Lavoce.info

Start-up: se la crescita passa da un collo di bottiglia

Le start-up innovative sono nettamente aumentate anche in Italia e sempre più sono considerate un tassello fondamentale della ripresa. Tuttavia alcuni colli di bottiglia sistemici lungo il percorso di maturazione delle nuove imprese potrebbero frenarne la futura crescita. Le possibili soluzioni.

CRESCONO LE START-UP

Il fenomeno delle start-up innovative va consolidandosi anche in Italia e oramai i dati empirici possono fornire evidenze utili a coloro che, a vario titolo, lavorano allo sviluppo dell’ecosistema. L’osservazione di fondo è che [tweetable]il sistema attualmente soffre di alcuni colli di bottiglia lungo il percorso di maturazione delle nuove imprese innovative[/tweetable], che potrebbero rappresentare veri e propri tappi per la futura crescita.
Se consideriamo la filiera del valore che dalle fasi pre-seed e seed dell’idea imprenditoriale giunge fino alle fasi di consolidamento dell’azienda, tipicamente definite di expansion e round b, possiamo identificare tre momenti fondamentali: la generazione dell’idea imprenditoriale, la generazione del fatturato, la generazione dello sviluppo.
Il primo passo – quello legato alla capacità di generare idee imprenditoriali – sta diventando particolarmente consistente in Italia. Gli ultimi dati individuano 1.478 start-up innovative che in pochi mesi si sono iscritte negli appositi registri delle camere di commercio e 1.082 spin-off creati dai risultati della ricerca pubblica. (1)
Aldilà del numero di società già costituite, esiste un fenomeno pre start-up, rappresentato da un patrimonio di giovani team con idee imprenditoriali che si formano nelle numerose business plan competition, nei programmi di incubazione e accelerazione. Queste idee in fase embrionale sono portatrici di valore economico, legato a un primo prototipo disponibile, a una domanda di brevetto o a un gruppo competente.

LA GENERAZIONE DI FATTURATO E IL PRIMO COLLO DI BOTTIGLIA

Laddove occorre trasformare il valore economico attribuibile all’idea imprenditoriale in generazione di fatturato sorgono difficoltà: secondo una recente analisi sulle start-up innovative, l’86 per cento produce un fatturato inferiore a 100mila euro. (2)
Sebbene si tratti di aziende di recente costituzione (molte hanno meno di due anni di vita) e di aziende innovative (quindi per loro natura ad alto tasso di rischio), il dato indica che la stragrande maggioranza di società già costituite ha difficoltà a generare un minimo di fatturato dall’idea imprenditoriale. Esiste quindi un collo di bottiglia nello sviluppo dell’ecosistema. Potrebbe essere affrontato a livello di policy e di sistema, con misure e interventi che facilitino l’ingresso di competenze e capitali nelle start-up innovative. Ad esempio, si potrebbero considerare:

a)    le agevolazioni fiscali alla partecipazione al capitale di start-up (il Governo ha già ottenuto il via libera dalla Commissione europea ed è previsto un decreto in proposito), che dovrebbero incentivare gli investimenti di imprenditori-angels;
b)    un auspicabile nuovo “fondo di fondi” che utilizzi la leva pubblica per incentivare l’ingresso di venture capital privato;
c)     lo sviluppo di legami con le aziende della tradizione italiana, e in particolare con le 7.705 medie aziende con un fatturato tra i 15 e i 330 milioni di euro. (3) Le medie aziende hanno modelli gestionali e organizzativi consolidati, sono presenti sui mercati esteri, hanno capacità finanziaria e necessità di innovare. Qualora si intensificassero i collegamenti tra le medie aziende e le start-up, le prime potrebbero rappresentare un ponte – costituito da capitali, competenze manageriali, network – che supporta le start-up nel trasformare il valore economico in fatturato.

Leggi anche:  Che ne sarà dei nuovi nidi senza Pnrr*

L’ingresso di questi operatori (angels, fondi di venture capital, medie aziende) produce tipicamente nella start-up non soltanto una disponibilità di capitali, ma anche l’accesso a network privilegiati, a canali commerciali, a clienti rilevanti. In particolare, per le start-up di derivazione accademica – i cosiddetti spin-off – l’ingresso di competenze ed esperienze manageriali consentirebbe di superare il limite di team spesso eccessivamente focalizzati su aspetti tecnici e poco orientati alla gestione di impresa.

LA GENERAZIONE DI SVILUPPO E IL SECONDO COLLO DI BOTTIGLIA

Esiste inoltre un secondo step della filiera del valore, cui è giunto un nucleo ristretto di start-up, cosiddette venture backed. Generalmente queste aziende hanno consolidato un primo prodotto, hanno riscontri di mercato, un portafoglio brevetti e hanno chiuso un’operazione di venture capital di round a (fino a circa 3 milioni di euro). In particolare, nel periodo 2008-2012, 172 start-up hanno ricevuto investimenti di venture capital. (4)
Alcune start-up, poi, sono giunte a una fase di maturazione per un’ulteriore crescita (round b, acquisizioni). Tuttavia, queste operazioni sono estremamente limitate nel nostro paese. Siamo ben lontani dai numeri che si registrano in altre realtà, come quella statunitense, dove l’acquisizione di start-up viene considerata una strategia di crescita dalle corporations. Le grandi aziende acquisiscono i team e i prodotti delle nuove imprese, per diversificare, entrare in nuovi mercati, ampliare le funzionalità dei prodotti che hanno già in portafoglio. In Italia, a parte alcuni casi eclatanti nel settore biotech (l’acquisizione della start-up Eos da parte dell’americana Clovis, la Silicon Biosystem acquisita dalla Menarini) e nel settore internet (JobRapido acquisita dall’inglese Daily Mail), se ne ricordano pochissimi altri.
Si genera, pertanto, un nuovo collo di bottiglia: il sistema non riesce a trasformare le migliori start-up italiane in aziende di successo, ovvero quelle che dovrebbero generare impatto e sviluppo. Le soluzioni andrebbero ricercate:

a)    nello sviluppo del private equity italiano in settori high-tech (ovvero fondi con capacità di round di investimento dell’ordine di 10 milioni di euro);
b)    nella maturazione di una cultura del merger&acquisition tra le aziende italiane, associata a un focus del sistema su start-up in grado di proporre soluzioni e opportunità per i settori del made in Italy;
c)     nell’acquisizione di figure manageriali da parte delle start-up in grado di gestire operazioni di M&A sull’estero. I settori ad alta tecnologia (da internet alle hard technologies) hanno per loro natura una dimensione globale e, pertanto, le start-up necessitano di una managerialità adeguata a negoziare in contesti internazionali.

Leggi anche:  Il Superbonus colpisce ancora

La figura sotto esemplifica il percorso di maturazione delle idee imprenditoriali innovative, evidenziando gli attuali colli di bottiglia “sistemici” e le possibili misure di intervento.

Immagine articolo petrone

Intervenire sui colli di bottiglia potrebbe determinare un salto in avanti dell’ecosistema, passando da un percorso attuale che produce un imbuto molto ristretto nei risultati, a un fenomeno più significativo con un maggior numero di start-up in grado di crescere e influenzare realmente lo sviluppo del sistema-paese.

(1) La legge 221/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento la definizione di start-up innovativa, destinataria di un quadro di riferimento normativo articolato e organico a livello nazionale che interviene su materie differenti, come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali, il diritto fallimentare. Le start-up innovative devono iscriversi presso una sezione speciale del Registro delle imprese. Quelli riportati sono dati Infocamere, dicembre 2013. Si veda anche Netval, Seminiamo ricerca per raccogliere innovazione, X Rapporto sulla valorizzazione della ricerca pubblica italiana, 2013.
(2) Corbetta M., “Ecco l’identikit delle startup innovative”, Agenda digitale (wwww.agendadigitale.eu), 6 gennaio 2014.
(3) Mediobanca e Unioncamere, “Le medie imprese industriali italiane”, 2013.
(4) Aifi – Liuc, “Venture capital monitor”, Rapporto Italia, 2012.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Per i "progetti in essere" la sorte è incerta*

Precedente

Il segreto della ripresa tedesca*

Successivo

Cambiare l’Irpef pensando al lavoro

  1. EzioP1

    Nel panorama delle start-up distinguerei tre tipi (anche se poi l’assoluta distinzione tra le tre
    nella realtà si sbiadisce poiché ogni start-up ha un po’ un tipo prevalente e anche gli altri due in secondo piano): c’è il “me too” (ci sono anch’io con lo stesso prodotto, nello stesso mercato
    ma con iniziative differenziate dagli altri), c’è lo “small fish” (il pesciolino che si affianca al pesce di lui ben più grande e prende i bocconi cui il gigante non bada, anzi gli è di utile apporto) e da ultimo la “breaking idea”, la novità cui nessuno ha ancora realizzato. I tre tipi hanno ovviamente dei piani di business ben diversi per strategia, marketing, investimenti e tempi di realizzazione. Mi pare che l’articolo indirizzi soltanto l’ultimo dei tre tipi. E gli altri due?

    • giorgio67

      Corretto! Come non condividere? In Italia molti si occupano (e parlano) di start up, ma pochi le fanno. Chissà come mai? Il “me too”, per estensione è anche la “pizzeria”: molta enfasi come sempre su innovazione e brevetti, quando non sono aspetti rilevanti, o per lo meno non gli unici e tutti a parlare di incentivi e sgravi, quando i veri problemi sono probabilmente ben altri.
      In un momento economico come questo è ovvio che il tema delle risorse finanziarie è di assoluto rilievo. Tuttavia, anche in momenti migliori, quando sicuramente le risorse finanziarie c’erano, esistevano e continuano ad esistere anche gli altri ostacoli che sono prevalentemente di natura burocratico-amministrativo-regolamentare (che ovviamente affliggono anche le aziende consolidate) e il tema fondamentale della gestione dell’insuccesso. Mettiamo mano all’Italia e anche le start up avranno vita facile!

  2. Simone

    Il vero motivo per cui molte startup innovative non producono fatturato è che i loro prodotti, per quanto innovativi, non hanno alcun valore per il mercato. Consiglio vivamente di partecipare ad uno a caso dei concorsi di idee che si tengono in Italia per rendersi conto della povertá di tali idee dal punto vista della attrattività per il mercato.

  3. GianpieroRiva

    Aggiungo un altro elemento. Per mia esperienza ho scoperto che i ventures inorridiscono quando gli dici che i soldi ti servono per la promozione. Prendete il mio caso: con un amico designer orafo ci siamo inventati JewelGram, gioielli decorati e customizzati con le foto prese da Instagram realizzati a Venezia e distribuiti in tutto il mondo. E la nuova tendenza dalla Silicon Valley non è quella dei makers, degli artigiani che dal digitale creano cose reali? Eccoci! Ci siamo finanziati da soli per realizzare il prodotto che piace, abbiamo iniziato a vendere online in tutto il mondo. Ora però servono capitali per spingere sull’acceleratore e muovere una massa critica importante. Ma sono certo che non troverò i investitori interessati a finanziarci per la mera promozione. E lo so per esperienze passate con altre startup. Ma il fashion (anche se in questo caso hi-tech) cos’è se non promozione?

  4. Antonella Rubicco

    Ottime tutte le argomentazioni, ma forse occorre definire bene che cosa si intende con il termine start-up. Un’azienda che ha già un prodotto pronto per la commercializzazione, in cui i fondatori hanno già
    sostenuto i costi di sviluppo, prototipazione, industrializzazione non è una start-up. Dall’idea al prodotto passano almeno 2 anni, durante i quali si fa ricerca e sviluppo per arrivare a qualcosa da mettere sul mercato, queste fasi vanno finanziate ed è questo il primo vero scoglio di una start-up, quella vera che parte da un’idea ad arriva sul mercato con un prodotto. La prima difficoltà è trovare fondi per l’R&D senza farsi sciacallare la company da finanziatori ( parlare di vc in Italia è ancora troppo presto, non c’è la cultura) e senza che i fondatori si demotivino. E’ ora di iniziare a capire ed a definire che cosa si intende quando si parla di start-up, senza decreti che definiscono un qualcosa che non esiste, occorre iniziare a conoscere quale è la vita di una start-up, quali sono le necessità e le fasi che compongono il percorso che partono da un’idea ad arrivano ad un prodotto finito. Tutte le soluzioni descritte nell’articolo per superare i colli di bottiglia (delle aziende) funzionano sulla carta e sarebbero applicabili in un sistema perfetto, ideale non corrotto e sarebbero applicabili anche alle start-up, ma nel mondo reale restano purtroppo solo teorie. Occorrerebbe cambiare mentalità e visione, senza decreti, ma in concreto, Bisognerebbe rispettare l’idea e chi l’ha avuta ed iniziare a considerare loro il vero valore da tutelare e far crescere, e non solo i soldi investiti, se non si fa questo non si riuscirà mai ad avere start-up di successo e non si riuscirà mai a dare una reale spinta in avanti all’economia.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén