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Una settimana decisiva

E’ una settimana molto importante quella che si apre oggi per la politica economica di questa legislatura. Due Consigli dei Ministri saranno chiamati a varare le linee direttrici del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (Dpef), fissando i saldi della Finanziaria 2008. Nel frattempo si avvia a conclusione il negoziato sulla riforma delle previdenza, decisivo per le pensioni di chi inizia oggi a lavorare.
Questa settimana si sta aprendo in un clima in cui il Ministro dell’Economia è sempre più isolato.  Quattro ministri del suo Governo lo hanno di fatto sfiduciato invocando maggiore collegialità e sostenendo che “le risorse messe a disposizione sono troppo limitate”, seguiti a ruota dal segretario della CGIL, Guglielmo Epifani, secondo cui “non si può trattare con la calcolatrice”. Un Ministro dell’Economia ha, invece, il dovere di richiamare a tutti il vincolo di bilancio. Questo corrisponde anche a un preciso obiettivo istituzionale, come la tutela della trasparenza dei conti pubblici e il rispetto dei trattati sottoscritti dal nostro paese. Serve anche ad impedire che le pressioni di breve respiro della politica conducano a scelte che si rivelerebbero incoerenti con quegli stessi obiettivi.
Tommaso Padoa Schioppa fa dunque bene a richiamare gli impegni presi con Bruxelles e i rischi associati alla mancata applicazione della riforma delle pensioni del 1995, allora approvata con il consenso dello stesso sindacato. Bene che si batta anche affinché la revisione dei coefficienti di trasformazione d’ora in poi sia automatica, basata su regole certe, permettendo così ai lavoratori di pianificare meglio il loro futuro. Sottraendo queste scelte a chi gioca a procrastinare gli aggiustamenti necessari a rendere il sistema pensionistico sostenibile, si riduce anche il rischio politico che grava sulle generazioni future. Il Ministro dell’Economia farà bene anche ad imporre che ogni euro in più prelevato dal cosiddetto “tesoretto”, creatura tutta politica, sia accompagnato da un incremento di pari importo della manovra correttiva da varare in autunno, che non potrà comunque essere inferiore allo 0,5 per cento del Pil per rispettare gli impegni presi con Bruxelles. Dal canto suo dovrà impegnarsi per aumentare la trasparenza dei nostri conti pubblici evitando d’ora in poi annunci fra di loro contraddittori, come quelli che si sono succeduti negli ultimi dodici mesi.

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Sommario 26 giugno 2007

  1. Alessandro Abati

    Il dibattito attorno al deficit e ai vincoli di bilancio è colto e intrigante, se letto da un punto di vista contabile. Resta il fatto che, purtroppo, al di la delle analisi contabili, un Ministro (non dimentichiamolo) dell’Economia dovrebbe esercitarsi sui fattori capaci di far ripartire il Sistema Paese. E non su come contabilizzare il pregresso o, ancor peggio, il futuro, che sembra anch’esso già contabilizzato piuttosto che fertilizzato e spinto allo sviluppo e alla crescita (gli stessi vincoli di Maastricht sono ratios basati sul GDP).
    La nostra classe politica manca di prospettive e visione (Cina? India? … Carneade?) e dimostra di essere esperta in sostenibilità della politica stessa ma non delle scelte sostenibili per il Paese. Nel frattempo il resto del mondo si cimenta nello stimolare, non a paralizzare, trends crescenti.
    Avrebbe anche senso discutere su come potesse venire speso il “tesoretto”, perché una volta chiesto agli alleati cosa farne, ciascuno legittimamente avrebbe prodotto la sua migliore finalizzazione, in accordo con la sua mission politica. Se non fosse che lo stesso Governo che ha saggiamento richiesto un risanamento del bilancio quale pre-condizione allo sviluppo, si sia poi scordato che deve ridurre il debito.
    Come in altri piccoli Paesi, spesso sconosciuti, anche la politica nostrana dovrebbe cominciare umilmente a chiedersi come perseguire Value for Money per i Tax-payers (perché dei soldi degli altri si tratta) dimostrando capacità di spesa e di investimento e, perché no, di far parte anch’essi del nostro amato Paese.

  2. angelo

    Eppure vale la pena fare due considerazioni semplici semplici.

    La prima è economica. Il tema dell’età di pensionamento interessa molto, moltissimo coloro che vi sono vicini. E poco, nulla chi vi è lontano: i giovani, i precari, i disoccupati. Per compiacere subito gli 86mila dipendenti che sarebbero stati colpiti dallo scalone di Maroni (il passaggio brusco a 60 anni) il governo ha ipotecato la tenuta di un sistema previdenziale che in qualche maniera dovrà coprire anche i giovani di oggi. È facile prevedere che nel 2030 i frutti avvelenati di questa scelleratezza non riguarderanno Prodi e Padoa-Schioppa. I giovani commossi ringraziano.

    La seconda considerazione è prettamente politica. È sin troppo banale (e vero) dire che il governo ha ceduto ai ricatti della sinistra massimalista. Lo capisce anche Pluto. Ciò che si tende a sottovalutare è che della manovra, se passa, saranno complici anche i cosiddetti riformisti. Che fine hanno fatto i radicali alla Capezzone? Dove lo mettiamo l’appello di Dini, Morando, Rossi e Polito (tre senatori in una Camera in cui le maggioranze si reggono con la flebo) a «non gettare il tesoretto per lo scalone»? La rendita di posizione dei riformisti del governo Prodi, giocata sull’alzata di sopracciglio alle scemenze politico-economiche, prima o poi si azzererà. Questo è un governo massimalista che ha contagiato tutti. E non un governo di riforme con qualche punta estremista, come taluni cercano di far intendere.

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