Camillo Moranduzzo

      L’idea di fondo, è che un sistema più libero è tendenzialmente più efficiente. E l’efficienza giova anche alla cultura, no?

      • Giorgio

        Questo solo credendo che il sistema si possa autoregolare. Una pia illusione indimostrata sia teoricamente (non tiriamo fuori Adam Smith, che usò l’esempio della mano invisibile con finalità ben diverse da quelle usualmente propagandate dai liberisti) sia, quel che è peggio, empiricamente.

  23. NewDeal

    Davvero sconfortante.
    Grazie per l’editoriale.
    Cfr. pagina 232: http://www.oecd.org/site/piaac/Skills%20volume%201%20(eng)–full%20v8–eBook%20(01%2010%202013).pdf
    Vedere ‘rombo azzurrino’ : un aumento degli skills di una deviazione standard aumenta i salari di MENO del 4 percento. Ultimi in Europa.
    Una fotografia impietosa di codesto paese. Adulti, giovani ed istruzione….da ripensare.

  24. NewDeal

    Esatto. E Non solo. Non solo fotografa anche i’ vecchi’. Gli italiani adulti non sono solo fra i peggiori in media, ma persino le ‘punte’ sembrano meno eccellenti che altrove…
    Vedi anche dati di proficiency in literacy distinti tra nativi, foreign born residenti da più di 5 anni, foreign born residenti da meno di 5 anni (ad esempio, figura 3.14). I foreign born residenti in Italia hanno più difficolta’ rispetto ai foreign born residenti in altri paesi, ma anche al netto di ciò, i nativi italiani sono quelli messi peggio: de PROFUNDIS…

  25. mac67

    Non c’è molto da stupirsi. La scuola italiana è fatta per studenti bravi: quelli infatti, appena vanno all’estero, hanno una marcia in più. Tanta letteratura, tanto pensiero astratto. Ma poi sul concreto, quando si deve leggere un manuale di istruzioni, non si capisce quello che c’è scritto. Vogliamo poi parlare della matematica che (non) si impara alla scuola primaria? Come pensate di fare imparare il mondo dei numeri a dei bambini se date loro la calcolatrice? Un bambino deve familiarizzare, diventare “intimo” con la struttura dei numeri, della tavola pitagorica, delle regole di calcolo, farle sue e piegarle alle sue esigenze. Tutto il contrario di quanto molti fanno.

  26. ndr60

    Gent.mo Prof. Pellizzari, senza risorse economiche la Scuola pubblica muore, e con essa muore uno dei pilastri del concetto stesso di stato moderno, ovvero un’istruzione di base garantita per tutti. Le condizioni della scuola le conosciamo tutti: decenni di riforme disastrose, docenti malpagati, demotivati e spesso incapaci, strutture fatiscenti, attrezzature vecchie o inesistenti. E secondo Lei, il rimedio sarebbe privatizzare, cioè consegnare l’istruzione alle forze del Mercato? Non Le pare che il Mercato abbia già fatto sufficienti disastri, per almeno tre generazioni?

  27. mac67

    Aggiungo una cosa che non sembra secondaria: copio e incollo dal documento originale:
    “Questo rapporto presenta un’analisi dell’indagine pilota svolta nel periodo 2010-2011 e dei principali risultati che, è bene sottolineare, non hanno rappresentatività statistica a livello nazionale, ma che consentono di mettere in luce evidenze che saranno approfondite nell’indagine principale. L’accento è posto su alcune osservazioni derivanti dall’indagine pilota, con l’obiettivo di evidenziare le potenzialità di PIAAC. E’ necessario pertanto sottolineare che i risultati devono essere utilizzati con cautela, poiché obiettivo di ogni indagine pilota è quello di testare gli strumenti, i test e le procedure sul campo (il field), piuttosto che fornire un quadro rappresentativo della realtà.”
    Forse è il caso di non dire più nulla sull’argomento e aspettare l’indagine principale.

    • Libero pensiero

      A quale ‘indagine principale’ allude?
      Qui c’è la vera causa alla base dello sfascio di codesto Paese: da qui deriva tutto il resto, casta INCLUSA.
      L’overview e i methods sono a pag. 27 ss.
      Confronti il grafico ‘population without upper secondary education’
      PS Il documento originale, di 466 pagine, e’ in inglese…Finland and Japan (not Italy) have large shares of top-performers…

    • Michele Pellizzari

      Non so dove abbia trovato questo testo ma quello pubblicato martedì 8 ottobre 2013 è il rapporto finale non il pilota.

      • mac67

        l’ho trovato con Google (PIAAC come parola chiave), che mi ha portato al sito dell’ISFOL; sono andato al link “Pubblicazioni: rapporto indagine pilota”. Vedo ora che il rapporto finale è al link “Pubblicazioni: Le competenze per vivere e lavorare oggi”. Chiedo scusa per l’errore, però sul sito dell’ISFOL le info si potrebbero sistemare un po’ meglio.

  28. Filippo

    L’ efficienza non ha necessariamente una connotazione positiva quando si parla di diritti umani.
    Se non ti convince pensa al sistema sanitario americano…

    • Camillo Moranduzzo

      Io non penso che un sistema sociale ed economico si possa autoregolare (e nessun liberale lo crede). Penso piuttosto che la dialettica tra individuo e Stato debba restare aperta: lo Stato è il problema, non la soluzione dei problemi.

      • Vincenzo Tondolo

        Lo Stato se gestito male è un problema. Non a caso, in epoche di crisi, anche i più liberisti (vedi le banche) chiedono interventi statali per il loro salvataggio. Il tema non è “più stato meno mercato” (o viceversa), ma Miglior Stato in Libero mercato, dove la differenza viene marcata dagli aggettivi “migliore” e “libero”.

  29. Filippo

    Infatti secondo me il problema è il generale “disprezzo” nei confronti dell’istruzione, figlio delle abitudini clientelari che sono fin troppo radicate in italia, questo ci ha portati alle riforme scolastiche vergognose di adesso.
    È inutile lagnarsi della Cina: la sua capacità di produzione è un problema per tutti gli altri stati non solo per l’italia, la vedo un pò come una scusa per addolcire la notizia.
    Per dare un esempio siamo iI produttore mondiale di olio d’oliva (2004) e di armi leggere (2009) mentre le eccellenze tecnologiche chiudono (Olivetti).

  30. Michele Pellizzari

    Non mi pare di aver mai suggerito la privatizzazione della scuola, alla quale sono personalmente contrario. Quando parlo di liberalizzazioni intendo settori come le professioni, il credito, le assicurazioni, dove la possibilità di sfruttare rendite di posizione riduce l’interesse a investire in competenze.

    • Camillo Moranduzzo

      Mi pare che questo sia esattamente lo scenario dei maggiori enti pubblici (sanità, scuola), dove la possibilità di sfruttare la propria posizione privilegiata (non falliscono, il ceto impiegatizio non è premiato per il merito, quasi mai è censurato per l’inefficienza ecc…), riduce l’interesse di chi vi opera ad investire in competenze. La realtà è che non esiste ragione perché un servizio pubblico non possa essere erogato da un privato. Faccio notare poi, che la spesa pro capite per gli studenti della scuola dell’obbligo, mi risulta essere, in Italia, allineata a quella di altri stati europei. Forse si spreca troppo? Di nuovo: l’idea di fondo è che un sistema più libero è tendenzialmente più efficiente.

      • ndr60

        Gent.mo Sig. Moranduzzo, l’Istruzione è un Bene pubblico o un Bene privato? Se Lei risponde che è un Bene privato, allora dovrebbe sapere che la scelta di risolvere i problemi della scuola con una logica di mercato configura una scelta anti-sociale (cfr. D.F. Labaree).
        Perché essa enfatizza a dismisura le differenziazioni e le stratificazioni (gruppi di livello, corsi differenziati, ecc.) che vanno a vantaggio soltanto dei consumatori più provveduti e capaci.
        La ricchezza dell’offerta, lungi dal risolvere i problemi dei potenziali perdenti, mette in atto meccanismi di selezione feroci, accentua la differenziazione fra vincitori e perdenti, in una parola crea grossi danni alla società nel suo complesso.
        Si dovrebbe dire, una volta per tutte, che l’istruzione (come la sanità) NON E’ UNA MERCE che si contratta come le patate al mercato rionale, ma qualcosa di leggermente più importante per la civiltà di una nazione.

  31. Enrico Panzacchi

    A mio parare questa statistica è fortemente sopravvalutata dal professor Michele Pellizzari. Con tutto il rispetto e dal basso della mia ignoranza come semplice studente universitario di Economia, posso azzardare un’ipotesi forse assurda?
    Che queste considerazioni nascono da una statistica, e per quanto veritiere a mio avviso non dovrebbero basarsi su questi indicatori ma su indicatori di altro tipo. Un test come questo, basatosi semplicemente su due aspetti, lingua e matematica, a mio avviso non può essere un indicatore particolarmente rilevante, quindi mi sembra uno studio che poggia su basi sabbiose.

  32. marc

    Se ci si pensa un attimo, anche in questo aspetto la P.A. risulta essere un’organizzazione a delinquere. Con il pretesto di “dare” istruzione a tutti (peccato che si sono dimenticati l’aggettivo meritevoli) prima lasciano totalmente aperte le porte dell’università in modo tale da far immatricolare molti studenti (creando così l’alibi all’aumento di docenti/spesa pubblica) e poi, una volta laureato, sei fregato: o perché l’ingresso è sbarrato (notai, farmacie..) oppure perché le leggi sul lavoro sono così obsolete che le imprese non hanno uno straccio di incentivo ad assumere. La ricetta finale su come migliorare il paese la condivido al massimo, un punto andrebbe sottolineato 10 volte: la valutazione dei docenti (ed incentivi annessi..).

  33. Scrillo

    Quando si dice che siamo un popolo di id..ti si riassumono tutte queste belle statistiche in una sola battuta. Soluzione: visto che né le mancanze di tipo genetico sono colmabili, né gli anni di istruzione si possono reintegrare per chi ormai è fuori dalla scuola, forse dovremmo confrontarci con paesi peggiori.

  34. Luca Cigolini

    “L’Italia è uno dei paesi con la percentuale più elevata di lavoratori under-skilled … e con una percentuale di lavoratori over-skilled, … superiore alla media”
    Probabilmente perché nel cda si preferisce metterci il figlio dell’onorevole (o anche solo del sindaco di un paesello di provincia) o di un loro amico e a fare il magazziniere il laureato a pieni voti e con vari master ma figlio di nessuno.
    Temo che il problema sia tutto qui: questo principio viene applicato a qualsiasi livello e in qualunque ambito. I risultati si vedono.

  35. Michele Pellizzari

    D’accordissimo. Ritengo anche io che la piccola dimensione delle nostre imprese sia una concausa importante di questi risultati.

  36. Luca Pauluzzi

    Alla fine, scusate la banalità, ma l’ingranaggio chiave di tutto non è l’insegnante? Quella persona che con un certo livello di competenza, autorevolezza, passione e con un minimo di equilibrio psico-fisico dovrebbe aiutarci a crescere, se non altro nel nostro sapere?
    Non sono un esperto di didattica, ed ho solo scorso l’analisi qui sopra, ma quando leggo di queste cose a me torna in mente sempre la stessa domanda: non sarebbe comunque vincente lavorare sulla qualità di queste persone?! Per carità, ci saranno anche problemi con le scarse dotazioni infrastrutturali delle nostre scuole, difficoltà organizzative, però secondo me un bravo insegnante in classe fa miracoli con o senza pc, videoproiettori, LIM etc..
    Sono passati una ventina di anni ma solo a me è capitato di avere tra medie e liceo 3-4 insegnanti bravi, la maggior parte dignitosi e 2-3 qualificabili come casi umani clinici?!
    Sarebbe così difficile stendere un tappeto rosso ai primi e relativo compenso premiante, far fare un percorso di formazione permanente ai secondi e spiegare ai terzi che hanno sbagliato mestiere e che, essendo la scuola un settore strategico per la Repubblica e i suoi cittadini, è meglio che facciano altro?

  37. Jorge Pirola

    Mi interesserebbe una informazione aggiuntiva per poter valutare meglio i risultati: risultano differenze significative tra le regioni italiane? Ricordo che nei test PISA sulla popolazione giovanile risultano notevoli disparità, tali per cui alcune regioni sono al livello dei paesi del nord Europa ed altre al livello di molti paesi emergenti. Sarebbe interessante sapere se vi siano fenomeni analoghi per la popolazione adulta: in caso positivo la azione più semplice da attuare sarebbe il trasferimento ad altre regioni delle esperienze di successo già riscontrabili in Italia.

  38. mac67

    L’ingranaggio-chiave può poco quando il sistema scolastico promuove a forza e demotiva gli studenti che potrebbero raggiungere buoni risultati, quando ogni giorno si hanno esempi di successo senza alcun merito, i genitori difendono i figli a prescindere e si hanno esempi educativi a dir poco discutibili.

  39. Luca

    Non metto in dubbio il disfacimento della scuola pubblica italiana avvenuto negli ultimi decenni.
    Tuttavia, mi sembra un po’ strano che questi risultati penalizzino in particolare l’Italia. Penso, ad esempio, al fatto che esistono paesi che hanno subito un’immigrazione molto più forte dell’Italia ed in cui, mi sembra strano che i livelli linguistici possano essere più alti che da noi. Secondo voi, gli immigrati turchi in Germania conoscono il tedesco meglio di quanto noi parliamo l’Italiano?
    Inoltre, esistono paesi con regionalismi (o nazionalismi) molto più radicati che nel nostro paese. In Catalonia, si studia prima il catalano e poi (eventualmente) lo spagnolo. Possono gli adulti catalani conoscere lo spagnolo meglio di quanto, in media, gli italiani conoscono la propria lingua?
    Infine, mi sembra strana un’altra cosa. Per esperienza personale (per quello che può valere) ho conosciuto molti studenti italiani all’estero, e questi mi hanno sempre detto che il livello di studio nei paesi di destinazione non era affatto più alto che da noi. Pensiamo solo all’immensa provincia americana, con delle scuole pubbliche che hanno meno risorse delle nostre. Io faccio fatica a credere che un ragazzo o una ragazza che ha frequentato la high school di un piccolo centro del Mid-West possa avere un’istruzione migliore di quella di un italiano di una qualsiasi provincia del nostro paese.
    Io pongo solo delle domande, non voglio assolutamente mettere in dubbio la scientificità dello studio. Solo che non mi fermerei ai risultati, ma vorrei sapere quali sono le ragioni tali per cui le sue conclusioni appaiano così sorprendenti.

    • ale

      Se hai letto bene l’articolo, non si parla solo di studio, gran parte della ricerca si basa sulle competenze che si acquisiscono al di fuori del sistema di istruzione formale, principalmente sul posto di lavoro. E’ qui che praticamente le prendiamo da tutti.

  40. copco

    Egregio Pellizzari,
    lei è un esperto e la ringrazio per averci proposto una sua sintesi tra le 466 pagine del rapporto e le dieci righe delle agenzie di stampa.
    Sarebbe bello poter leggere i quesiti dei test. E sarebbe bello conoscere i dettagli su come sono stati selezionati e costruiti i campioni di popolazione ai quali sono stati somministrati i test. Perché non ci sottopone almeno un caso?
    Lei lo sa: siamo tutti commissari tecnici della nazionale di calcio. Ci metta alla prova per vedere se siamo all’altezza di esserlo oppure no. Altrimenti potremo solo dividerci tra sostenitori di pancia o detrattori di pancia della nostra storia.

  41. Luca

    A me sembra che le prendiamo più o meno da tutti anche nella fascia di età dedicata agli studenti. Ed è proprio su questo che ho i dubbi maggiori. Mi sbaglierò, ma, lo ripeto, a risultati così sorprendenti dovrebbe seguire un’analisi molto approfondita. Perché io posso pure accettare il risultato ma voglio essere sicuro di aver compreso le ragioni.
    Non metto affatto in dubbio il decadimento culturale (non solo a livello scolastico) che è in atto in Italia da qualche decennio, ma non vedo ragioni sostanziali per cui questo problema sia tanto diverso da altre realtà europee e mondiali. Il taglio delle risorse allo studio, della formazione al lavoro, delle risorse pubbliche alla cultura, ha colpito solo il nostro paese? Chi ha studiato o lavora all’estero nota un livello di professionalità così diverso rispetto all’Italia? Potrò sbagliarmi, ma a me tutto questo non risulta.

    • alex

      anche a me alcuni risultat sembrano strani: so di sicuro che gli Olandesi hanno mooolti problemi a scrivere correttamente anche a livelli di scolarizzazione alti. questo deriva dall’alfabeto latino che non si presta bene alla loro lingua. in germania credo sia la stessa cosa. per no parlare dell’inglese, anche se non ho esperienza diretta di quanto correttamente scrivano gli inglesi.
      inoltre confermo che il livello universitario in alcuni paesi (svezia) sia molto piu’ basso che in italia, anche se forse piu’ indirizzato all’apprendimento di competenze pratiche.
      queste differenze dovrebbero saltare fuori nelle statistiche, per es. confrontando i giovani che ancora non hanno ricevuto formazione professionale!

  42. Michele Pellizzari

    Grazie per il suo commento. A breve sarà possibile confrontarsi con i test PIAAC online. Vada sul sito http://www.oecd.org/site/piaac/ e segua il link “Education & Skills Online” sulla sinistra.

  43. gabriella

    Ho avuto modo di imbattermi in questo articolo grazie ad un incontro casuale con un cosiddetto progetto di valorizzazione del capitale umano. Mi ha incuriosita molto capire come si può far passare per “innovativo” un processo che vede il tentativo di trasformazione di questa attuale società, figlia di lotte per il valore umano, in una società falsamente “liberalizzata” ma molto più “egoista” dove è meglio impegnare il Capitale Umano in un “progetto di recupero del sapere” togliendo così spazio e tempo ad un autentico insegnamento più elevato: vivere il sociale!
    A questa curiosità posso solo rispondermi con le vere e profonde parole di un grande Maestro dell’innovazione interiore e la sua frase “conosco nella misura in cui ho vissuto” dice più che molte tavole rotonde che tentano a nostre spese di trovare la soluzione mandando dietro ai banchi chi paradossalmente non può più stare dietro ad un banco di lavoro.

  44. Sergio

    Se tutto ciò corrisponde al vero, come mai nelle università, nei ristoranti, nelle grandi imprese straniere, gli italiani sono molto apprezzati e pagati mediamente meglio degli altri?
    In Giappone addirittura hanno effettuato recentemente uno studio per capire come funziona l’originalità e la creatività italiana. I Giapponesi saranno un po’ “pazzi”, ma anche i “terribili” tedeschi, dietro la loro apparente rigidità, ci ammirano. Nella mia vita ho avuto modo di lavorare con ricercatori tedeschi e di osservare il loro approccio alla ricerca, la loro preparazione e capacità di risolvere i problemi. Per quanto riguarda le prime due, le differenze tra tedeschi ed italiani sono minime. Nella capacità di superare ostacoli imprevisti e risolvere problemi nuovi, invece, gli italiani non hanno concorrenti. Posso citare a proposito un episodio realmente accaduto. Circa dieci anni fa qui in Italia, durante un esperimento, ci fu un blackout che durò due giorni. Noi italiani trovammo il modo di continuare a lavorare utilizzando forni alternativi, strumenti elettronici alimentati con batterie per auto, ecc. loro rimasero fermi, senza sapere cosa fare, stupiti che potesse accadere una cosa del genere e meravigliati dei nostri tentativi, pittoreschi ma efficaci, di continuare ad andare comunque avanti. Un giorno, sempre in laboratorio, finì la bombola di elio e rimasero due giorni ad attendere che qualcuno la sostituisse (ovviamente qui in Italia non esiste un addetto alla sostituzione della bombola, ma occorre chiamare la ditta personalmente e trasportarla “con le proprie mani” in laboratorio). Posso capire che dal punto di vista organizzativo facciamo acqua da tutte le parti, ma penso che chiunque, vedendo che la bombola vuota per due giorni, cominci a chiedersi il perché e cosa occorre fare affinché venga sostituita. Loro no. Erano lì, in attesa dell’apparizione di un fantomatico addetto, affascinati da questo mistero.
    L’arte di arrangiarsi è una pessima qualità quando tutto funziona, quando c’è ordine, le leggi vengono rispettate, il Governo pensa ai suoi cittadini, ognuno ha un compito ben definito e lo porta a termine ad ogni costo. Essa diventa, però, una qualità fondamentale quando tutto va male, l’ingranaggio si rompe, nessuno pensa alle tue necessità, non esiste una regola o si è davanti ad un imprevisto. Poiché la vita riserva sempre brutte sorprese, preferisco essere nato in Italia.

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