La definizione di un comportamento in “buona fede” verso i creditori è cruciale per i prossimi sviluppi della vicenda argentina. Da questo dipende la ripresa del programma triennale con il Fondo monetario internazionale e la possibilità di tornare in futuro a indebitarsi sui mercati internazionali. Altre strade non sembrano percorribili perché accrescerebbero notevolmente la fragilità finanziaria del paese. Che invece deve stabilizzare l’attuale corso positivo attraverso misure di aggiustamento strutturale.

La chiusura dell’offerta pubblica di scambio dei titoli del governo argentino ripropone il problema, accantonato per alcuni mesi, dei rapporti tra Argentina e Fondo monetario internazionale.

La situazione

Prima della scorsa estate, il governo argentino aveva chiesto al Fmi di sospendere il programma triennale approvato a Dubai nel settembre 2003. La richiesta era giustificata dal desiderio di concentrare gli sforzi sulla ristrutturazione del debito sovrano.
Alla chiusura dei termini, il 76,1 per cento del valore nominale del debito argentino è stato scambiato contro nuovi titoli. Malgrado sia superiore alle previsioni di molti, la percentuale di adesione è inferiore a quella che ha caratterizzato recenti episodi di ristrutturazione di debito sovrano, come Uruguay o Ucraina. Inoltre, questa percentuale indica un valore medio che nasconde una elevata variabilità. Sono stati scambiati titoli per un valore nominale di 62 miliardi di dollari degli 82 miliardi eleggibili. Restano esclusi 20 miliardi ai quali si aggiungono 5-6 miliardi di interessi maturati. Sono stati emessi nuovi titoli per 36 miliardi, dei quali il 37 per cento sono denominati in peso contro il 3 per cento di quelli eleggibili. La partecipazione dei creditori in Argentina ha raggiunto il 95 per cento. Per contro, la partecipazione dei creditori fuori dall’Argentina (38,6 miliardi) è stata attorno al 66 per cento (il 95 per cento per i titoli denominati in yen, l’85 per cento per quelli espressi in dollari e il 63 per cento per quelli denominati in valute europee).

Il negoziato con il Fmi

L’Argentina ha ora espresso l’intenzione di riprendere il programma interrotto con il Fmi, ma una decisione in merito richiederà diverse settimane di negoziato. La trattativa riguarderà i contenuti del programma, i tempi e l’ammontare del finanziamento, ma prima di passare a questi aspetti si dovrà affrontare la questione della “buona fede“.
L’Argentina rimane un paese che ha interrotto i rapporti con una parte cospicua dei suoi creditori. Il Fmi può fare prestiti a un paese inadempiente verso i suoi creditori solo a condizione che questo stia intrattenendo relazioni in “buona fede” con i creditori medesimi allo scopo di raggiungere una accordo sulla normalizzazione dei rapporti, anche attraverso una ristrutturazione. Secondo la maggioranza dei membri del Board del Fmi, compresa l’Italia, l’Argentina non ha tenuto un atteggiamento in buona fede. E l’atteggiamento non è mutato con la conclusione dell’offerta di scambio.
Il giudizio si basa su diversi argomenti. Dalla prima offerta unilaterale di scambio lanciata a Dubai, gli argentini non hanno mai attivato vere trattative con i creditori, organizzati in vari comitati (di cui il Gcab, Global Committee of Argentina Bondholders, che comprende la stragrande maggioranza dei detentori di titoli italiani, è il maggiore). Durante il periodo di offerta di scambio, il parlamento argentino b ha approvato una legge che vieta al governo di riaprire i termini dell’offerta: si tratta di un’azione considerata contro la “buona fede”. L’Argentina deve annunciare in che modo intende trattare i creditori che non hanno aderito allo scambio. Dalle risposte a questi quesiti, dipenderà se e in quali termini si potrà riprendere un programma con il Fondo.

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Due strade per l’Argentina

Il governo argentino ha di fronte due possibilità. Può adottare misure che permettano di valutare la sua “buona fede” nei confronti dei creditori. Oppure non fare alcuna mossa in questa direzione e non riprendere il programma con il Fondo. L’Argentina può permettersi questa seconda opzione? Tra il 2005 e il 2006 l’Argentina dovrà restituire al Fmi oltre 10 miliardi di dollari (cui si aggiungono i circa 15 miliardi di dollari alla Banca Mondiale) contro prestiti per poco più di 9 miliardi, che saranno elargiti solo se il programma sarà di nuovo operativo.
In teoria, l’Argentina potrebbe rimborsare il Fmi con le sue riserve, che ora ammontano a circa 20 miliardi di dollari. Il paese non dovrebbe così sottostare alle condizioni del Fondo e, allo stesso tempo, eviterebbe di andare in default nei confronti del Fmi medesimo, evento che avrebbe notevoli costi politici e di reputazione. Ma usare le riserve per onorare i debiti accrescerebbe notevolmente la fragilità finanziaria del paese. Inoltre, i creditori privati che non hanno aderito allo scambio quasi certamente inizieranno una serie di azioni legali nei confronti dell’Argentina che potrebbero aumentare l’incertezza sulla capacità di Buenos Aires di fare fronte agli impegni assunti con lo scambio appena concluso nei confronti di quanti vi hanno aderito. Nel medio periodo, l’Argentina deve anche prevedere di ritornare a indebitarsi sui mercati. A quali condizioni dipenderà sia dal giudizio che i mercati daranno del comportamento del paese nella ristrutturazione del debito, sia della capacità dell’economia di stabilizzare il suo attuale corso, che sicuramente è molto positivo in termini di crescita, di inflazione e di performance fiscale. A sua volta, una stabilizzazione in tal senso dipende dalla messa in atto di diverse misure di aggiustamento strutturale, molte delle quali sono comprese nel programma del Fmi attualmente sospeso – dalla riforma del sistema bancario, a quella dei rapporti tra governo federale e province in materia fiscale alla riforma delle utilities.
Dunque, la definizione di un comportamento in “buona fede” è cruciale per i prossimi passi di questa vicenda. I precedenti in materia sono pochissimi o addirittura inesistenti, ma il modo in cui queste questioni saranno risolte farà emergere sicuramente un nuovo “benchmark” nella definizione dei rapporti di debito sovrano.

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