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Obbligo di fonti rinnovabili

Le solenni decisioni del Consiglio europeo di Bruxelles mirano a mitigare i cambiamenti climatici e allo stesso tempo a risolvere il problema della sicurezza dell’approvvigionamento. Una sfida che nessun paese europeo può ora eludere. La grande novità dell’accordo sono infatti i target vincolanti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Gli interrogativi su nucleare e biocombustibili. Sulla questione dell’efficienza energetica si è rimasti a livello di buone intenzioni, anche se il tema resta cruciale.

Con il riconoscimento che le emissioni di gas clima-alternati sono principalmente prodotte dalle fonti fossili di energia, il Consiglio europeo di Bruxelles dell’8 e 9 marzo scorsi ha affermato la necessità di un approccio integrato alla politica climatica ed energetica. (1)
Si intende dunque perseguire una politica energetica per l’Europa (Pee) con tre obiettivi: 1) aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento; 2) garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili; 3) promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici. Nel perseguirli verrà pienamente rispettato il mix energetico scelto dagli Stati membri e la loro sovranità sulle fonti di energia primaria, sostenuta da uno spirito di solidarietà tra i paesi membri. (2)

Gli obblighi

La grande novità, e punto qualificante dell’accordo di Bruxelles, sta nell’assunzione di target vincolanti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Questo implica che ciascun paese membro si assume un obbligo per il quale sono previste sanzioni nel caso di inadempienza. Non si tratta dunque di un mero accordo volontario, ma di un accordo cooperativo il cui equilibrio risiede nell’esistenza di un’autorità sopranazionale con i poteri per farlo rispettare. Da sottolineare il fatto che l’obiettivo del 20 per cento è definito sulla media dell’Unione Europea, cosicché – similmente al Protocollo di Kyoto – andranno indicati obiettivi nazionali differenziati con una ripartizione equa e adeguata, commisurata per esempio al livello esistente delle energie rinnovabili e del mix energetico. Sarà lasciata agli Stati membri la facoltà di decidere obiettivi nazionali per ogni specifico settore di energie rinnovabili, a condizione che ciascuno di essi rispetti l’obiettivo minimo per i biocarburanti. Le figure 1-3 illustrano la situazione di partenza.
Il negoziato che si aprirà nella seconda parte dell’anno sarà duro e difficile, ma la Commissione europea lo affronta attrezzata dell’esperienza maturata con l’accordo di burden sharing, di ripartizione dell’onere di riduzione delle emissioni relativo all’Europa previsto dal protocollo di Kyoto, raggiunto a Lussemburgo nel 1998. Farà anche tesoro della definizione delle procedure, delle istituzioni e della gestione dei rapporti e del contenzioso con gli stati membri connessi all’Eu-Ets, il mercato europeo dei permessi negoziabili di inquinamento.
A nessuno sfugge il fatto che l’avere fissato dei target per le fonti rinnovabili d’energia risponde a due esigenze. Se sono stabiliti livelli massimi di emissioni di gas-serra onde mitigare il fenomeno del riscaldamento globale, le modalità con cui si raggiunge l’obiettivo sono in linea di principio irrilevanti. Per contro, l’aver fissato livelli minimi di energia da fonti rinnovabili ha anche la funzione di allentare il vincolo della dipendenza dall’estero quanto a fonti fossili d’energia.
In questo ambito cade il discorso del nucleare. Il Piano afferma che “spetta a ciascuno Stato membro decidere se fare affidamento o meno sull’energia nucleare”, riconoscendo il “contributo dell’energia nucleare nel far fronte alle crescenti preoccupazioni concernenti la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e alla riduzione delle emissioni di CO2”. (3)

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È questo un punto certamente controverso: da un lato la realpolitik suggerisce che l’accordo non sarebbe stato raggiunto senza una concessione sul nucleare alla Francia di Chirac e ad alcuni paesi dell’Est europeo. È il forse caso di dire che Parigi è valsa una messa. Dall’altro si storce il naso all’idea di assimilare una fonte alternativa di energia come il nucleare a quelle genuinamente rinnovabili. Qui ci limitiamo a rilevare che vi è una certa concordanza di vedute, soprattutto nel Regno Unito, sulla convinzione che senza il nucleare è impossibile raggiungere la riduzione di emissioni desiderata nei tempi desiderati. Ma è possibile, anzi probabile, che la questione riemerga in sede di discussione per la ripartizione degli oneri. Ciò nonostante, gli antinuclearisti possono stare tranquilli: una nuova centrale richiede dai dieci ai quindici anni per essere costruita, quindi non vi è pericolo che un’opzione nucleare nella generazione elettrica sia un’eventualità concreta per gli Stati membri (figura 4).

Biocombustibili in primo piano

L’accordo prevede poi l’impegno a soddisfare parte dell’obbligo sulle fonti rinnovabili con una quota minima del 10 per cento di biocarburanti sul totale dei consumi di benzina e gasolio per autotrazione. Anche qui vale la pena di fare qualche considerazione. La prima è che l’aver portato in primo piano i biocombustibili rivela la consapevolezza da parte dell’Unione Europea che uno dei grandi problemi, se non il maggiore, è rappresentato dai trasporti. È un settore le cui proiezioni mostrano una continua crescita, con conseguente persistente aumento delle emissioni da esso generate. Inoltre, il riferimento ai biocarburanti non è casuale: l’Europa sa bene che si tratta di un settore dalle prospettive di crescita molto promettenti. E ha nel segmento del biodiesel una posizione di leader, in particolare con Francia, Germania e anche Italia.
Ma la terza e più importante osservazione è una decisa parola di cautela. L’impressione è che ai biocarburanti si stiano attribuendo virtù taumaturgiche che probabilmente non possiedono, se non in misura contenuta. Molti vedono infatti solo il beneficio derivante dall’assenza di emissioni dei veicoli che li impiegano, ma si dimenticano degli effetti perversi che una loro eccessiva produzione genera. Si dice che nello stato americano dell’Iowa, i coltivatori spediscano già tonnellate di grano alle raffinerie che lo trasformano in ettolitri di etanolo. Questo fatto sta causando un vero boom dei prezzi della terra e di conseguenza del grano, cosicché l’industria alimentare comincia a soffrirne. Qualcuno parla di timori di rivolta in Messico per l’aumento del costo della materia prima delle tortillas. Qualcuno prevede che, fra pochi anni, stati come l’Iowa si troveranno nella condizione di dover importare grano per fornire input alle raffinerie di etanolo.
Più concretamente, produrre etanolo non è molto efficiente sotto il profilo energetico. Per ottenere grano è necessaria l’energia che fa funzionare i macchinari da usare nell’aratura, fertilizzazione e mietitura. Pesticidi e fertilizzanti sono ottenuti con ampio utilizzo di fonti fossili. Il trasporto all’impianto che lo trasforma in etanolo costa e consuma energia. Non solo, ma siccome l’etanolo è più corrosivo della benzina, non può essere trasportato in oleodotto e ci vogliono appositi serbatoi montati su treni e autotreni. È chiaro che tutto ciò mette in moto un enorme e profittevole business che spazia dal settore automobilistico a quello ferroviario, dalle raffinerie all’agricoltura. E si capisce allora l’insistenza del presidente Bush sul tema e la sua missione brasiliana. Il rischio è perdere di vista la questione originaria: i biocarburanti contribuiscono ad alleviare – ma solo ad alleviare – il problema delle emissioni inquinanti dei trasporti (figura 5).

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L’efficienza energetica

Resta la terza e ultima parte dell’accordo, quella che riguarda l’efficienza energetica. (4) Il Consiglio europeo sottolinea “la necessità di aumentare l’efficienza energetica nell’Unione Europea in modo da raggiungere l’obiettivo di risparmio dei consumi energetici dell’Unione del 20 per cento rispetto alle proiezioni per il 2020, come stimato dalla Commissione nel suo Libro verde”.
È un po’ l’anello debole, stante il precedente rifiuto degli Stati membri ad adottare comportamenti vincolanti, cosicché si è rimasti a livello di mera espressione di buone intenzioni. Ma il tema è cruciale, soprattutto per coloro che sono convinti che la sfida del clima non si vince senza il progresso delle tecnologie (figura 6). Da questo punto di vista il documento chiede “l’elaborazione di un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche, compresi la cattura e lo stoccaggio ecosostenibili dell’anidride carbonica, da esaminarsi nella riunione del Consiglio europeo di primavera del 2008”. (5)
Nel complesso, si tratta di una grande sfida per ciascun paese europeo. Ognuno dovrà fare uno sforzo, diverso da caso a caso, perché il mix energetico e la dotazione e il mix di rinnovabili sono molto differenziati. Ma per tutti è una sfida che non può più essere elusa. E questa è la buona novella dell’accordo dell’8 e 9 marzo 2007.


(1)
Vedi il documento con le Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles (8-9 marzo 2007). Clima e energia sono trattati in particolare nelle parti: “III. Una politica climatica ed energetica integrata” e “Allegato I – Piano d’azione del consiglio europeo (2007-2009), politica energetica per l’’Europa (Pee)”.
(2) Un’idea del mix energetico aggregato è fornita nelle figure 1-3. Il mix energetico specifico di ciascuno Stato membro è presentato per il 2004 nel documento di lavoro della Commissione europea “EU Energy Policy Data“.
(3) Allegato I, azioni prioritaria V. Tecnologie energetiche, punto 11.
(4) Allegato I, azioni prioritaria IV. Efficienza energetica ed energie rinnovabili, punto 6.
(5) Punto 37 delle Conclusioni.


Figura 1: Mix energetico dei paesi EU-27, anno 2004 (Fonte: Commissione europea, DG TREN)



Figura 2: Mix energetico nella generazione elettrica dei paesi EU-27, anno 2004 (Fonte: Commissione europea, DG TREN, Eurostat)



Figura 3: Crescita delle rinnovabili nella generazione elettrica, storico e proiezioni al 2020 (Fonte: Commissione europea, Renewables Roadmap)



Figura 4: Quota del nucleare nella generazione elettrica, anni 2002-2004 (Fonte: Eurostat)



Figura 5: Biocarburanti nell’Unione europea (Fonte: Commissione europea, DG TREN)



Figura 6: Intensità energetica, anni 2002-2004 (Fonte: Eurostat)

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TFR: Purché sia consapevole

  1. francesco manca

    Il tema dell’energia è di grande attualità ma si predilige affrontare solamente la parte minimale del problema sulle fonti rinnovabili. Giusta la riflessione ma necessita di una parte consolidata da aggiornare con le evoluzioni del sistema elettrico europeo. L’aumento della produzione da fonti rinnovabili a quale riduzione da finti tradizionali deve far riferimento? Il discorso sarebbe quindi completo se l’Europa ponesse in essere un piano di sostituzione delle produzioni clasiche con le rinnovabili facendo molta attenzione alla effettiva disponibilità futura di energia che non sempre è garantita con continuità dalle nuove tecnologie.
    Grazie e complemtni per la vostra informazione.

  2. Fabio Cantoni

    La tesi che i biocarburanti non contribuiscano alla creazione di CO2 perchè le piante ne consumano durante la crescita è un chiaro falso.
    Nell’articolo è stato giustamente fatto notare che la trasformazione della materia prima di per se produce CO2 ed inquinamento, ma c’è anche da valutare quale è l’impatto differenziale rispetto ad altre culture nella trasformazione di CO2. Quanta CO2 assorbe la coltivazione di cereali “brasiliana” e quanta ne avrebbe assorbita la foresta che è stata distrutta per fare posto a tale coltivazione? Qualsiasi discorso serio non può prescindere da un’approfonsita analisi energetica dell’intero ciclo biotecnologico.
    I biocarburanti sembrano a questo punto solo un pretesto per non affrontare strutturalmente il problema dei trasporti e dell’industrie ad essi collegati… Guarda caso sono “spinti” dalle industrie petrolifere ed automobilistiche…

  3. antonio

    Operando nel settore delle energie rinnovabili ho letto con interesse l’articolo.
    il dubbio che viene immediato è: come agirà l’Italia in tema di “nimby”? Questo problema sta bloccando innumerevoli iniziative, con molti gruppi ecologisti che lodano le iniziative internazionali come queste, ma poi si oppongono pesantemente alle iniziative corrispondenti a livello locale, con i cavilli più sottili, ma alla fine bloccando la realizzazione.
    Infine una nota di stile, sono un estimatore infinito del vostro sito, che apprezzo per non farcire le idee scritte con il populismo verbale così comune in Italia. Evitate, per favore, asserzioni del tipo “lo stato dello Iowa dovrà importare grano per rifornire le raffinerie” o similia.. Da economisti sappiamo che il grano ha dei prezzi di trasporto enorme, che i prezzi si equilibriano nel mercato etc. Potrà darsi che lo Iowa non esporterà più, ma ovviamente no che importerà, se non in quantità minime, poi gli impianti di etanolo verranno realizzati altrove.
    Questa affermazione mi pare una di quelle intercalazioni tipiche che si leggono sui giornali italiani tutti i giorni, e li rendono così meno seri di quelli anglosassoni…

    • La redazione

      Quanto alla sindrome Ninmby, nessuno sembra avere la bacchetta magica. Tanto meno noi. Il Decreto Bersani ha fatto dei passi nella giusta direzione, come avevo sostenuto in un pezzo pubblicato tempo fa. Ma le consiglio, se non lo ha fatto, di leggere il contributo di Matteo Bartolomeo apparso sul sito qualche tempo fa.
      Quanto allo Stato dell’Iowa, potrà anche non piacerle lo stile del passaggio, ma era basato su una sua logica: se le cose procedono a questi ritmi i numeri suggeriscono che la produzione non sarà in grado di soddisfare la domanda delle raffinerie cosicchè, se la domanda e offerta crescono a questi ritmi lo Stato sarebbe costretto ad acquistare grano al di fuori dei suoi confini. Era una semplice estrapolazione avente lo scopo di colpire il lettore, non un ragionamento con pretese di logica e rigore economico. Pensavo si fosse capito….
      MG

  4. Giovanni Pede

    Una risposta alle questioni poste da Franco Cantoni si trova in uno studio finaziato dalla CE e portato a termine dai laboratori comunitari di ISPRA, insieme con altri partner, che fornisce i consumi energetici “dal pozzo al sebatoio” per un gran numero di possibili combustibili automobilistici. Ebbene, l’unico biocombustibile per il quale il bilancio dell’energia spesa per tutta la catena e quella resa disponibile al distributore è il biodiesel da olio di girasole, con un rapporto 0,91 tra il primo ed il secondo termine. Per l’etanolo, comunque sia ottenuto, l’energia spesa è di più di quella utilizzabile alla fine.

  5. riccardo boero

    ogni volta che sento parlare di emissioni effetto serra e alterazioni climatiche sono sbalordito dalla straordinaria leggerezza con la quale i nostri rappresentanti imboccano strade avventurose e gravide di conseguenze sulla base di insufficienti argomenti.
    Ragazzini a parte, tutti ricordano come negli anni 70 climatoloti e scienziati concordavano con la stessa serieta’ di oggi sull’imminenza di una nuova mini-era glaciale, mentre i media mostravano trionfanti foto invernali di metropoli innevate.
    Lo studio storico e sperimentale del clima mostra come il MedioEvo abbia conosciuto temperature molto piu’ elevate delle attuali, il che non scompone i soloni del clima, prontissimi a giurare su improbabili roghi amazzonici per la costruzione di piroghe o altri simili deliri.
    A chi giova instaurare una correlazione tra emissioni di CO2, e riscaldamento terrestre?
    Agli scienziati in primo luogo, che ricevono piu’ fondi pubblici non appena convincono il gregge di un grave pericolo che solo loro possono studiare e sventare (come non delineare un parallelo con la mania degli UFO durante gli anni gloriosi della NASA?).
    Ai governi che pregustano il momento in cui l’opinione pubblica mondiale trovera` doloroso ma necessario ingoiare una pesante tassa ecologica.
    Ai business delle energie a zero emissioni, prima fra tutte il nucleare, chissa` perche’ dislocato nei paesi europei piu’ attivi nel suonare la grancassa del catastrofismo dei 2 gradi Celsius di riscaldamento.
    E se ritrovassimo un po’ di spirito critico, se chiedessimo un po’ piu’ di rigore scientifico, se riflettessimo se pagare 2 mesi in meno di riscaldamento e` poi una catastrofe cosi’ perniciosa?

  6. roberto

    Il problema dell’inquinamento causato dagli impianti di produzione di energia elettrica è dai motori dei mezzi di locomozione è un problema reale, per percepirlo basta andare in campagna un paio di giorni e poi arrivare a Milano Centrale alle 10 del lunedi mattina di un inverno uggioso e il gioco è fatto.
    Per chi crede che questo sia un problema causato dall’uomo deve pensare ad una soluzione “accettabile”, se la soluzione viene cercata in luoghi “macroeconomici” è poco efficace perchè bisogna costruire impianti di produzione troppo grandi e con impatti ambientali forse più dannosi. La soluzione migliore sono i piccoli siti di produzione o meglio autoproduzione con vere incentivazioni tanto da rendere i “microprogetti” bancabili e con peso economico sulle famiglie sostenibile.
    Una proposta reale sarebbe:
    – togliere tutte le tasse e imposte sull’acquisto di prima casa
    – armonizzare a 1000 euro il costo dei notai
    – detrazione 100% ici per i primi tot anni

    Per capire il fabbisogno finanziario e i fondi dove reperirlo o i tagli da fare prendi un ingegnere informatico un matematico ed un economista SERI e crei un programma in tempo reale dei minori flussi finanziari in entrata e come dove e quando bilanciarli.
    Soluzioni piccole e semplici sono sempre le migliori

  7. Carlo Di Franco

    Vorrei tanto che Riccardo Boero avesse ragione! Purtroppo i suoi ragionamenti peccano su un piccolo ma decisivo punto: la formazione dell’opinione pubblica nel suo complesso (attraverso il dominio dei mezzi di comunicazione di massa) così come le decisioni pubbliche sono “conformi” ai desideri dei grandi potentati economici e, tra essi, sicuramente molto forti sono quelli che vogliono bloccare i mutamenti di politica energetica, ambientale ed industriale auspicati dai “catastrofisti”. Nella storia e nell’attualità abbiamo prove in abbondanza di ciò.

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