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La pressione fiscale a carico degli “onesti”

L’evasione e la pressione fiscale (il rapporto delle entrate pubbliche sul Pil) sono da sempre ingredienti fondamentali della politica economica. Le discussioni inerenti la legge Finanziaria, tanto per citare l’attualità, non fanno altro che ribadire il concetto. D’altronde, l’importanza attribuita dal legislatore a questi indicatori è ben meritata e si vuole qui porre l’accento su certe loro interrelazioni che potrebbero aiutare a chiarire alcuni dei temi di politica fiscale sul tappeto.

La pressione fiscale a carico degli “onesti”

Il primo tratto comune che viene in mente è che le attività non dichiarate al fisco incidono su entrambi i fattori della pressione fiscale, poiché riducono sia il gettito sia il Pil (o, quantomeno, riducono l’affidabilità della stima del Pil).
Merita qui di essere ricordato che l’Istat corregge il Pil aumentandolo dell’evasione fiscale che, con varie tecniche, riesce a quantificare. (1) Cioè, il Pil ufficiale (che è anche una somma di redditi) contiene anche i redditi non dichiarati. Viceversa, i conti pubblici non sono corretti per l’evasione, per cui la pressione fiscale comunemente riportata e commentata (chiamiamola “consueta”), potrebbe non essere quella “vera”.
Quest’ultima è molto probabilmente superiore a quella solitamente discussa poiché, evidentemente, le tasse sono pagate solamente dai redditi emersi. L’Istat pubblica i dati del Pil dichiarato e non, può essere interessante perciò chiedersi qual è la pressione fiscale a carico dei contribuenti onesti. L’operazione è assai semplice: il gettito va diviso per il solo Pil regolare. La tabella 1 dà conto dei risultati, affiancando tre tipi di pressione fiscale.

La pressione consueta deriva dalla divisione del gettito incassato dalla pubblica amministrazione per il Pil complessivo. Per spiegare gli altri due indici, va detto che l’Istat pubblica due diverse stime dell’evasione: una minima, l’altra massima. Quest’ultima comprende, oltre all’evasione minima, anche una somma che potrebbe non essere collegata a redditi irregolari. (2) Orbene, il denominatore delle misure “media” e “massima” è, rispettivamente, il Pil complessivo al netto della versione minima e massima della stima dell’evasione. Chiaramente, a parità di Pil totale, il Pil regolare più basso è quello connesso all’evasione massima e, altrettanto ovviamente, esso genera l’aliquota massima poiché il gettito è uguale per tutti gli indici. In altre parole, nell’evento banale e limite in cui non esistesse evasione, allora sia il rapporto massimo che quello medio collasserebbero al valore consueto.
Si può anche osservare che variazioni di gettito per motivi del tipo “aumento/diminuzione del senso civico” (nel secondo caso si può pensare all’effetto di condoni reiterati), dovrebbero impattare meno sul quoziente massimo che su quello consueto: a parità di mutamenti negli incassi fiscali, il denominatore “tutto dentro” di quest’ultimo resta relativamente più stabile. Va poi considerato che i valori di cui alle colonne (b) e (c) sono una sovrastima dell’aliquota “vera” poiché è più facile nascondere il reddito che il consumo. Cioè, parte delle imposte indirette è pagata dai redditi irregolari. In questo caso l’indicatore consueto, tenendo conto anche dei redditi evasi, è meno impreciso degli altri due.
Ancor più singolare è l’impatto sulla pressione fiscale dei redditi provenienti dalle attività illegali. Da un lato, vengono (almeno in parte) spesi nel circuito legale, in ciò incrementando le entrate pubbliche mentre, dall’altro, non entrano nel Pil totale stimato dall’Istat. In entrambi i casi, l’effetto è una sovrastima della pressione fiscale: una parte degli incassi della pubblica amministrazione deriva da redditi non conteggiati nel Pil ufficiale. Comunque, tutto considerato, è probabile che la percentuale “vera” sia situata all’interno dei due valori estremi riportati nella tabella 1 la quale, anche perciò, appare generosa di utili indicazioni.
Entrando nel merito delle cifre, sembra che il 1997 sia stato, fiscalmente parlando, un annus horribilis : tutti i valori segnano un massimo. D’altronde, quello, era l’anno dell’eurotassa.
Forse ancora più intenso è l’impatto, anche emozionale, dell’aliquota che storicamente grava sui redditi dichiarati al fisco: non di rado si è superato il 50 per cento anche nella versione più conservativa di cui alla colonna (c). Infine, l’osservazione dei valori del decennio suggerisce che la pressione fiscale, specie nelle due versioni non consuete, è maggiore negli anni più recenti che nei primi anni Novanta.

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Una crescita senza ostacoli

Nella tabella 2 riporto i tassi di variazione del gettito e dell’evasione (nelle due versioni, massima e minima, dell’Istat). Scorrendo le colonne (b) e (c) ci si rende conto che, nonostante gli interventi e la tolleranza zero, la crescita dell’evasione ha trovato pochi intralci. Non solo. La crescita complessiva (vedi ultima riga) ci informa che, negli ultimi dieci anni, una delle “industrie” trainanti del nostro sistema economico è stata proprio l’evasione fiscale; specie quella che, secondo l’Istat, è certamente evasione. Vedasi la colonna (c). Confrontando evasione e gettito (colonne (a-b) e (a-c)), risulta che i primi anni Novanta sembrano essere stati un periodo particolarmente drammatico: l’evasione aumentava e il gettito non riusciva a tenerne il ritmo. In seguito qualcosa è migliorato, anche se il risultato consolidato nel corso del decennio permane negativo.

La correlazione tra la crescita del gettito e quella dell’evasione è positiva (molto, 65 per cento, nel caso dell’evasione massima; poco, 19 per cento, nel caso dell’evasione minima), il che a parole vuol dire che è risultato difficile implementare politiche in grado di perseguire, contestualmente, aumenti di gettito e riduzioni dell’evasione.
Evidentemente, ed è la speranza di molti, non è detto che la storia debba per forza ripetersi. Tuttavia, in base a queste informazioni, si possono tentare due considerazioni di politica fiscale.
La prima riguarda i condoni degli ultimi anni che, se fatti con l’intenzione di far emergere base imponibile in modo permanente, avrebbero dovuto produrre sia maggior gettito sia minore evasione. Nei dati aggregati qui analizzati, simili dinamiche non trovano riscontri.
La seconda interpretazione normativa è che in Italia la gestione delle entrate pubbliche appare particolarmente complicata. Dal lato emerso, devono confrontarsi con rigidi vincoli sovranazionali, con un debito abnorme, con una spesa (nel breve termine) sempre meno comprimibile e (nel lungo termine) sempre più decentrata; dal lato sommerso, sembrano subire vigorose reazioni ai tentativi di reperire incassi aggiuntivi.
Insomma, il quadro prospettato dovrebbe far intuire perché, nei dibattiti di politica fiscale, si sente spesso dire che i) la (più che trentennale) “stagione” dei condoni è ormai finita e che ii) la lotta all’evasione fiscale è un prerequisito per la riduzione della pressione fiscale.

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*
Le opinioni qui espresse sono personali e non necessariamente impegnano l’Isae.

(1) Per saperne di più, cfr. Maurizio Bovi (2006), “Evasione e sommerso nella Contabilità nazionale”, in Guerra M.C. e A. Zanardi, Rapporto di Finanza Pubblica. Bologna, il Mulino.
(2) Il fatto è che l’Istat non è in grado di discriminarne la parte che, con maggiore certezza, proviene da attività sommerse.

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Mutatis Mutandis

  1. riccardo boero

    Egr. professore,

    trovo alquanto discutibili le sue conclusioni.
    In primo luogo, proprio i numeri da lei citati sembrano suggerire un’interpretazione opposta: anche ottenendo in Italia una fiducia per le istituzioni analoga ai paesi scandinavi, otterremmo un calo relativamente lieve del sommerso (da 25 a 17 ossia un 30%) ancora lontanissimi dai paesi come la Svizzera virtuosi sia per le istituzioni che per il fisco, per cui si passerebbe da 17 a 8 ossia un 55%. Insomma i suoi numeri confermano che l’effetto fiducia nelle istituzioni, pur presente, conta all’incirca per meta` di quello fiscale.
    In secondo luogo, e forse piu’ importante, trovo inappropriato l’uso della grandezza pressione fiscale totale per valutare gli effetti sul sommerso. La decisione di lavorare in nero e` legata soprattutto ai livelli di imposizione sulle societa`. E questi come lei ben sa, sono nei paesi scandinavi nettamente INFERIORI alle aliquote italiane.
    Sarebbe interessante a questo proposito riproporre una tabella che riporti per ogni paese la sola imposizione sulle societa`, e correlare tale dato con l’entita` del sommerso.
    Grazie in anticipo di una cortese risposta.

    • La redazione

      Vale la pena ripeterlo: i dati sono qualitativi e consentono, al più, di stilare una classifica. Cioè, se il Paese X ha un indice “I” pari alla metà del Paese Y, si può solo dire che X è ha istituzioni peggiori di Y. Non si può – e d’altronde che senso avrebbe – dire che le sue istituzioni “valgono la metà”. Se è proprio interessato a vedere se le tasse occulte tassano più
      di quelle fiscali, può trovarne conferma nell’articolo di Friedman, Johnson, Kaufmann and Pablo Zoido-Lobaton (2000). Dodging the Grabbing Hand: The Determinants of Unoffial Activity in 69 Countries, Journal of Public
      Economics. 76: 459-494.
      Secondo punto. Se non capisco male, lei sostiene che l’evasione fiscale sia soprattutto legata alle imposte sulle società. Come spiega, allora, l’evasione contributiva, quella dell’IVA, ecc.? D’altronde, anche tralasciando l’evasione delle persone fisiche, le imprese pagano vari tipi di imposte e tasse: che senso ha evadere l’IRPEG/IRES e non evadere i
      contributi sociali? Infine, è molto probabile che tanto più grandi sono le imprese, tanto più eludono (e tanto meno evadono). Cordiali saluti,
      Maurizio Bovi

  2. Trevisan Fabio

    Egregio professore,
    vorrei che mi spiegasse succintamente , come i vari enti preposti determinano l’ammontare assoluto in valore delle imposte incassate.
    Volevo inoltre conoscere il suo pensiero, in materia di maggior deducibilità delle spese per i soggetti privati per l’adeguamento alle nuobve tecnologie, spaziando dai pannelli solari, a quelli fotovoltaici agli impianti di irragazione temporizzati per contenere il consumo d’acqua.
    La ringrazio in anticipo della risposta e la slauto cordialmente.

    • La redazione

      La prima domanda solo un accenno poiché non l’ho capita: mi si chiede di spiegare come si fa la somma delle cifre riscosse?
      Circa gli sconti fiscali, si tratta di interventi volti a favorire le spese sostenute per ridurre l’inquinamento e la dipendenza energetica. Come ho già avuto modo di dire su LaVoce, la politica fiscale interviene in materia di deducibilità non sempre e non solo con la finalità di ridurre l’evasione.
      Tanto per fare un altro esempio, il fatto che l’imposizione fiscale sulla benzina, sui tabacchi, alcolici e simili sia superiore a quella prevista per i libri rispecchia la volontà da parte del Legislatore di agevolare certi consumi (socialmente utili) e di contrastarne altri. Naturalmente ci si può chiedere perché, quanto, come e su cosa lo Stato deve intervenire nelle scelte individuali (se preferisco fumare e non voglio leggere perchè lo Stato mi sovrattassa?) e, infatti, “Paese che vai usanza che trovi”, ma mi
      fermo qui. Cordiali saluti,
      Maurizio Bovi

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