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Europei al voto con scarsa fiducia

La fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee continua a scendere. Ma l’Europa non può fare a meno di un ampio consenso dell’opinione pubblica. Indispensabile quindi una svolta, per rendere più democratiche le istituzioni europee.

CON LA CRISI CRESCE LA SFIDUCIA

Le elezioni del Parlamento europeo del 22-25 maggio arrivano dopo che la più violenta crisi economico-finanziaria del dopoguerra ha minato in maniera profonda la fiducia dei cittadini dell’Unione nelle sue istituzioni.
L’indagine demoscopica Eurobarometer, svolta semestralmente per conto dalla Commissione europea, mostra dati impressionati. Oggi la percentuale dei cittadini europei che non ha fiducia nel Parlamento europeo supera di 8 punti percentuali quella di chi invece ha fiducia in esso. (1) Solo qualche anno fa la situazione era ben diversa: gli estimatori del Parlamento europeo erano oltre il 30 per cento in più dei suoi detrattori. Ancora più accentuata è stata la perdita di fiducia nei confronti della Commissione, del Consiglio e soprattutto della Banca centrale europea. Per quest’ultima, la percentuale dei cittadini dell’area dell’euro che non nutrono fiducia nella Bce supera di oltre 17 per cento quella dei suoi estimatori. (2)
Come mostra la figura 1, il grosso della perdita di fiducia si è verificato negli ultimi cinque anni e mezzo in concomitanza con la crisi economica. Per altro è difficile affermare che questa reazione abbia motivazioni di natura irrazionale o istintiva: evidentemente i cittadini europei non hanno apprezzato il modo con cui le istituzioni europee hanno affrontato la crisi.

Figura 1Differenza tra la percentuale di persone che credono o non credono nelle istituzioni europee
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Ovviamente, la perdita di fiducia è stata più marcata nei paesi che hanno subito più pesantemente gli effetti della crisi: Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, Italia. Tuttavia, anche nei paesi che meglio hanno resistito e che non hanno subito una crisi del debito sovrano, la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee è diminuita. Ancora una volta i dati sono impressionati. Oggi quasi il 70 per cento dei greci non crede nel Parlamento europeo, mentre poco meno nel 30 per cento ha ancora fiducia in esso. Anche in Italia, tradizionalmente uno dei paesi più europeisti dell’Unione, la percentuale delle persone che dichiarano di non avere fiducia nel Parlamento europeo (44 per cento) supera quella di chi ha fiducia in esso (41 per cento). Solo qualche anno fa questi numeri erano rispettivamente 17 e 70 per cento. Per non parlare poi dell’antieuropeismo britannico, che la crisi non ha fatto altro che rafforzare.

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Figura 2 – Differenza tra la percentuale di persone che credono o non credono nel Parlamento europeo nei diversi paesi
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IL CONSENSO SERVE

Storicamente il progetto di unificazione europeo è stato guidato dalle élite politiche. Tuttavia, negli ultimi decenni l’uso di strumenti democratici ha giocato un ruolo crescente nel processo d’integrazione. Da quando le politiche europee hanno cominciato a influire su questioni interne e sociali, le élite non hanno più potuto contare sull’implicito e benevolo supporto del pubblico. Secondo la definizione di Liesbet Hooghe e Gary Marks, l’opinione pubblica è passata da un “permissive consensus” a un “constraining dissensus”. (3) Il risultato è stato un crescente peso degli euroscettici. La crisi ha ulteriormente amplificato questo processo.
Nelle ultime elezioni europee, del 2009, con un’affluenza alle urne di poco più del 43 per cento, i partiti dichiaratamente euroscettici (Ecr e Eld) hanno potuto contare su oltre il 10 per cento dei seggi. Certamente, questa volta le cose andranno ben peggio. Speriamo che presto la classe politica capisca che l’Europa non può più aspettare a lungo, se vuole sperare di sopravvivere.

Composizione del Parlamento europeo dopo le elezione del 2009
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L’Europa rimane un’entità giovane e priva di un forte collante etnico, linguistico e perfino culturale, per potersi permettere il lusso di fare a meno di un ampio consenso dell’opinione pubblica. Ecco perché è indispensabile una svolta drastica che renda le istituzioni europee più democratiche e vicine ai cittadini: un Parlamento che abbia il pieno potere legislativo, una Commissione che si trasformi in un vero Governo e un Consiglio che divenga un Senato dell’Unione. Ma non basta: sono indispensabili anche politiche economiche ben più attente allo sviluppo. La Banca centrale europea non può occuparsi solo d’inflazione e della vigilanza bancaria, ma deve pensare anche alla crescita, come fanno tutte le altre principali banche centrali del mondo; il bilancio pubblico dell’Unione non può continuare a essere una percentuale minima del Pil dell’area e in larga parte utilizzato solo in settori quali l’agricoltura.

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(1) La domanda posta agli intervistati è “Tende a credere o a non credere nel Parlamento europeo?”, con le possibili risposte: “tendo a credere”, “tendo a non credere”, “non so”.
(2) Sull’argomento si veda Roth, F., Nowak-Lehmann, F. D. and T. Otter (2011), “Has the financial crisis shattered citizens trust in national and European governmental institutions?”, CEPS Working Document No. 34; Gros, D. and F. Roth (2010), “The financial crisis and citizen trust in the European Central Bank”, CEPS Working Document No. 334; Fischer, J. and H. Volker (2008), “Determinants of Trust in the European Central Bank”, Working Paper Series in Economics and Finance 695, Stockholm School of Economics; Stevenson, B. and J.Wolfers (2011), “Trust in public institutions over the business cycle”, American Economic Review Papers & Proceedings, 101, 3, pp. 281-287.
(3) Hooghe, Liesbet. “What Drives Euroskepticism? Party-Public Cueing, Ideology, and Strategic Opportunity.” European Union Politics, Vol. 8, No. 1 (Mar. 2007): 5-12.

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Il Punto

  1. Antonio Gasperi

    D’accordo con l’autore, segnalo la crescente complessità delle istituzioni europee e la conseguente crescente difficoltà nell’afferrarne il funzionamento: che a maggio si elegga il presidente della commissione europea non è del tutto vero. se si guarda cosa è stato modificato dall’ultimo trattato di Lisbona, si legge che “Il Consiglio europeo deve tenere conto dei risultati al Parlamento quando designa la personalità che intende nominare quale presidente della Commissione”. si tratterebbe di una sorta di cohabitation semipresidenzialistica, subordinata al potere intergovernativo del consiglio europeo, reale deus ex machina della macchina comunitaria. Dubito che i cittadini europei sappiano apprezzare tale modifica, anche se sembra andare verso il rafforzamento del circuito decisionale comunitario.

  2. Piero

    Articolo che ha centrato l’attuale situazione, alla fine da le linee per uno sviluppo dell’unione europea, purtroppo e’ solo un sogno, tutti sappiamo che da quando ci fu la bocciatura della Costituzione e si ritorno al trattato di Lisbona, vi fu un passo indietro, però rimase l’unione monetaria che oggi come fu programmata già ha diviso ancora di più l’Europa, il futuro sarà quindi la rottura del l’accordo monetario, l’uscita di qualche stato dall’unione europea, prepariamoci a questo scenario, cosa deve fare l’Italia per anticipare tutto, in primis dovrà cambiare la moneta legale del paese, invece di adottare l’euro che alla fine e’ una moneta estera, adottare il dollaro quale valuta legale, si riprende tutt’ad un tratto il mercato americano, che ancora è il più grande del mondo, poi non sarà più obbligata al fiscal combact, rientro del debito per 40 miliardi all’anno (dal prossimo anno dobbiamo fare questo rientro, dove prendiamo i soldi? Possibile che Renzi oggi non dice nulla su questo punto per il 2015 mancano 9 mesi, poi dove prendiamo i soldi che l’Italia di e’ obbligata a conferire nel fondo salva stati?).
    Dovrà naturalmente procedere con le riforme e puntare subito con decreto legge alla soluzione del credit crunch delle imprese, deve mettere in campo la garanzia statale per i fidi alle imprese con la662, da gestire in modo automatico senza che debba uscire decreti ministeriali applicativi, oggi si è enfatizzata la legge Sabbatini, sarà un fallimento, le imprese non debbono investire debbono trovare il finanziamento del capitale circolante.

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