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Lavoratori al quadrivio

Sotto ipotesi ragionevoli, la scelta migliore sembra essere l’adesione con contribuzione al fondo pensione, che permette di sfruttare il contributo del datore di lavoro, i vantaggi fiscali e l’eventuale maggior rendimento rispetto alla rivalutazione del Tfr. In termini di tasso di rendimento conviene aderire con la più bassa aliquota contributiva e la più alta quota di Tfr. Mentre una più elevata aliquota contributiva consente di coprire il gap previdenziale con maggiore facilità e in minor tempo. Avversione al rischio e liquidabilità.

La scelta che, da inizio anno, i lavoratori dipendenti del settore privato devono affrontare, è più articolata di quanto possa sembrare.
Per i lavoratori non iscritti a fondi pensione, e sono la stragrande maggioranza, circa 11 milioni su 12, le possibilità tra cui optare sono almeno quattro:

1) lasciare il Tfr in azienda;
2) versare il solo Tfr a una forma pensionistica complementare opportunamente scelta (conferimento esplicito);
3) aderire al fondo pensione contrattuale versando il Tfr e la propria quota contributiva;
4) non esprimersi e quindi conferire il Tfr in modo tacito dal 1° luglio 2007 al fondo pensione di riferimento: un fondo contrattuale o, in mancanza, il Fondo residuale a capitalizzazione chiamato FondInps.

I quattro casi

Nel primo caso nulla cambia per il lavoratore rispetto alla situazione attuale: unica particolarità, il Tfr, per chi lavora in aziende sopra i 50 dipendenti, verrà versato dal datore al Fondo Tfr a ripartizione presso l’Inps, in sostanza come i contributi per la pensione obbligatoria. Mentre l’interlocutore diretto del lavoratore per richieste, erogazioni eccetera è sempre solo il datore di lavoro.
Nel secondo e terzo caso il Tfr passa in modo esplicito alla previdenza complementare. La differenza sta nel fatto che nel secondo solo il Tfr alimenta la posizione previdenziale, mentre nel terzo il fondo pensione viene alimentato da tutte e tre le fonti di finanziamento: il Tfr, il contributo del lavoratore e quello del datore di lavoro. Si può dire, qui, che la contribuzione del lavoratore “trascina”, in una sorta di “prendi 2 paghi 1”, anche quella del datore (che diversamente andrebbe perduta sebbene contrattualmente definita) con conseguente effetto moltiplicativo sui versamenti e quindi sulla pensione finale.
Nel quarto caso il lavoratore tace per tutto il semestre e il suo silenzio viene interpretato come assenso all’adesione senza contribuzione, a partire dal 1° luglio 2007. O, in generale, sei mesi dopo l’assunzione. La differenza rispetto all’adesione esplicita sta nel fatto che con l’adesione tacita il lavoratore non sceglie né la forma pensionistica né il comparto d’investimento in cui versare le somme di Tfr che per legge vengono portate “nella linea a contenuto più prudenziale tale da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del Tfr”. (1) In realtà non è detto che tale linea “garantita” sia la più confacente rispetto alle caratteristiche socio-economiche del lavoratore.
La domanda cruciale è dunque: quale strada conviene prendere?

Un confronto quantitativo

Consideriamo quattro lavoratori dipendenti, mai stati aderenti di un fondo pensione, tutti con la stessa età e la stessa retribuzione annua lorda iniziale di 25mila euro, crescente nel tempo, per anzianità e carriera, al 3 per cento all’anno. Uno lo chiamiamo Aziendo perché ha deciso esplicitamente di lasciare il suo Tfr maturando in azienda; uno Corto poiché ha deciso di versare nel fondo negoziale, comparto «bilanciato», solo il Tfr; uno Todo poiché ha preferito aderire al fondo negoziale anche con la sua contribuzione; infine Tacito, di nome e di fatto, si trova nel fondo negoziale, comparto «garantito», col solo Tfr, non avendo preso nessuna decisione. Tutti i lavoratori subiscono le stesse trattenute previdenziali obbligatorie e percepiranno la stessa pensione pubblica, a parità di carriera e di età al pensionamento. In termini di primo pilastro, quindi, la loro posizione è identica poiché la scelta di adesione al fondo complementare non modifica la pensione pubblica cui avranno diritto.
La diversità sta nel fatto che Aziendo al momento del pensionamento otterrà il Tfr accumulato, rivalutato ogni anno al 3 per cento lordo (si ipotizza un’inflazione al 2 per cento), meno la tassazione dell’11 per cento sui rendimenti e quella con aliquota media (ipotizzata al livello minimo del 23 per cento) al momento della liquidazione. Corto investe il solo Tfr nel fondo pensione, comparto «bilanciato», che rende secondo due ipotesi il 3 e il 5 per cento lordo da tasse e netto da commissioni e spese e subisce una tassazione dell’11 per cento sui rendimenti e agevolata al 15 per cento (a scendere fino al minimo del 9 per cento) sul capitale erogato a fine lavoro. Todo aggiunge al Tfr anche la sua contribuzione (l’1,2 per cento della retribuzione) determinando così anche il versamento dell’azienda in pari ammontare. Infine anche Tacito viene associato al fondo, ma in modo automatico, col solo Tfr e nel comparto «garantito», che si assume renda il 3 per cento lordo da tasse come il Tfr.
Per paragonare correttamente le quattro situazioni, a fronte del contributo di Todo (300 euro all’anno esenti da imposte) si è ipotizzato un analogo investimento (231 euro di reddito tassato, equivalente a un pac) sul mercato finanziario da parte degli altri lavoratori in modo tale che il reddito netto dopo gli investimenti finanziari e disponibile per il consumo sia il medesimo per tutti i soggetti. Per ipotesi il rendimento di mercato è posto uguale a quello del comparto «bilanciato» del fondo pensione (3 e 5 per cento prima delle tasse) ma con tassazione all’usuale aliquota del 12,5 per cento.
In un primo confronto, i quattro soggetti sono stati ipotizzati “anziani”, vale a dire con ancora 10 anni di lavoro; quindi si sono ipotizzati 20 e 30 anni di attività, ottenendo risultati comparativamente simili.
Per il confronto si è utilizzata la variazione percentuale dei montanti finali, al netto delle tasse, accumulati dai vari lavoratori rispetto al caso del Tfr in azienda.

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Tabella 1 Variazione percentuale dei montanti finali netti rispetto al caso (1)

Per tutte le età e in tutte le ipotesi considerate di redditività, la scelta preferibile, ceteris paribus, è quella di Todo, dell’adesione con contribuzione, che consente di percepire il contributo aziendale, sfruttare le agevolazioni fiscali e, verosimilmente, appropriarsi della maggiore redditività dei fondi rispetto al Tfr.
Segue la scelta di Corto, soprattutto se può avvantaggiarsi di mercati più dinamici rispetto al rendimento del Tfr, mentre Tacito, trovandosi allocato sul comparto più prudenziale (stessa redditività del Tfr) gode rispetto ad Aziendo dei vantaggi fiscali, ma subisce, rispetto agli altri casi, un’allocazione non ottimale, soprattutto su orizzonti medio-lunghi.
Si noti che il risultato sarebbe ancora più netto se il montante finale dovesse essere trasformato in rendita vitalizia alle condizioni del mercato assicurativo retail (caso 1) rispetto alle condizioni, decisamente migliori, riservate agli aderenti ai fondi pensione (casi 2, 3 e 4).
Al crescere della durata, tutti i casi mostrano miglioramenti sia per effetto della capitalizzazione dei rendimenti sia per le agevolazioni fiscali che aumentano con la durata dell’investimento. In termini di tasso interno di rendimento, tuttavia, l’effetto immediato del versamento del datore di lavoro va a stemperarsi su un capitale crescente per cui, da questo punto di vista, l’incentivo all’adesione con contribuzione è relativamente maggiore sulle brevi durate che sulle lunghe, e quindi più forte sugli anziani che sui giovani, sebbene in termini di montante la lunga durata risulta premiata dagli effetti esponenziali della capitalizzazione.
Una seconda considerazione riguarda l’aliquota contributiva a carico del lavoratore. Anche in questo caso, se si guarda al tasso di rendimento, l’effetto del contributo del datore (ad aliquota contrattuale prefissata) è massimo quando l’aliquota del lavoratore è quella minima, vale a dire quella appena sufficiente ad attivare il contributo datoriale. Tuttavia, in termini di montanti assoluti, maggiore è l’aliquota di contribuzione, maggiore sarà il valore accumulato.
Un ultimo aspetto riguarda la quota di Tfr investita. A parità di aliquote contributive, sarà conveniente investire la quota più alta possibile sia per la migliore tassazione riconosciuta al fondo pensione, sia per la sua maggiore redditività attesa nel comparto «bilanciato».

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La soluzione più conveniente

La semplice analisi svolta ha mostrato che, sotto ipotesi ragionevoli, la maggiore convenienza si ha nella scelta di adesione con contribuzione al fondo pensione, al fine di sfruttare la contribuzione del datore di lavoro, i vantaggi fiscali e l’eventuale maggior rendimento della gestione finanziaria del fondo rispetto alla rivalutazione del Tfr. In termini di tasso di rendimento conviene aderire con la più bassa aliquota contributiva e con la più alta quota di Tfr. In termini di montante atteso, una più elevata aliquota contributiva consente di coprire il gap previdenziale di primo pilastro con maggiore facilità e in minor tempo. Sarà sufficiente l’analisi di “convenienza” a convincere i lavoratori per l’adesione alla previdenza complementare?
La preferenza per il Tfr in azienda, ove non dettata da considerazioni ideologiche o da errate interpretazioni, può derivare da due fattori particolari: l’avversione al rischio implicito negli investimenti finanziari e la preferenza per la “liquidabilità” del Tfr in azienda.
Tuttavia, sul primo aspetto, la scelta del comparto «garantito» mette in larga misura al riparo l’aderente da risultati sotto la redditività del Tfr, lasciando aperta la possibilità, nel medio-lungo termine, di performance anche superiori .
Sul secondo aspetto, va osservato che il Tfr maturato in azienda resta liquidabile alle usuali condizioni mentre quello maturando nel fondo pensione diventa accessibile in qualunque momento per cambio lavoro, mobilità (max 50 per cento) e per rilevanti interventi sanitari (max 75 per cento) e dopo otto anni per acquisto o ristrutturazione prima casa (max 75 per cento) o per altre esigenze (max 30 per cento), sempre con tassazione più favorevole (aliquota massima 23 per cento) rispetto al Tfr in azienda, tassato all’aliquota media Irpef.
In realtà, per un giovane lavoratore lo stock di Tfr accumulato è contenuto e, di regola, vincolato anche in azienda a otto anni di servizio; per un lavoratore più anziano lo stock di Tfr accumulato in azienda è comunque disponibile anche aderendo alla previdenza complementare. In aggiunta, se si è aderito al fondo pensione anche con la propria contribuzione, non solo il Tfr, ma tutto il montante accumulato (da Tfr e da contributi) può essere chiesto, alle citate condizioni, come anticipazione e senza il vincolo aziendale di un’unica richiesta.
Anche sotto questo aspetto, quindi, la scelta a favore della previdenza complementare sembra premiante.

(1) Articolo. 8, comma 9 del decreto 252/2005.

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Sommario 8 marzo 2007

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Iniziative in memoria di Riccardo

  1. Marco Dore

    L’intervento di Cesari è ottimo per chiarezza e completezza. Mi pare discutibile solo l’ipotesi che i comparti a rendimento garantito lascino concretamente aperta la porta a rendimenti superiori (significativamente) rispetto al TFR. Sappiamo che ogni garanzia ha dei costi, anche solo intesi come costi-opportunità.
    Concordo sull’ipotesi che il più forte freno alla scelta dei lavoratori sia la diffidenza rispetto al rischio finanziario. Sarebbe allora utile illustrare la relazione tra rischio e durata dell’investimento ed il concetto di sostenibilità/assumibilità del rischio in relazione al ciclo di vita. Rispetto al primo punto ricordo sinteticamente che su orizzonti ultradecennali un investimento azionario diversificato è meno rischioso di un investimento obbligazionario. Altrettanto sinteticamente segnalo, con riferimento alla sostenibilità del rischio, che mentre una perdita del 30% a pochi anni dal “traguardo” è difficilmente recuperabile, la stessa perdita subita a 25-30 anni dal termine dell’accantonamento richiede un incremento di redditività molto modesto per essere recuperata (o, in altri termini, determina un impatto contenuto sul risultato finale).

    • La redazione

      Grazie del commento.
      Sul medio-lungo periodo gestioni 95-5 o 90-10 potrebbero verosimilmente battere il Tfr. Tuttavia, su orizzonti lunghi di investimento non dovrebbero essere l’allocazione giusta, salvo
      forme particolari di avversione al rischio.

      R.C.

  2. Franco Ricci

    Non sono un economista, ma dai ‘rimors’ dell’aziendal dove lavoro credo che il vero freno alla scelta dei fondi complementari di settore sia l’impossibilità di ottenere il 100% del montante aubito alla data di inizio pensionamento, diversamente dal TFR normale: l’articolo, come spesso anche altri articoli simili sui quotidiani, confronta sempre i vari montanti accumulati nelle diverse ipotesi. Tralascia di sottolineare però la grande diversità di ‘valore’ attribuito dal pensionato ad avere disponibile subito il 100% del montante ed invece avere solo al massimo il 50% e una rendita mensile (non definita: quanto?) per gli anni di vita attesa (altra grande incognita: quanti?).

  3. Marco Dore

    L’argomento mi appassiona e vorrei rispondere con varie argomentazioni al problema posto dal signor Ricci: per non monopolizzare lo spazio mi limito ad una provocazione.
    Quante persone sarebbero disposte ad accettare una liquidazione in cambio della pensione? E quali sono i parametri in base ai quali valuterebbero conveniente tale baratto?
    Comunque per fare un simile scambio occorre averla, la pensione …

  4. Percey

    Io sono un dipendente al secondo anno di lavoro, lavoro fuori sede e quindi ho bisogno di contanti; fra qualche anno diventerò, con ogni probabilità, un libero professionista. Ho la concreta possibilità di guadagnare molto di più di quanto guadagno adesso, eventualmente con un contratto diverso. Pertanto, non mi sembra particolarmente interessante un fondo pensione, almeno per adesso. Forse avere qualche soldo in più in tasca adesso (ora che mi sono appena licenziato, ad esempio) è meglio che perdersi nei fondi pensione.

  5. Davide Scagliotti

    Leggendo l’articolo di Cesari sembra che un lavoratore non dovrebbe avere dubbi nello scegliere la previdenza complementare.
    In effetti sono evidenziati tutti i punti di forza derivanti dall’adesione ai fondi: minore tassazione, contributo del datore di lavoro, “eventuali” maggiori rendimenti.
    Mi sono scaricato quasi tutte le note informative dei fondi ad oggi operanti in Italia e, considerando il tasso medio annuo composto dal 2002 al 2006 (5 anni), sono circa 1/3 quelli che battono il tfr.
    Quando si scrive un articolo così, non sarebbe il caso di riportare anche i punti di debolezza?
    • I fondi hanno dei costi di gestione
    • Anche durante la fase di erogazione della pensione ci saranno dei costi “Si tenga comunque conto del fatto che i costi che graveranno sull’aderente nella fase di erogazione
    dipenderanno dalla convenzione assicurativa che risulterà in vigore nel momento in cui si accederà al pensionamento.” (tratto da una nota informativa di un fondo)
    • Ammesso che il montante accumulato sia superiore nel caso di adesione ai fondi, quanto effettivamente si riuscirà ad ottenerne? (quanti anni si vivrà?)
    • C’è la possibilità di prevedere la reversibilità, ma questa opzione ha un costo (la rendita sarà minore)
    • La rendita si rivaluterà nel corso degli anni?, seguendo quali regole?
    • In teoria la quota del fondo può scendere a zero (ma c’è la COVIP che vigila! Speriamo non come la CONSOB (cirio, parmalat…))
    • Non mi risulta che, fino ad oggi, esista un fondo di garanzia a tutela dei soldi depositati nei fondi

    Mi permetto infine di evidenziare quello che è, a mio avviso, il grande vantaggio della previdenza complementare. Chi sa di non essere in grado di gestirsi dal punto di vista economico, dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’adesione ai fondi, al fine di evitare di ritrovarsi senza il necessario per vivere dignitosamente, e di diventare un costo sociale.

    Davide Scagliotti

  6. Giuseppe

    Credo che il rischio di investire la tranquillità della propria vecchiaia in un fondo pensione sia troppo alto. Le vicende di alcuni fondi pensione negli USA lo ha ampiamente dimostrato: i lavoratori, dopo anni di versamenti al fondo pensione, si sono ritrovati senza nulla in mano!
    Un aspetto etico da non sottovalutare: se le azioni dell’azienda X in cui ha investito il mio fondo aumentano il loro valore col licenziamento di lavoratori dell’azienda X, si giunge all’assurdo che io, lavoratore, traggo vantaggio dal licenziamento di altri lavoratori
    La soluzione migliore – inspiegabilmente non venga intrapresa – mi pare essere quella di dare la possibilità di aumentare volontariamente i propri contributi ai fini pensionistici.

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