Negli ultimi anni, alla sostanziale stabilità delle misure distributive aggregate, è corrisposto un mutamento delle posizioni relative delle diversi classi sociali. La quota delle famiglie operaie a basso reddito è aumentata, mentre quella delle famiglie dei lavoratori autonomi è diminuita. Inoltre, anche se la dinamica del reddito disponibile reale delle famiglie è stata superiore a quella delle retribuzioni, rimane grande il contrasto tra l’esperienza recente e quella dell’espansione degli anni Ottanta.

Nell’articolo a fianco abbiamo mostrato come i risultati delle indagini sui consumi dell’Istat e sui redditi della Banca d’Italia non forniscano alcuna evidenza di un aumento della povertà e della disuguaglianza nell’ultimo decennio. Per quali ragioni si è invece affermata nell’opinione pubblica italiana la lettura opposta? Qui il ragionamento si fa necessariamente ipotetico, ma possono essere individuati due ordini di fattori. (1)
Il primo riguarda le aspettative delle famiglie: alcune caratteristiche del contesto macroeconomico, in particolare nel raffronto con il passato, possono averle indotte a giudicare l’evoluzione economica recente più negativamente di quanto risulti dai dati statistici oggettivi. Liquidare la questione come un caso di errate aspettative delle famiglie sarebbe tuttavia riduttivo.
Un secondo ordine di fattori è costituito dalle dinamiche redistributive “orizzontali” che hanno modificato le posizioni relative dei vari gruppi sociali senza alterare i livelli di disuguaglianza e povertà complessivi. Dalla metà degli anni Novanta e, in particolare, tra il 2000 e il 2002 la distribuzione delle risorse è cambiata a vantaggio delle famiglie degli autonomi e dei dirigenti e a discapito di quelle degli operai e degli impiegati.

Contesto macroeconomico e aspettative delle famiglie

Com’è noto, negli anni recenti il ritmo di crescita del prodotto interno lordo (a prezzi costanti) è stato modesto: dell’1,7 per cento in media annua dal 1994 al 2003 e appena dello 0,3 per cento nel biennio 2002-03. Il tasso di disoccupazione è rimasto al di sopra del 10 per cento dal 1993 al 2000 ed era ancora pari all’8,7 per cento l’anno scorso. La diffusione delle forme d’impiego “atipiche” ha facilitato lo sviluppo dell’occupazione, ma si è associata a un aumento della quota di lavoratori con remunerazioni basse, contribuendo a moderare le dinamiche salariali. Valutate a parità di potere d’acquisto con il deflatore dei consumi nazionali delle famiglie, le retribuzioni medie pro capite erano nel 2003 allo stesso livello di dieci anni prima. Questo ristagno si confronta con la crescita del 13 per cento registrata nella fase espansiva durata dal 1983 al 1992 (figura 1).
L’andamento delle retribuzioni unitarie fornisce un’informazione parziale sull’evoluzione delle entrate familiari, che dipendono anche da varie altre fonti di reddito, oltre che dal numero di persone occupate.
La dinamica del reddito disponibile reale delle famiglie è stata superiore a quella delle retribuzioni: in termini pro capite, esso è aumentato dell’8 per cento tra il 1993 e il 2002. Nondimeno, anche per il reddito disponibile rimane grande il contrasto tra l’esperienza recente e quella dell’espansione degli anni Ottanta, quando era aumentato di quasi il 30 per cento (figura 2).
Se la crescita dei redditi attesa dalle famiglie nel medio periodo riflette, almeno in parte, la loro esperienza passata, è plausibile che la fiacchezza del ciclo espansivo degli anni Novanta, in confronto a quello del decennio precedente, abbia contribuito ad alimentare un generale senso di impoverimento, ancorché da intendersi in senso relativo più che assoluto. Questa sensazione negativa è stata probabilmente rafforzata dalle riforme previdenziali attuate negli anni Novanta e dalla consapevolezza che la situazione delle finanze pubbliche richiederà nuovi interventi restrittivi.

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Dinamiche redistributive orizzontali tra classi sociali

Le misure aggregate di povertà e disuguaglianza esaminate in precedenza si concentrano sulla distribuzione verticale “tra ricchi e poveri”, ovvero tra famiglie distinte solamente per reddito (o spesa per consumi) equivalente, indipendentemente dal tipo di reddito percepito. Nel periodo recente, alla sostanziale stabilità delle misure distributive aggregate, è corrisposto un mutamento delle posizioni relative delle diverse classi sociali.
Secondo i dati dell’indagine della Banca d’Italia, tra il 1995 e il 2002 il reddito disponibile equivalente (quindi comprensivo di tutte le entrate familiari e non solo di quelle da lavoro o pensione, corretto per la composizione familiare) è cresciuto in termini reali del 2,7 per cento all’anno per le famiglie dei dirigenti, del 2,3 per quelle dei lavoratori autonomi e dell’1,9 per quelle dei pensionati; l’aumento è stato di appena lo 0,4 per cento per le famiglie degli operai e per quelle degli impiegati.
Le differenze nella dinamica dei redditi familiari hanno avuto un impatto sull’incidenza della povertà relativa misurata sui redditi. La quota delle famiglie operaie a basso reddito è aumentata, mentre quella delle famiglie dei lavoratori autonomi è diminuita (figura 3). Anche tra le famiglie degli impiegati si è registrato un aumento, ancorché su livelli molto più bassi. L’incidenza della povertà è lievemente discesa tra le famiglie dei pensionati ed è rimasta stabilmente nulla tra quelle dei dirigenti.
Questi cambiamenti nella composizione sociale delle famiglie a basso reddito non hanno modificato gli indici complessivi di povertà perché si sono compensati tra loro. Tra il 1995 e il 2002 la maggior diffusione della povertà tra le famiglie degli operai e degli impiegati ha contribuito ad aumentare la quota totale dei nuclei a basso reddito di 1,2 punti percentuali, ma questo effetto è stato neutralizzato da quello opposto di pari entità scaturito dalla migliorata condizione delle famiglie degli autonomi e dei pensionati (fig. 4).

* L’autore è economista al Servizio Studi della Banca d’Italia e componente della Commissione d’indagine sull’esclusione sociale. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell’autore e non impegnano in alcun modo né la Banca d’Italia, né la Commissione d’indagine sull’esclusione sociale.

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(1) Un terzo fattore possibile è la maggiore mobilità temporale dei redditi familiari (cfr. T. Boeri, “Un declino di benessere”, www.lavoce.info, 14 aprile 2004). Va anche ricordato che le fonti esaminate si basano sulle risposte delle famiglie intervistate, le quali, nonostante gli accorgimenti dei rilevatori, possono ricordare con difficoltà i redditi e le spese per consumo, o possono essere volontariamente reticenti a rivelare informazioni personali a estranei; la limitata dimensione campionaria rende inoltre difficile misurare con accuratezza la distribuzione, specialmente tra i più ricchi e tra i più poveri. Se queste osservazioni invitano a prendere con cautela i risultati delle indagini campionarie dell’Istat e della Banca d’Italia, appare tuttavia improbabile che esse diano indicazioni affatto contrarie a ciò che è accaduto.

 

 

 

Fig. 1 – Retribuzioni reali medie pro capite nelle due ultime espansioni (indici: valore nel minimo ciclico = 100)

 

Fonte: elaborazione su dati Istat, Conti nazionali. Retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente, deflazionate con il deflatore dei consumi nazionali delle famiglie.




Fig. 2 – Reddito netto disponibile reale pro capite nelle due ultime espansioni
(indici: valore nel minimo ciclico = 100)

 

Fonte: elaborazione su dati Istat, Conti dei settori istituzionali. Reddito disponibile delle famiglie, al netto degli ammortamenti e delle perdite in conto capitale sulla ricchezza finanziaria dovute all’inflazione, diviso per la popolazione totale e deflazionato con il deflatore dei consumi nazionali delle famiglie.





Fig. 3 – Quota di famiglie a basso reddito per classe sociale, 1995-2002
(valori percentuali)


 

Fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia, Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, Archivio storico (Versione 3.0, gennaio 2004). La classe sociale è individuata dalla condizione occupazionale del capofamiglia, identificato con il maggior percettore di reddito da lavoro o pensione.




Fig. 4 – Contributo di ciascuna classe sociale alla variazione della quota di famiglie a basso reddito tra il 1995 e il 2002
(punti percentuali)


 

Fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia, Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, Archivio storico (Versione 3.0, gennaio 2004). La classe sociale è individuata dalla condizione occupazionale del capofamiglia, identificato con il maggior percettore di reddito da lavoro o pensione.

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