Seppure con lentezza, procede la trasformazione del burocrate in manager avviata dalle riforme degli anni Novanta. Il rischio è che arrivi troppo tardi. L’evoluzione della pubblica amministrazione richiede infatti al futuro dirigente pubblico l’assunzione di nuovi ruoli e responsabilità. Serve dunque un rinnovamento della cultura e delle competenze professionali e la definizione di nuovi profili. Un processo che chiama in causa il sistema universitario. E la necessità di risvegliare l’interesse dei più giovani e qualificati verso le amministrazioni pubbliche.
L’identikit della dirigenza pubblica italiana tracciato nel primo rapporto dell’Osservatorio sul cambiamento delle amministrazioni pubbliche dell’Università Bocconi ci restituisce una fotografia del manager pubblico italiano tipica delle fasi di transizione. (1)
Un settore in lenta evoluzione
Focalizzando l’attenzione sui dirigenti degli enti territoriali del nostro paese, emerge, infatti, che l’età media dei dirigenti pubblici è relativamente alta (superiore ai cinquant’anni), le forme contrattuali tradizionali sono quelle dominanti, le carriere sono prevalentemente interne al settore pubblico e la propensione alla mobilità è molto bassa.
Se questi dati, nel loro complesso, possono far pensare a una stasi endemica e un’arretratezza generale della pubblica amministrazione italiana, l’analisi all’interno del singolo comparto, ad esempio i dati relativi agli enti locali in tabella 1, fa tuttavia intravedere elementi di crescente dinamismo (vedi tabella 1).
Tabella 1 La dirigenza degli enti territoriali: stato dell’arte al 31.12.2004
Ministeri (*) | Regioni a Statuto Ordinario (**) | Province (**) | Comuni (**) | |
Numero dirigenti | 4.028 (21,3%) | 3.265 (37,4%) | 1.782 (9,5%) | 5.638 (31,8%) |
Monte retributivo (euro annui) | 351.434.575 | 281.439.441 | 143.615.139 | 415.641.091 |
Dirigenti ogni 100 dipendenti | 2,1 | 7,7 | 3,2 | 2,1 |
Carico dirigenziale | 48 | 13 | 31 | 47 |
Presenza femminile | 31,1% | 26,6% | 23,1% | 27% |
Titolo di studio |
87% laurea 7,5% diplomi post-laurea |
78% laurea 4,6% diplomi post-laurea |
91,8% laurea 1,9% diplomi post-laurea |
91,6% laurea 1,5% diplomi post-laurea |
Età media | 54,2 anni | 53,8 anni | 51,4 anni | 50,7 anni |
Anzianità media di servizio | 23,7 anni | 23,6 anni | 17,7 anni | 18 anni |
Tipologia contrattuale |
91,3% contratti a tempo indeterminato 8,7% contratti a tempo determinato |
85,6% contratti a tempo indeterminato 10% contratti a tempo determinato |
79,5% contratti a tempo indeterminato 14,6% contratti a tempo determinato |
74,5% contratti a tempo indeterminato 16,6% contratti a tempo determinato |
Dirigenti in mobilità | Nd | 5,6% | 2,2% | 1,8% |
Retribuzione media annua lorda (***) | 87.248 euro | 86.199 euro | 80.592 euro | 73.866 euro |
Percentuale di retribuzione di risultato | 5% | 9,7% | 8,5% | 7,4% |
(*) I dati medi sono calcolati sulla base dei dati dei 14 ministeri attivi alla data del 31.12.2004 e dei dati della presidenza del Consiglio dei ministri
(**) I dati sono comprensivi degli enti assoggettati al Ccnl. Per quanto riguarda le Regioni si considerano solo le Regioni a statuto ordinario e per quanto riguarda i comuni si considerano solo i comuni con dipendenti con qualifica dirigenziale.
(***) I dati sulle retribuzioni fanno riferimento alla retribuzione media annua lorda calcolata sulla base delle voci di spesa riferibili a direttori generali, dirigenti a tempo determinato, dirigenti a tempo indeterminato e dirigenti fuori dotazione organica. Nelle voci di spesa rientrano la retribuzione fissa, di posizione, di risultato e accessoria (comprensiva di trattamenti e indennità riconosciute a titolo accessorio).
Se poi si guarda al profilo retributivo, le analisi dimostrano che, contrariamente a quanto normalmente si ritiene, il gap retributivo tra pubblico e privato è andato progressivamente riducendosi in seguito ai processi di riforma.
Tabella 2 Retribuzioni lorde annuali dei dirigenti pubblici: confronto con altri comparti
Fonte: elaborazione Ocap su dati del Conto annuale del personale di Rgs (2004) e sulla rilevazione della struttura delle retribuzioni Istat (2007)
Nella sostanza, i dati confermano l’idea di un settore in lenta evoluzione per ciò che riguarda le sue dimensioni "strutturali", spesso collegate ai meccanismi operativi di gestione del personale come i processi di selezione, carriera, retribuzione, eccetera. Sembra dunque che le riforme adottate abbiano svolto (e stiano svolgendo) un’azione di lenta trasformazione del burocrate in manager.
Tuttavia, il rischio che si corre è che le riforme finiscano con essere tardive o anacronistiche.
Chi sarà il manager del futuro
L’evoluzione recente della pubblica amministrazione italiana richiede infatti al futuro manager pubblico l’assunzione di nuovi ruoli e responsabilità.
La crescente esternalizzazione dei servizi, l’assottigliarsi della separazione fra politica e amministrazione e la maggiore interdipendenza fra attori pubblici e privati spingono i dirigenti verso un’azione di supporto nell’elaborazione delle politiche, nella gestione delle relazioni con la rete degli interlocutori esterni, nell’attuazione dei programmi, nell’ascolto sempre più attento alle istanze dei cittadini.
Guardando al futuro, appare quindi inadeguato, seppur utile, il collegamento dei sistemi di valutazione del lavoro del manager pubblico con aspetti meramente legati alla sua produttività o a una "buona ed efficiente" gestione, così come appaiono spesso forzati gli accostamenti ai ruoli dirigenziali sviluppati nelle imprese private. Similmente, l’esigenza di riqualificazione dei ruoli dirigenziali non può più accompagnarsi solamente a significativi investimenti in formazione manageriale di base.
Rimane invece di estrema attualità il rinnovamento della cultura e delle competenze professionali dei dirigenti pubblici e la definizione di profili nuovi, sempre più coerenti con le nuove funzioni cui è chiamata la pubblica amministrazione soprattutto locale.
Da una parte, dunque, il sistema universitario e di specializzazione post-laurea dovrebbe potenziare l’offerta di poche iniziative innovative e di elevata qualità, come avviene in molti altri paesi. Dall’altra, occorrerebbe sviluppare una generale campagna istituzionale di riaffermazione dell’importanza dell’interesse pubblico sensibilizzando maggiormente i giovani ai temi della "cosa pubblica".
Per questo rinnovamento culturale e professionale è infatti fondamentale che le risorse più giovani e qualificate che si affacciano al mondo del lavoro (i cosiddetti "alti potenziali"), o che già ricoprono posizioni di significativa responsabilità nel privato, oltre a essere formate adeguatamente, maturino un interesse verso le amministrazioni pubbliche e un conseguente orientamento a specializzarsi in questo settore.
Solo azioni di questo tipo possono, nel lungo periodo, far superare l’immagine di generale arretratezza e il timore di svolgere un lavoro poco stimolante comunemente associati al settore pubblico.
(1) Si veda Cristofoli, D., Turrini A., Valotti, G. (a cura di) (2007) "Da burocrati a manager: una riforma a metà. Primo rapporto sulla dirigenza pubblica italiana", Egea, Milano
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Gian Luigi Albano
Gradirei sottoporre all’attenzione degli autori due osservazioni e una domanda: 1. Dato che la tabella 1 fotografa una situazione al 31.12.04, la parola "dinamismo" suona quasi come un ossimoro. 2. Trovo veramente arduo il nesso causale tra la riduzione della forbice tra dirigenza e pubblica e privata da una parte e la "trasformazione del burocrate in manager" dall’altra. Che si possa legare la remunerazione nel settore pubblico con le capacità manageriali individuali è esattamente IL problema del disegno degli incentivi nella PA. 3. Quanto informativo è un quadro – statico o dinamico che sia – fondato solo su retribuzione medie? Vengono analizzati nel volume curato dagli autori indici di dispersione o diseguaglianza retributiva? Grazie e Cordiali Saluti
La redazione
Grazie delle osservazioni puntuali. E’ vero che i dati sono relativamente vecchi anche se erano quelli disponibili quando abbiamo chiuso il White Paper OCAP. Consideri inoltre che sono dati raccolti direttamente presso gli Enti con
un buon grado di precisione e dettaglio.
Rispetto al secondo punto concordo, infatti non vogliamo dimostrare questa correlazione, ma il nostro articolo vuole proporre solo alcuni spunti di riflessione.
Rispetto al terzo punto rimando al White paper OCAP dove, ad esempio, è analizzato il differenziale retributivo nord-centro-sud.
roberto proietto
Una curiosità: perchè non prendete mai in considerazione i dirigenti scolastici, che sono a tutti gli effetti dirigenti dello Stato di seconda fascia, sono circa 10.000 (poco meno di un decimo del totale, cioè non pochi) e hanno retribuzioni medie abissalmente inferiori a quelle altrui (circa 57.000 euro medi, lordo dipendente)?
La redazione
La ricerca contenuta nel Primo White Paper OCAP dal quale è tratto l’articolo analizza solo i dirigenti degli Enti territoriali. Per ora è questo il settore di maggiore interesse per l’Osservatorio che ha prodotto i dati. In uno dei prossimi White paper faremo il punto anche sulla scuola dato che come lei sottolinea occupa buona parte dei dirigenti pubblici.
clapi
La cultura burocatica è il problema della amministrazione moderna, la cultura del garantismo irrigidisce le amministrazioni, bisogna osare conferendo maggiori poteri decisionali con strumenti privatistici e maggiore controllo contabile,il procediemnto ad evidenza pubblica non è vero che tutela l’interesse pubblico basti pensare al "caso del comune di Taranto" : 800 milioni di euro di debiti.
Bruno57
Verifica dei risultati e responsabilità dirigenziale. Sono i titoli degli articoli 20 e 21 del Dlgvo 165/2001. Ad alcune Pubbliche Amministrazioni (vedi quelle fiscali) si assegnano finalmente obiettivi, per altre la parola obiettivo rimane un termine nuovo e "da sperimentare". Le Pubbliche amministrazioni comunque sono accomunate da un dato molto "singolare": al mancato raggiungimento degli obiettivi (vedi art. 21 del D.lgvo citato) non risultano casi di revoca o addirittura collocazioni in disponibilità, o quanto meno sono una rarità. Nè si ha notizia di una florida attività del comitato garanti pure previsto dall’art. 22 del decreto… (Corruptissima repubblica plurimae leges). E anche la giurisprudenza in materia appare tutta favorevole al mantenimento in carica dei dirigente. Che dire? Dalle leggi "Bassanini" in avanti che pure hanno avuto il merito di introdurre la "possibilità del non rinnovo degli incarichi" i fatti suggeriscono le seguenti ipotesi: 1) i dirigenti sono talmente bravi, capaci e meritevoli che tutti gli obiettivi di lavoro vengono conseguiti con la conseguente efficacia dell’azione della pubblica amministrazione (quindi la PA gode di ottima salute); 2) il livello politico o di alta amm.ne non solo non assegna obiettivi di lavoro ma se li assegna sono di "agevole perseguimento"; 3) vengono assegnati glio obiettivi e se non conseguiti…non accade nulla. Non occorrono nuove leggi, ma la volontà di perseguire nel disegno di distinguere nettamente tra responsabilità politiche e responsabilità dirigenziali e dare attuazione all’art. 22 del d.lvo 101/2001.
Marco
Bello l’articolo e condivisibile il contenuto…peccato che chiunque abbia conoscenza dall’interno di una P.A. nonchè della maggioranza delle Università italiane possa o: sorridere per l’ingenuità degli Autori, che evidentemente non hanno mai lavorato in una P.A.; o arrabbiarsi per il tentativo di accreditare la P.A. come un luogo dove la selezione avvenga sulla base del merito.