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PER LA RIFORMA DEL MODELLO CONTRATTUALE

Le trattative tra le parti sociali per spostare il baricentro della contrattazione collettiva a livello locale sono in stallo. Si potrebbe ripartire dal potenziamento di un istituto già previsto dal contratto dei metalmeccanici: l’assorbimento. Il contratto nazionale continuerebbe a fissare i livelli minimi nazionali e a determinare tutti gli aumenti retributivi nelle piccole aziende. Altrove sarebbe la contrattazione aziendale a influenzare la dinamica salariale, con uno scambio virtuoso tra retribuzione e produttività. Minimi contrattuali e salario minimo.

Premetto che mi schiero a favore di coloro che suggeriscono di "spostare il baricentro" della contrattazione collettiva a livello locale, in particolare a livello aziendale. I motivi sono stati ben illustrati da Tito Boeri, Pietro Ichino e da altri studiosi che sono già intervenuti su lavoce.info. Vorrei perciò concentrarmi su un problema: perché si è arenata la discussione tra le parti sociali? Cosa bisognerebbe fare per farla ripartire con qualche probabilità di successo ?

I veti incrociati

La situazione è bloccata per una questione di "veti incrociati".
Non c’è dubbio che spostare parte dell’aumento salariale in azienda significa penalizzare i lavoratori che non fanno contrattazione aziendale, la maggioranza in Italia. Ed è questo il motivo per cui la Cisl e in parte la Uil sostengono che occorrerebbe attivare un livello di contrattazione territoriale, ad esempio regionale, che si aggiungerebbe al contratto collettivo nazionale, per dare copertura a quei lavoratori che non hanno la contrattazione aziendale. Ma la Confindustria e le altre organizzazioni imprenditoriali non vogliono due livelli obbligatori di contrattazione, uno nazionale e uno locale, aziendale o territoriale che sia. Su questo punto rischiò di arenarsi anche il confronto sindacale che portò all’Accordo del luglio 1993. Le associazioni imprenditoriali temono che un livello obbligatorio di contrattazione porti alla fine, oltre a costi burocratici e amministrativi più elevati, anche a richieste complessive più pesanti e, di conseguenza, a far lievitare gli aumenti retributivi da concedere per chiudere i contratti. Non credo che la Confindustria abbia cambiato idea da allora, ed è questo il motivo (forse non il solo) per cui non è disponibile ad attivare un nuovo contratto a livello territoriale.
La Cgil, da parte sua, non intende assolutamente mettere in discussione la posizione di preminenza del contratto nazionale, anche per i riflessi di natura politica che un suo ridimensionamento potrebbe avere sul ruolo del sindacato nel nostro paese, ed è disponibile ad attivare un contratto territoriale solo se questo è veramente "aggiuntivo" rispetto a quello nazionale. Ma è esattamente la "sommatoria" di due livelli che la Confindustria non vuole. Ecco il "cul de sac" in cui è venuto a trovarsi il tentativo di spostare il baricentro della contrattazione verso il livello locale.

Un istituto da potenziare

Cosa proporre? Credo che l’esperienza insegni. In particolare andrebbe maggiormente sviluppato l’istituto dell’"elemento perequativo" introdotto dall’ultimo rinnovo della parte economica del contratto dei metalmeccanici, avvenuto il 24 gennaio 2006. Non costituisce una novità in assoluto, il sistema era stato utilizzato in altre circostanze. Comunque, il contratto recita: ai lavoratori in forza alla data del 1° giugno 2007, che nel 2006 abbiano percepito un trattamento retributivo composto esclusivamente da importi retributivi fissati dal contratto collettivo nazionale di lavoro (…) e privi di contrattazione di secondo livello con contenuti economici, verrà erogata con la retribuzione del mese di giugno 2007, a titolo perequativo, una cifra in forma annua sperimentale pari a 130 euro (…) ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di retribuzioni aggiuntive a quelle fissate dal Ccnl inferiori a 130 euro annue".
Nel testo la parola "assorbimento" non viene utilizzata, ma dal punto di vista degli effetti economici è come lo fosse. La sostanza è la stessa: si stabilisce che una parte degli aumenti definiti a livello nazionale possa "assorbire" e "fino a concorrenza", le componenti retributive (e si può aggiungere, "di natura fissa") pagate a livello aziendale.
Il mio suggerimento è che questo istituto vada (molto) potenziato.
Immaginiamo di potenziare l’istituto al prossimo rinnovo del contratto dei metalmeccanici, quello per il quale sono in corso scioperi sindacali. Innanzitutto, le parti dovrebbero accordarsi sull’aumento complessivo, quello da concedere ai lavoratori che non hanno la contrattazione aziendale. Non interessa, in questa sede, affrontare il problema di quali criteri adottare per fissarlo: recupero del potere d’acquisto, condizioni economiche del settore, eccetera. È chiaro che l’aumento, essendo generalizzato, dovrà tener conto della “capacità a pagare” delle piccole aziende marginali e che fanno fatica a stare sul mercato. Dopodiché, e qui sta il punto importante, le parti decidono di dedicare a eventuale assorbimento una parte molto maggiore dei 130 euro (annui) fissati la volta scorsa. Facciamo un esempio concreto. Se l’aumento complessivo fosse di 100 euro, le parti dovrebbero dedicarne, diciamo, solo 60 all’aumento delle retribuzioni di tutti i dipendenti, che abbiano o non abbiano la contrattazione aziendale. Gli altri 40 euro dovrebbero essere previsti come aumento delle retribuzioni dei soli lavoratori che non hanno contrattazione aziendale. Nelle altre imprese, i 40 euro potrebbero assorbire in parte o in tutto le voci retributive aziendali esistenti. In queste imprese si svolgerebbe poi la contrattazione aziendale, che potrebbe portare ad aumenti ulteriori, che potrebbero essere di 40 euro, o di più, ma anche di meno, in relazione all’andamento della produttività in queste aziende.

È del tutto evidente che nelle aziende in cui viene svolta, si potenzierebbe la contrattazione di secondo livello, che potrebbe contare su uno spazio negoziale maggiore e utile per uno scambio virtuoso tra retribuzione e produttività, sinora mortificato da un contratto nazionale troppo invadente. Il ruolo del contratto nazionale non sarebbe annullato: continuerebbe a fissare i livelli minimi nazionali e a determinare tutti gli aumenti retributivi nelle piccole aziende. Vedrebbe limitato il suo ruolo solo nel determinare la dinamica delle retribuzioni nelle aziende con contrattazione aziendale, per assegnarlo a quest’ultima. A vantaggio dei lavoratori e delle aziende stesse.
Non sfugge a chi lo ha considerato attentamente che il modello dei metalmeccanici, portato alle estreme conseguenze, finirebbe per assegnare ai minimi contrattuali definiti in sede nazionale il solo ruolo di “salario minimo”, sia pure differenziato per settore e qualifica, che servirebbe come rete protettiva, come soluzione “default”. Una volta aumentati, i salari minimi “morderebbero “ solo nei confronti dei salari più bassi, quelli dei lavoratori che non fanno contrattazione aziendale. Funziona così, ad esempio, il “minimo di garanzia” fissato nel contratto nazionale dei dirigenti. Sappiamo invece che oggi i minimi tabellari dei contratti nazionali – come componente obbligatoria della busta paga – svolgono il ruolo di aumentare tutte le retribuzioni di fatto, sia quelle sopra che quelle sotto i nuovi minimi tabellari. Se tutto l’aumento dei minimi nazionali potesse essere destinato ad assorbire l’eventuale componente aggiuntiva contrattata a livello aziendale (prevedendo, in questo caso un assorbimento del 100 per cento), il contratto nazionale non produrrebbe alcun effetto sulle retribuzioni di quei lavoratori che fossero già pagati con retribuzioni aziendali più elevate. È quanto succede con i rinnovi dei contratti dei dirigenti: un aumento del "minimo di garanzia" (alla pari di un aumento di un salario minimo) non fa aumentare le retribuzioni di tutti quei dirigenti che, di fatto, vengono "già" pagati, nelle loro aziende, più del nuovo minimo. E mi spingerei a dire che, nel caso i contratti nazionali fissassero solo "minimi di garanzia", verrebbero in buona misura a cadere le resistenze delle associazioni imprenditoriali verso un livello territoriale di contrattazione. Semplici considerazioni sul ruolo dell’assorbimento al "100 per 100", che non ho spazio per sviluppare in questa sede, potrebbero giustificare questa aspettativa.
Non credo che i sindacati, e la Cgil in particolare, siano disponibili a passare di punto in bianco a un sistema di "minimo di garanzia". Però, fra il contratto dei dirigenti e quello dei metalmeccanici ci sono infinite soluzioni intermedie. Si potrebbe intanto andare verso una di esse. Col tempo, si potrà decidere se proseguire o meno.

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  1. antonio petrina

    Egr. prof. vorrei un suo giudizio sul mancato rinnovo del contratto dei segretari che chiedono l’allinemaneamento al livello dirigenziale ( ai minimi salariali di quel contratto della dirigenza da lei commentato).E’ possobile che l’Aran ed il Governo non abbiano stanziato le somme del rinnovo contrattuale ? A chi debba imputarsi tale deficienza dopo ben sei anni di scadenza del precedente contratto?

  2. FEDERICO

    La riforma degli assetti contrattuali recentemente proposti, a mio parere, sconta un vizio di origine, al quale non si esime, con tutto il rispetto, anche il Prof.Dell’Arringa : la visione "industrialista" delle relazioni sindacali. Non a caso si cita l’esempio del CCNL dei metalmeccanici. Ma nel tempo, fortunatamente, si sono stratificate relazioni sindacali più vicine ad ogni singolo comparto produttivo (quindi anche terziario, turismo, agricoltura, artigianato, ecc.) che ne hanno, in qualche modo, "salvaguardato" la specificità. Di riflesso discutere di livelli di contrattazione deve, a mio modo di vedere, necessariamente tenere conto della "diversità" di dimensione, di livello tecnologico, di esigenze e di quant’altro relative a ciascun comparto economico. Una contrattazione aziendale è prevedibile nel "manifatturiero" non nei comparti più polverizzati caratterizzati da aziende, spesso, a conduzione familiare. Il livello nazionale pertanto deve avere il ruolo di stabilire il minimo di tutele sia in termini economici sia in termini normativi ma non deve definire e imporre "a monte" un salario minimo" per le aziende senza contrattazione.

  3. Enrico

    I tempi per avviare una politica di contrattazione a livello decentrato in Azienda sono ormai impellenti, anche per le molteplici specificità esistenti anche all’interno di uno stesso comparto/settore di appartenenza che per le diversità territoriali esistenti . L’autore interpreta quello che gli stessi lavoratori ed imprenditori illuminati auspicano per il futuro, bandendo gli appiattimenti salariali che hanno mortificato da sempre la professionalità e di converso la produzione e competitività . Per uscire dall’impasse sarebbe più opportuno potenziare l’istituto della decontribuzione a favore delle aziende (quindi anche le micro) che avviano con le OO.SS. contrattazioni di secondo livello. L”accordo Governo-Industria-Sindacati nel Luglio 1993 prevedeva l’esclusione dalla base imponibile contributiva con decorrenza 1997 delle erogazioni previste dalla contrattazione aziendale ( e territoriale) ma la misura fissata del 3% (aliquota resa stabile dall’art.43 della Legge n.448/2001) non ha sortito uno sviluppo di tale istituto . La Legge 243/2004 che prevedeva l’innalzamento (esiguo) al 4% non ha poi trovato applicazione per mancata volontà governativa.

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