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Addizionali senza alternative

Le norme degli ultimi anni per limitare la crescita della spesa degli enti locali hanno finito per incentivare l’abuso del territorio e il ricorso all’indebitamento. La Finanziaria 2007 permette invece ai comuni di elevare l’addizionale Irpef. Una misura che ha suscitato molte polemiche. Ma è una strada obbligata. Basta guardare alle previsioni di bilancio dei capoluoghi di provincia. Perché chi non aumenta le tasse oggi, dissesta le sue finanze e l’ambiente. E domani sarà comunque costretto ad aumentare la pressione fiscale.

Addizionali senza alternative, di Francesco R. Frieri

L’aumento dell’addizionale Irpef per i comuni è una via obbligata. E sicuramente è più idonea per il finanziamento delle spese correnti di quanto non lo siano quegli oneri di urbanizzazione ai quali si è fatto ricorso in questi anni di blocco della leva fiscale. Con il duplice effetto di incentivare un abuso del territorio e di rendere possibile il finanziamento della spesa corrente attraverso l’indebitamento.

Le novità della Finanziaria

Dopo il lungo dibattito sulla Legge finanziaria, l’attenzione si è spostata sulle manovre degli enti locali. In particolare, i comuni appaiono l’ultimo anello della catena di presidio istituzionale, e come tali, sopportano ora una notevole conflittualità attorno all’approvazione dei propri bilanci. Schematicamente, la Legge finanziaria ha introdotto queste novità:

· Lo sblocco delle addizionali all’Irpef a discrezione dei comuni
· La possibilità di elevare la quota di oneri di urbanizzazione a finanziamento della parte corrente dal 50 al 75 per cento
· La rimozione del divieto di assunzioni
· Un nuovo Patto di stabilità che apparentemente rispetta l’autonomia degli enti locali poiché si basa sul saldo fra entrate e uscite (non tutte). Le conseguenze di tale novità sono il generalizzato ricorso alla leva fiscale e il pressoché divieto di indebitamento
· Alcune lievi ridotazioni di fondi finalizzati alla costruzione di asili, per la non autosufficienza, l’immigrazione, la famiglia e il fondo unico per lo spettacolo.

Blocco delle addizionali, esternalizzazioni e privatizzazioni

Dalla Finanziaria per il 2002 si sono susseguite norme tese a limitare la crescita della spesa in termini nominali degli enti locali. Il risultato è stato la creazione sistematica di gestioni separate di contabilità, grazie a esternalizzazioni e privatizzazioni, ottenute ad esempio facendo riscuotere la tariffa dei rifiuti al gestore e ponendo conseguentemente anche la spesa per il relativo servizio fuori dal bilancio comunale. Inoltre, dalla fine degli anni Novanta altre norme hanno tentato di frenare le assunzioni dirette da parte degli enti: l’effetto collaterale è stato un aumento del precariato in seno alla pubblica amministrazione o, di nuovo, una tendenza alle esternalizzazioni. Dopo alcuni anni si sono ovviamente esaurite le tecniche per eludere tali limiti, come l’elasticità della gestione dei bilanci dei comuni sempre più ridotta per ciò che riguarda la gestione ordinaria.
È importante ricordare che gli enti locali sviluppano quasi il 75 per cento degli investimenti del paese, e li finanziano, prevalentemente, attraverso alienazioni patrimoniali, oneri di urbanizzazione e ricorso all’indebitamento. Le privatizzazioni a livello decentrato sono state dunque utilizzate sia per finanziare gli investimenti che per eludere il Patto di stabilità interno. Ma anche il ricorso all’indebitamento è cresciuto notevolmente negli ultimi anni, e il debito accumulato comporta costi a carico della fiscalità locale.

Il finanziamento della spesa corrente con gli oneri di urbanizzazione

Negli ultimi cinque anni, un importante margine di elasticità dei bilanci comunali riguarda l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione. Sono definibili come il corrispettivo pagato dal cittadino per il rilascio da parte del comune dell’autorizzazione a costruire. La contropartita a carico dell’ente è ovviamente la realizzazione di urbanizzazioni primarie e secondarie. Queste ultime sono di fatto investimenti, pertanto finanziabili anche con entrate da alienazioni patrimoniali o debito. Presto svelato il gioco: dal 2000 è permesso ai comuni di destinare il 50 per cento degli oneri di urbanizzazione a finanziare la parte corrente, per poi realizzare le urbanizzazioni, al cui finanziamento sarebbero istituzionalmente destinati, con alienazioni patrimoniali o con ricorso al debito. In altri termini, questo giro contabile rende possibile pagare gli stipendi del personale con debito o con vendite in misura tanto maggiore quanto più il piano regolatore consente di costruire. Gli ambientalisti farebbero bene a preoccuparsi del fatto che l’uso del territorio sia diventato l’unico margine di elasticità dei bilanci locali, a maggior ragione se si pensa che le costruzioni generano gettito Ici per le finanze comunali dall’anno successivo alla loro realizzazione. Ma la cosa più preoccupante è che, paragonando i comuni a famiglie, si può dire che essi si sono venduti i mobili per mangiare.

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Il quadro attuale: più imposte, più oneri o entrambi

Il superamento del quadro normativo che ha determinato questi effetti, non poteva che implicare un massiccio ricorso alla fiscalità comunale. La cosa ha fatto inviperire le forze sociali, che solo dopo Natale hanno capito che al ridisegno dell’imposta sul reddito delle persone fisiche andavano aggiunte varie addizionali, in alcuni casi fino ad annullare i vantaggi della manovra nazionale. E ha suscitato molte critiche, dato lo scarso effetto redistributivo delle addizionali stesse.
È una condizione generalizzabile a tutti i comuni italiani, escludendo i grandissimi e i piccolissimi, e deve essere ben chiaro che quelli che raccolgono le pressioni di sindacati e categorie per non aumentare il prelievo fiscale, non possono che utilizzare l’altro margine di elasticità disponibile: l’abuso degli oneri di urbanizzazione. Tuttavia, anche se non si ha a cuore la preservazione dell’ambiente, occorre rendersi conto che inevitabilmente la dipendenza da entrate una tantum a finanziamento di spese rigide e storiche, non potrà che portare, prima o poi, a un aumento della pressione fiscale o a maggiori trasferimenti dal centro. Poiché la seconda possibilità non pare attuale, chi non aumenta le tasse oggi, usa il territorio, dissesta il bilancio e, semplicemente, rimanda il problema.
A sostegno della tesi illustrata consideriamo di seguito un campione di capoluoghi di provincia che non siano anche capoluoghi di Regione. Tutti i dati sono riferiti ai preventivi 2007. In giallo è rappresentata la percentuale degli oneri di urbanizzazione che viene destinata al finanziamento della spesa corrente, in verde l’aumento di tale percentuale previsto per il 2007. I valori si leggono da destra a sinistra: se la barra verde è a destra dello zero ciò indica una diminuzione della percentuale di oneri di urbanizzazione destinata al finanziamento della spesa corrente. In blu viene indicato il livello dell’aliquota ordinaria dell’Ici, in rosso l’aumento dell’aliquota dell’addizionale Irpef. Consideriamo ad esempio il caso di Modena: la quota di oneri di urbanizzazione destinata al finanziamento diminuisce del 15 per cento e si assesta sul 35 per cento, l’aliquota ordinaria dell’Ici è al 7 per mille, l’addizionale all’Irpef aumenta dello 0,3 per cento. Non tutte le misure descritte nel grafico sono state ancora definitivamente approvate.

I dati rendono evidente come la dinamica sia generalizzabile, in città governate da coalizioni diverse e nonostante le diverse peculiarità territoriali e con l’unica eccezione di Brescia: le addizionali o gli oneri, o addirittura entrambi aumentano. L’Ici è un’imposta proporzionale rispetto al patrimonio, ma progressiva rispetto al reddito, almeno nel Centro-Nord. Tuttavia, il livello dell’aliquota ordinaria, che genera la maggior parte del gettito, è ormai quasi ovunque al suo limite massimo, superabile solo con la tassa di scopo. Ne consegue che restano solo le addizionali all’Irpef. Chi non le usa, nasconde solo i panni sporchi sotto l’armadio.

Le difficoltà dei sindaci, di Marco Monesi *

Ho letto con attenzione l’articolo di Francesco R. Frieri dedicato ai bilanci comunali e in particolare al tema delle addizionali.

Dove vanno gli oneri di urbanizzazione

In questi anni salvaguardare il livello di welfare locale non è stato facile. L’amministrazione comunale di Castel Maggiore ha voluto mantenere i servizi, ha voluto continuare a fare una politica di redistribuzione del reddito, ha cercato di assorbire in qualche modo i tagli provocati dal governo di centrodestra. Così a Castel Maggiore abbiamo destinato una quota consistente degli oneri di urbanizzazione per coprire la spesa corrente, decidendo in questo modo di limitare la realizzazione di nuove opere pubbliche.
Nella definizione del bilancio di previsione 2007 abbiamo voluto tornare a investire sullo sviluppo del territorio e sulla manutenzione. Per fare questo abbiamo deciso di destinare di nuovo una parte degli oneri di urbanizzazione alle spese di investimento. Da amministratori attenti alle questioni del territorio non vogliamo che le entrate correnti di un comune continuino a gravare principalmente sugli oneri e sull’Ici, occorre spezzare questo circolo vizioso che vede nel “consumo” del territorio il principale mezzo di finanziamento dei servizi.
Per questo abbiamo deciso di spostare gli oneri sulle spese di investimento e di dare un segnale, abbassando l’aliquota dell’Ici.
Questo alla fine ci ha penalizzato. La cosa più difficile da capire, e anche da spiegare ai cittadini, è che proprio i sacrifici fatti negli anni passati, che si sono tradotti in minori risorse da investire nelle manutenzioni e nella realizzazione di opere pubbliche, finiscono per essere un ulteriore elemento di freno allo sviluppo del nostro territorio.
E ora, per rientrare nei vincoli del Patto di stabilità, siamo costretti di nuovo a diminuire gli investimenti. Per non violare i criteri del Patto, la spesa per investimenti nel 2008 e nel 2009 dovrà essere rispettivamente di 1.600.000 e 1.500.000 euro: cifre ridicole per una città di quasi 17mila abitanti, in costante espansione, con la dotazione di servizi che abbiamo. Colpire così duramente gli investimenti è un danno non solo per i cittadini, ma più complessivamente per tutto il sistema economico. Il paese ha bisogno di investimenti pubblici e i comuni sono in grado di realizzarli in maniera positiva. Questa manovra ci permette di rientrare nel Patto di stabilità, per dare, come abbiamo fatto in questi anni, il nostro contributo al contenimento del bilancio dello Stato.

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Penalizzati dalla Finanziaria

Dalla somma dei provvedimenti contenuti dalla Legge finanziaria il bilancio del comune di Castel Maggiore esce fortemente penalizzato: non possiamo contrarre mutui, dobbiamo ridurre drasticamente gli investimenti e siamo costretti ad “accumulare” un avanzo di quasi un milione di euro; quest’ultimo è davvero un elemento bizzarro: questa amministrazione deve rinunciare a un milione di investimenti e servizi unicamente per permettere al governo di dimostrare statisticamente che diminuisce complessivamente il deficit pubblico.
Contemporaneamente per continuare a gestire tutti i nostri servizi serve uno sforzo collettivo. Negli anni scorsi, proprio perché sentivamo quanta difficoltà avevano le famiglie, abbiamo rinunciato, fino a quando è stato possibile, a chiedere loro ulteriori sacrifici e anche quando, nel 2006, per la prima volta, abbiamo introdotto l’addizionale Irpef lo abbiamo fatto con l’aliquota più bassa, nella misura dell’1 per mille. Ora le condizioni sono diverse, nel nostro paese è avviata finalmente una nuova fase di risanamento, con equità: questo sforzo deve coinvolgere tutte le istituzioni, dal governo ai comuni. Fino ad ora i comuni hanno dovuto agire principalmente sulle aliquote dell’Ici e quindi tassando un bene primario come la casa, indipendentemente dal reddito delle famiglie. Dal 2007 abbiamo deciso di abbassare l’Ici sulla prima casa e di aumentare le detrazioni per i nuclei più disagiati. Sosteniamo chi non possiede la casa, aumentando il fondo sociale per il sostegno all’affitto. Inoltre manteniamo il fondo di compensazione per il passaggio da Tarsu a Tia, sempre per aiutare le famiglie con un reddito più basso. A fronte di questi interventi abbiamo aumentato l’addizionale Irpef dallo 0,1 allo 0,3 per cento, ossia 3 euro per ogni 1.000 di imponibile. Questa operazione agisce su più leve fiscali, si attiene a criteri di equità, giustizia sociale, tutela delle fasce sociali deboli.


* Sindaco di Castel Maggiore

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Sommario 6 marzo 2007

  1. virginio zaffaroni

    Mi permetto di non concordare sulla ineludibilità tout-court dell’addizional irpef e sui panni nscosti sotto l’armadio se la stessa non viene introdotta.
    Sono un assessore al bilancio di un comune di 10.,000 abitanti. Credo che ogni comune prima di introdurre l’addizionale debba chiedersi a quale livello è il defici dei servizi più importanti (rifiuti, acqua, mense) e su questi intervenire. Il riassorbimento dei deficit dei servizi non solo avrebbe l’ effetto di liberare risorse (spesso enormi) per il bilancio generale ma non scaricherebbe sul contribuente generale gli sprechi dei singoli in termini di rifiuti, acqua.
    Non si può introdurre l’addizionale irpef quando la tariffa rifiuti abitazione è a 0,70 euro per mq e il deficit viaggia (come da noi cinque anni fà) a 300.000 euro.
    Quando le ariffe saranno portate a un livello decente si potrà allora mettere a mano all’addizionale? Non ancora. Prima bisogna valorizzare il terzo crescente pilastro delle entrate comunali e cioè Diritti&royalties (una prospettiva a breve riguarderà le concessioni del gas); poi occorre il coraggio politico di rendere la spesa del personale (30% uscite) più produttiva ed efficiente.
    Solo allora esisteranno le condizioni tecniche e politiche per l’addizionale. Ma forse non servirà più.
    Completamente d’accordo invece sugli oneri di urbanizzazione.

  2. Agostino De Zulian

    Da tempo sostengo sempre con maggior convinzione che la riforma dello Stato deve essere fatta in periferia e con la periferia riordinata deve essere applicato in Italia nel modo più ampio possibile il sacrosanto principio europeo della “sussidarietà”.
    Per fare questo però necessita un potere unico e forte alla periferia composto da Comuni con almeno 50.000 abitanti senza più Province e Comuni polvere.
    La gestione con economie di scala nei servizi e negli appalti dei potenziali nuovi Enti porterebbe enormi risparmi.
    Oggi solo la gestione dei servizi a mezzo di “Unioni” degli attuali Comuni eviterebbe le addizionali.
    Agostino

  3. Fabio Vitanza

    Sono uno studente universitario e abito in un piccolo comune siciliano di appena 2000 abitanti. Ho subìto un rialzo da parte del consiglio comunale dell’ addizionale, Dallo 0,4 a 0,6%.
    Mi chiedo innanzitutto se è proprio necessario dato il gettitto fiscale che può garantire in un piccolo paese. Sappiamo che la base imponibile è limitata ai lavoratori e ai pensionati, esclusi le altre categorie. Visto che nessuno dei miei amministratori mi ha fornito risposte esaustive vi prego di illuminarmi. Ogni quanto tempo avviene questo prelievo, quando il comune incasserà questi soldi e orientativamente quanto può generare nelle casse del comune?per ultimo aveva forse ragione Berlusconi quando invitava i Sindaci delle città ad organizzare meno concerti rock e costruire più asili nido?Di dare meno consulenze esterne etc…? Accetto la nuova tassa se con essa si finanziano nuovi servizi utili per me e per la collettività… ma se vengo tassato per organizzare sagre e no… questo no…
    Saluti e forza La Voce!!!
    P.S. In occasione della giornata nazionale dei piccoli comuni, Ciampi definì “presidi di civiltà” queste realtà. Invece di dare a chi vive una fiscalità di vantaggio, detrazioni,agevolazioni fiscali etc… si massacrano col rischio di subire l’estinzione. Tempo fa era in discussione al Senato un ddl a firma di Realacci proprio sui piccoli comuni, dove si menzionavano alcune proposte ed interventi di natura economica dove è finito?

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