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Un brevetto made in Europe

E’ certamente opportuna una riforma dell’European Patent Convention che porti a regole uniformi per rilascio e tutela del brevetto. Può contribuire a rilanciare l’economia europea. Ma non necessariamente deve seguire l’esempio americano. Tre le linee guida: assicurare ampio accesso alle invenzioni di base, ancora lontane dall’applicazione industriale, ma che possono essere fondamentali per il progresso della ricerca; promuovere la qualità dei brevetti e far sì che gli uffici brevettuali migliorino la gestione delle nuove aree tecnologiche.

La riduzione dei costi di registrazione dei brevetti rientra tra le priorità della Commissione europea. Nella passata legislatura il Governo italiano è andato oltre queste indicazioni programmatiche, cancellando con l’ultima legge Finanziaria parte delle tasse brevettuali. Siamo sicuri che si tratti di un intervento realmente idoneo a promuovere l’attività innovativa?

Vantaggi del brevetto europeo

Varo del brevetto europeo e, in generale, individuazione degli strumenti più efficaci per tutelare gli interessi degli inventori, senza limitare in modo troppo rigido l’accesso alle nuove conoscenze, sono temi più volte riportati al centro del dibattito di politica industriale da lavoce.info.
Vi sono tuttavia alcuni aspetti che meritano un ulteriore approfondimento. Tra questi, il fatto che l’armonizzazione si interrompe con il rilascio del brevetto, e gli aspetti legali relativi alla sua tutela restano diversi da un paese all’altro. In particolare, uno dei passaggi più delicati dell’iter di riforma dell’European Patent Convention (
http://www.european-patent-office.org/legal/epc/) è la possibile introduzione di una corte d’appello specializzata, come già avvenuto negli Stati Uniti, per risolvere le dispute legali su titolarità e utilizzo dei brevetti.
È comunemente riconosciuto che la tutela della proprietà intellettuale rappresenta uno strumento per incentivare l’innovazione, espandere l’insieme di conoscenze disponibili per fini produttivi e sostenere la crescita economica. Tra il 1992 e il 2002 le richieste di brevetto depositate in Europa, Giappone e Stati Uniti sono cresciute di oltre il 40 per cento, per effetto sia dell’aumentata propensione a brevettare delle imprese, sia dell’emergere di nuove aree tecnologiche come l’Ict e le biotecnologie. Per assecondare tale evoluzione, i sistemi di protezione della proprietà intellettuale hanno subìto importanti cambiamenti, orientandosi verso un rafforzamento dei diritti di sfruttamento da parte del titolare.
In questa prospettiva, la creazione di un autentico brevetto comunitario offre l’occasione per rafforzare l’economia europea. Le politiche di protezione dei diritti di proprietà intellettuale (Ipr) generano infatti esternalità che travalicano i confini nazionali: un regime di protezione forte e omogeneo crea incentivi all’innovazione, e , potenzialmente, contribuisce ad attirare verso l’Unione Europea nuove attività di ricerca e sviluppo e al contempo a indurre un aumento dei costi delle invenzioni successive nei paesi al di fuori di essa.
L’armonizzazione e la centralizzazione delle procedure di appello è dunque opportuna anche per evitare problemi collegati a possibili comportamenti opportunistici, Non necessariamente, però, deve ricalcare l’esperienza degli Stati Uniti. Avere un regime di tutela degli Ipr stringente e pregiudizialmente pro-titolari di brevetti, come è avvenuto negli Usa, non significa fornire automaticamente incentivi all’innovazione. Creando rendite di monopolio, per i consumatori aumentano infatti i costi di innovazioni che si sarebbero realizzate anche con un regime più debole. Inoltre, è probabile che si verifichino duplicazioni negli investimenti in R&S.

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Tre direzioni da seguire

Nel disegnare l’evoluzione del sistema brevettuale europeo, anche in ottemperanza degli accordi di Lisbona, si dovrebbe a nostro avviso operare in almeno tre direzioni.Innanzitutto, è necessario assicurare ampio accesso alle invenzioni di base, ancora lontane dall’applicazione industriale, ma che possono essere fondamentali per il progresso della ricerca., Dopo le riforme degli anni Ottanta, negli Stati Uniti si è aperta una corsa sfrenata a brevettare, che ha spesso precluso il progresso dell’innovazione e ne ha fatto aumentare i costi per problemi di licenze. (1) Per attenuare il problema, andrebbero stabilite regole precise e uniformi per le eccezioni riguardanti la ricerca, necessarie per assicurare continuità agli investimenti in ricerca e sviluppo. (2)
In secondo luogo, gli uffici brevettuali dovrebbero migliorare la gestione delle nuove aree tecnologiche, nelle quali è difficile stabilire con esattezza i domini di brevettabilità e l’ampiezza del salto innovativo. In queste aree, la protezione brevettuale non dovrebbe rappresentare uno strumento per bloccare l’accesso ad altri inventori. Specialmente nei settori emergenti, quando ancora manchi l’esperienza da parte degli uffici brevettuali, sarebbe auspicabile che fosse analizzato l’impatto economico delle invenzioni e che questo fosse confrontato con sistemi di tutela alternativi, come ad esempio il copyright o la totale non brevettabilità.
Infine, si dovrebbe promuovere la qualità dei brevetti. Brevetti di scarsa qualità, con un salto innovativo ridotto o con una dubbia utilità, sono dannosi da un punto di vista sociale: la loro proliferazione fa aumentare il carico di lavoro degli uffici; e crea incertezza sulla validità del sistema brevettuale nel suo complesso. Un efficace meccanismo di opposizione da parte di terzi successivamente al rilascio del brevetto può costituire una soluzione, ma non servirebbe ad alleggerire gli uffici brevettuali dalle per invenzioni di scarsa utilità.
Le tasse brevettuali potrebbero essere invece un incentivo per gli inventori a effettuare una scrematura preventiva delle loro richieste di brevetto. Si potrebbe disegnare una tariffa differenziata: una tassa alta “di ingresso” per chiunque depositi una richiesta, che poi si riduca nel caso in cui il brevetto sia effettivamente rilasciato. Abolire del tutto e indiscriminatamente la tassa comporterebbe invece il rischio di un deterioramento della qualità dei brevetti, favorendo una proliferazione delle domande per pseudo-invenzioni che non soddisfano i requisiti cruciali dell’utilità, della non ovvietà e dell’originalità. Per una volta, dunque, la formula magica del taglio delle tasse potrebbe rivelarsi un autentico boomerang.

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Per saperne di più

Meller, P. (2006), “Italy move on fees endangers EU patent effort”, International Herald Tribune, 17 gennaio.

(1) Questo fenomeno è noto in letteratura con il nome di tragedy of the anticommon. Le proprietà che vanno sotto il nome di anticommons sono speculari a quelle definite commons. Quando una risorsa tende a essere sovrautilizzata poiché sono in troppi a farne uso e nessuno può escludere l’altro, si è di fronte alla tragedy of the commons. Al contrario, una risorsa è sottoutilizzata in una tragedy of the anticommons, quando un gruppo di proprietari esercita il diritto di escludere gli altri dall’utilizzo della risorsa con il risultato che nessuno di loro ha il privilegio effettivo di farne uso.
(2) Si tratta del principio cosiddetto di “eccezione dell’uso sperimentale”, che prevede il diritto di svolgere ricerca, per soddisfare la curiosità del ricercatore, su materie coperte da brevetto.

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  1. Alberto

    Da cittadino europeo sono d’accordo con tutto ciò che è scritto nell’articolo. Da italiano, però, vorrei fare alcune precisazioni.
    Il brevetto comunitario non si fa strada perché soffre di problemi per le traduzioni. I brevetti sono, in generale, fonti di conoscenza fondamentali: quando un brevetto scade, è possibile copiare un prodotto basandosi sulla sua descrizione, che è pubblica, gratuita e fornita dal titolare stesso del brevetto. Naturalmente, i primi fruitori di tali informazioni sono coloro che parlano la lingua in cui la descrizione è scritta. Per questo motivo l’Italia chiede la traduzione in italiano dei brevetti europei. Un brevetto comunitario automaticamente valido in tutta l’UE dovrebbe essere tradotto in tutte le lingue europee (una ventina), con costi enormi di traduzione, oppure essere in una sola lingua (certamente inglese, francese o tedesco), il ché si tradurrebbe in una rendita di posizione per le aziende inglesi, francesi o tedesche (addirittura americane o australiane) rispetto alle aziende italiane, spagnole, greche. In più, l’ufficio centrale italiano dei brevetti non fa assolutamente niente, per cui ci troveremmo assolutamente svantaggiati rispetto a tedeschi e francesi, i cui uffici brevetti ministeriali danno, per poche centinaia di euro, rapporti di ricerca completi ed esaustivi.
    Noi italiani dovremmo, per prima cosa, imparare bene l’inglese e, per seconda cosa, dotarci di un ufficio brevetti ministeriale che lavori bene; solo successivamente dovremmo appoggiare il brevetto europeo. Appoggiare il brevetto europeo significherebbe regalare a inglesi, francesi e tedeschi ulteriori vantaggi, dandoci una solenne mazzata sui piedi.

    • La redazione

      La divulgazione delle informazioni contenute nel brevetto avviene in concomitanza con la sua pubblicazione, non alla sua scadenza. Il rischio che un brevetto venga “copiato” si materializza dunque già al momento della sua concessione, generando un inevitabile trade-off tra incentivo a innovare e diffusione delle nuove conoscenze. Proprio per questo è importante un meccanismo di tutela della proprietà intellettuale.
      Ad onor del vero, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi dedica parte delle sue risorse alle problematiche della traduzione (http://www.uibm.gov.it/uibmdev/oebtraduzioni.aspx). In ogni caso, siamo pienamente d’accordo con l’ultima parte del suo intervento: i brevetti dovrebbero essere scritti in una lingua largamente condivisa e conosciuta, come appunto l’inglese. La nostra impressione è che proponendo di tradurli in tutte le lingue dell’Unione Europea si finisca con il tutelare soprattutto gli interessi di chi si occupa di contenzioso in materia brevettuale: è infatti evidente che nelle cause per violazione brevettuale ciascun soggetto tenderebbe a fare riferimento ad una interpretazione “autentica” nella propria lingua del testo del brevetto al centro della controversia.

  2. Carlo

    A mio avviso e’ molto importante evitare gli errori e gli eccessi degli USA nel campo dei brevetti software. Oltreoceano si e’ arrivati a degli assurdi per cui vengono brevettate presunte “tecnologice” che di tecnologico ed innovativo non hanno niente, creando solo delle rendite di monopolio. Qualche esempio? La “tecnologia” di amazon.com per comprare con un clik solo. Cosa seguira’? Il brevetto delle lettere dell’alfabeto?

    • La redazione

      La Voce si è occupata approfonditamente della brevettabilità del software, mettendo in guardia dal rischio di replicare le esperienze degli USA. Pertanto, su questa problematica rimandiamo agli articoli di Bono e Santarelli (15 marzo 2005), Aghion e Modica (20 giugno 2005), Orsini e Portolani (20 giugno 2005).

  3. Alberto

    Ringrazio della risposta che mi è stata data; se possibile, mi piacerebbe rilanciare.
    Quando un brevetto scade, è possibile copiarlo legalmente in toto. Logicamente, alla scadenza del brevetto è avvantaggiato chi parla la lingua della descrizione. Se, pertanto, la lingua è unicamente l’inglese, vengono avvantaggiati gli inglesi, gli americani e gli australiani piuttosto che gli italiani: è un dato di fatto che l’inglese non è, in Italia, così largamente condiviso come altrove. Forse nelle grandi aziende non è un problema, ma nei piccoli laboratori (che spesso fanno ottime innovazioni) posso garantire che non è così. Si provi a fare una ricerca di anteriorità in inglese; un consulente esperto ce la fa (e si fa pagare bene), uno studente universitario o un piccolo imprenditore spesso non riesce.
    Tanto per dare un’idea di quello che si potrebbe fare, si potrebbe contrattare la perdita della traduzione in italiano con una sede secondaria dell’EPO, totalmente svincolato dall’UIBM, che si preoccupi di fare un rapporto di ricerca in italiano per gli inventori per 300 euro. Questa sarebbe per noi una grandissima contropartita.

    • La redazione

      L’inglese è la lingua nella quale si esprimono i ricercatori integrati nella comunità scientifica internazionale. E non vediamo per quale ragione le imprese piccole, ma con una strategia innovativa ambiziosa, non dovrebbero reclutare ricercatori con un profilo internazionale. Per un dottore di ricerca, ad esempio, non pensiamo sia un problema effettuare una ricerca di anteriorità in inglese. Sarebbe dunque opportuno che le imprese prestassero maggiore cura e attenzione nel reclutamento degli addetti alla ricerca.
      In una fase di transizione la sua proposta potrebbe comunque essere di ausilio alle imprese marginali.

  4. Cristian

    1. mi sembra giusto di diminuire i costi di registrazione di un brevetto, tuttavia il brevetto è un monopolio, un privilegio e come tale va pagato. Si potrebbe ad esempio mantenere le tasse basse per i primi due anni (così l’azienda ha il tempo di avviare la sua "invenzione"), ma dopo le tasse devono aumentare in modo da scoraggiare chi brevetta solo x bloccare. 2. Non capisco bene cosa indenda l’articolo con l’abbassare il grado di inventività per le nuove tecnologie, mi sembra pericoloso e in contraddizione con quanto scrive dopo sulla qualità.

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