Come evidenziato molto opportunamente anche nel contributo di Massimo Bordignon pubblicato qualche giorno fa, al nuovo Senato dovrebbero essere attribuite competenze assai incisive, tali da farne una effettiva “camera territoriale”. A parer mio ci sarebbero ancora alcuni aspetti perfezionabili, alcune funzioni da rinforzare (in particolare in tema di garanzie e di legislazione bicamerale) ma tutto sommato il testo appare molto più equilibrato e condivisibile di quanto non fosse quello uscito da Palazzo Chigi alcuni mesi fa.
Questo a conferma che le critiche possono essere assai più utili di quanto non lo siano gli applausi aprioristici.
Lo scontro persiste però sulla composizione dell’aula. In particolare appare criticabile la scelta di un “Senato dopolavorista” composto da membri che già ricoprono (e continuano a ricoprire) la carica di sindaco o consigliere regionale. È evidente infatti che un Senato dotato di competenze e poteri effettivi debba riunirsi e lavorare con una certa continuità e costanza e dunque necessiti anche dell’assidua presenza di chi è chiamato a farne parte, aspetto inevitabilmente complicato se il senatore deve ricoprire in aggiunta un diverso e impegnativo mandato, in tutt’altra parte d’Italia.
Al centro dello scontro tra e dentro i partiti vi è però un secondo aspetto, collegato con il precedente, quello relativo all’elettività diretta dei senatori. In presenza di una probabile legge elettorale per la Camera dei Deputati basata sulle liste bloccate sarebbe necessario evitare una seconda Camera parimenti composta di personalità nominate e non elette dal popolo; almeno questo è quanto afferma il vasto e trasversale fronte dei senatori che contrastano la riforma. Il tema esiste ed è reale anche se, a onor del vero, l’attenzione sull’elezione diretta dei parlamentari andrebbe forse indirizzata ad emendare l’Italicum, dal momento che in tutti i sistemi democratici è il ramo del Parlamento titolare della funzione di indirizzo politico quello più organicamente legato ai processi elettorali propri delle democrazie rappresentative. Sarebbe possibile far ciò molto semplicemente anche senza smontare l’impianto (comunque criticabile) di tale sistema elettorale. Basterebbe sostituire le liste bloccate con collegi uninominali e riparto provinciale (il modello vigente per le elezioni provinciali e per il Senato fino al 1993), prevedere una ripartizione dei seggi su base circoscrizionale e vietare le candidature plurime.
Tornando al Senato, però, l’insieme dei problemi relativi alla composizione sarebbe facilmente risolvibile con l’adozione di scelte ispirate a modelli vigenti in altri contesti istituzionali, se solo verrà evitata la tentazione di trasformare problemi tecnico-politici in uno scontro ideologico per finalità ostruzionistiche o di marketing elettorale. Non esiste ragione, infatti, perché non possano convivere l’esigenza di creare una camera di raccordo tra i diversi livelli di governance territoriale con quella di rafforzarne la rappresentatività e il legame anche con la comunità politica nel suo insieme.
Ispirandosi parte al modello tedesco e parte al modello spagnolo, infatti, la composizione del Senato potrebbe essere la seguente:
- Ogni regione è rappresentata in Senato dal proprio presidente, con la sola eccezione del Trentino-Alto Adige, rappresentato dai due presidenti di Provincia.
- Ogni regione di almeno 500.000 abitanti esprime inoltre altri due senatori scelti con elezione indiretta e voto limitato ad uno da un collegio formato da Consiglio regionale e consiglio delle autonomie locali, così da garantire un collegamento tra Senato, Regione e sistema delle autonomie. Il Trentino-Alto Adige ne esprime uno solo.
- In ogni regione di almeno 500.000 abitanti viene inoltre eletto direttamente un senatore su scheda separata ma simultaneamente all’elezione del presidente della Regione. Le regioni con popolazione compresa tra 1.500.000 e 4.000.000 di abitanti ne eleggono 3. Le regioni con popolazione superiore a 4.000.000 e fino a 6.000.000 ne eleggono 4. Le regioni con popolazione superiore a 6.000.000 ne eleggono 6.
- In caso di scioglimento anticipato del consiglio regionale, decadrebbero anche i senatori eletti direttamente.
In questo modo, il Senato avrebbe una composizione di 110 membri eletti, espressi per metà in modo diretto e per metà indiretto, ma sempre con un mandato legato al ciclo politico-elettorale della regione di espressione.
Si tratterebbe di una soluzione equilibrata, praticabile e, ritengo, di buon senso, capace di garantire a un tempo adeguata rappresentatività democratica e un legame istituzionalizzato con il governo regionale e il sistema delle autonomie locali e che – con la sola eccezione del presidente di regione – non prevedrebbe l’esistenza di doppi incarichi inopportuni e di dubbia efficienza.
È una soluzione che richiede che tutti facciano mezzo passo indietro, rinunciando a ostruzionismi e prove di forza. Ma forse è questa la condizione più complicata di tutte.
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Di bizantinismi, cavilli, eccezioni si nutre e ciba la politica burocratica italiana, sabauda, napoleonica e borbonica. Se il senato è una copia esatta della camera bassa e, in questo si è identificato il problema, perché non abolirla del tutto? La camera bassa rappresenta tutte le istanze della popolazione in età di voto, salvo esse superino una soglia minima. La revisione della legge elettorale dovrebbe tendere a raggiungere questo obiettivo, secondariamente alla garanzia di governabilità. Perché non si fa bene un lavoro (legge elettorale) anziché farne due male?