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OBAMA, DALLA SPERANZA AI FATTI

L’elezione di Obama è un fatto storico eccezionale, dovuto a meccanismi di competizione politica ben funzionanti, regole chiare e libera circolazione delle idee: una vittoria del metodo democratico. Ora ha tante promesse da mantenere. E molto probabilmente si muoverà con estrema cautela, a causa della crisi economica, ma anche per scelta politica. Fra i primi test a costo zero, nomine alla Corte suprema, chiusura di Guantanamo, aborto e cellule staminali. Ma dovrà intervenire anche per stimolare l’economia e per riformare la sanità. L’incognita della politica estera.

Barack Obama è il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti.
Cominciamo dalle certezze, ossia dai fatti. E dalle cose che possiamo imparare in Italia dalla sua elezione.

I FATTI

È una vittoria che, seppure scontata da un mese a questa parte, era ancora in dubbio due mesi fa e appariva impossibile l’anno scorso. Da questo punto di vista, che si provi o meno simpatia per Barack Obama, la sua vittoria è la vittoria dell’under-dog, dello sconfitto di sempre, dell’escluso e dell’illuso rispetto agli insiders, ai saggi con i piedi di piombo, a quelli che "comunque appartengono" e che, da sempre, contano. Per questo la presidenza di Obama è un fatto storico eccezionale. Ed è dovuto anche a meccanismi di competizione politica ben funzionanti, regole chiare e libera circolazione delle idee. Una vittoria del metodo democratico e di istituzioni fondamentalmente solide che resistono e vincono, alla fine, su tentazioni bonapartiste, o peroniste che dir si voglia.
Crediamo sia il caso di tenerne conto, specialmente in quei paesi dove queste cose non ci sono e, quindi, vincono sempre e comunque quelli che appartengono al giro giusto.
Tenere conto, soprattutto, che nonostante i diffusi giudizi sulla decadenza americana e sulla fine del ruolo degli Stati Uniti come nazione "guida" del mondo democratico e capitalista, questo paese riesce a sparigliare il gioco di tutti. La sostanza è che gli Usa sono ancora una nazione innovatrice. Hanno stupito il mondo per la loro disponibilità ad assumersi un rischio che molti scettici avevano escluso. Potrà andar bene o male, questo lo vedremo, ma in questo momento il segnale di cambiamento è forte ed è quello dominante nelle piazze di questo paese, a quest’ora.

FONDAMENTALI LE PRIMARIE

A novembre dell’anno scorso era chiaro che un democratico avrebbe vinto, era molto meno chiaro che avrebbe vinto Obama. La vera sorpresa quindi è venuta dalle primarie. Un candidato istituzionale dei democratici c’era ed è stato sconfitto. Ecco la prima lezione: le primarie sono un meccanismo efficiente di selezione di un leader solo se la base elettorale dei partiti le prende sul serio e se esiste nei media una competizione sufficiente a permettere anche all’under-dog di parlare ed essere sentito, e poi ascoltato. Questa reputazione va guadagnata, questa libertà nella circolazione delle idee va costruita. In Italia sarebbe il caso di cominciare a pensarci sul serio, invece di litigare sulle preferenze.
Le campagne future saranno finanziate in larga parte attraverso internet, con una partecipazione attiva degli elettori. Il finanziamento pubblico dei partiti negli Stati Uniti è morto e non tornerà mai più. Obama ha annientato McCain sul piano dei contributi. I repubblicani hanno visto, studiato e promettono vendetta con un piano da un miliardo di dollari nel 2012.
Queste sono anche le elezioni che vedono il principio della fine dei grandi mezzi di comunicazione, i giornali in primo luogo. La loro popolarità è pari a quella del Congresso, che è più bassa di quella di Bush. Una larga maggioranza degli elettori ha dichiarato che i grandi mezzi di comunicazione hanno favorito Obama, e bisognava essere ciechi e sordi per non accorgersene. Interi network, Msnbc in particolare, si sono trasformati in cinghie di trasmissione di un candidato. È enorme la differenza con un momento storico simile: la fine della presidenza Nixon-Ford, grazie al Washington Post. Oggi Obama vince nonostante il New York Times lo appoggi. Vale la pena rifletterci.
Obama è di origini umili, ma è stato selezionato da un sistema di grandi università di elite, come la grande maggioranza degli altri presidenti. Si può non essere d’accordo con il taglio ideologico di quelle università, ma  è innegabile che insegnano e selezionano. Chi crede che un sistema elitario serva solo a garantire il mantenimento di posizioni di privilegio ma allo stesso tempo è entusiasta del suo successo, dovrebbe fare meglio i propri conti. Una scuola forte, con accesso di massa è necessaria, ma un vertice fatto di istituzioni a cui solo pochi, altamente meritevoli, possono accedere è vitale per il funzionamento democratico di una nazione. Selezione sul merito, senza condizioni di favore per nessuno, ma pur sempre selezione.
Riflettere anche su questo, nei giorni delle occupazioni e delle misure tampone, non sarebbe una brutta idea.

IL FUTURO

Veniamo alle ipotesi sul futuro.
Cosa farà Obama? Difficile dirlo, visto che ha cambiato posizione su tutte le questioni essenziali. Ma una cosa è certa: Obama governerà a centro-sinistra e non a sinistra. Lo farà in parte per necessità, perché la crisi economica è reale e rimane tale. E lo farà anche per scelta, perché il suo oscillare su diversi punti essenziali è risultato strumentale alla costruzione del consenso che lo ha eletto oggi. Di più: lo farà anche per saggezza politica, non solo per necessità economica. Deve realizzare molte promesse. Ma una prima grande trasformazione è già avvenuta: nulla sarà come prima nella società civile, non solo in quella politica, americana. E gli elettori neri non sono ingenui: basta vedere come hanno accuratamente studiato il nuovo venuto prima di appoggiarlo incondizionatamente. Ancora a gennaio, prima delle primarie in Iowa, il candidato degli elettori neri era Hillary Clinton. Hanno visto che una strategia ”senza mosse brusche” è una strategia vincente, e hanno imparato la lezione.
I test della sua azione politica? Le cose che non costano e che si possono fare subito o quasi subito: dalle nomine, quando sarà il momento, alla Corte suprema all’aborto per il quale non è impossibile che dopo tanto tempo si arrivi a un minimo di legislazione federale che tagli il nodo gordiano; dai diritti degli omosessuali alla ricerca sulle cellule staminali, alla chiusura di Guantanamo: tutte riforme che la maggioranza dei cittadini americani appoggia, e che non costerà molto intraprendere, seguendo il modello di Zapatero nella Spagna post 2004.
Un Obama di sinistra realizzerebbe la Fairness Doctrine, intesa sostanzialmente a limitare il potere mediatico delle radio di destra. Non crediamo che lo farà. Un Obama di sinistra realizzerebbe l’Efca, Employee Free Choice Act, un provvedimento che elimina il voto segreto nelle elezioni sindacali e contro il quale persino il vecchio "comunista" McGovern si è schierato. Si tratta di un vero test, perché i democratici al Congresso hanno già votato a favore. Lo stesso per gli accordi commerciali: un Obama di sinistra li cambierebbe molto, quello che abbiamo visto al lavoro nei mesi passati ne parlerà molto. Ma i democratici al Congresso hanno già votato contro alcuni tentativi precedenti (CAFTA).
I provvedimenti che costano dovranno aspettare, anche se qualcosa si farà per un pacchetto di stimolo all’economia e per la riforma della sanità. Ma non ci sono i 430 miliardi di dollari anno che il programma intero prevede. In parte, dipenderà dai tempi, più o meno rapidi di uscita dall’Iraq e dai risparmi che se ne potranno ricavare. Poi ci sono le tasse e i contributi alla sicurezza sociale: li alzerà davvero, come promesso, o andrà passin passetto? Propendiamo per il passin passetto, e non solo per l’incombente recessione.

L’INCOGNITA DELLA POLITICA ESTERA

La grande incognita? La politica estera. Per i giovani nel mondo, la vittoria di Obama è un messaggio di innovazione e di speranza. Altri avranno la tentazione di leggerlo in un modo diverso. Ricordiamo: il 9 aprile 2003 la guerra in Iraq era popolare, con 139 morti. La stessa guerra è diventata impopolare quando i morti hanno superato soglia mille. Qualcuno potrebbe pensare che soglia mille è il prezzo massimo che oggi un presidente americano può pagare in politica estera se l’opzione militare diventa realtà. Per fare un confronto, la svolta in Vietnam avvenne nel 1968, dopo 20mila morti. Ci potrà quindi essere la tentazione di interpretare questa elezione come un momento di debolezza. Per combattere questa tentazione, Obama dovrà avere più che la politica della speranza. John F. Kennedy fu messo alla prova subito dopo la sua elezione e dalle sue incertezze nacquero il muro di Berlino e la guerra del Vietnam.
Il futuro? Obama vuole lavorare per il lungo periodo. Ha in mente una grande trasformazione per realizzare la quale mancano tutti i dettagli tecnici anche se è riuscito a farne intravedere ai suoi elettori l’obiettivo essenziale: la riduzione dell’ineguaglianza economica. Ma come raggiungerlo? Obama non ha la ricetta magica in tasca, e lo sa, come lo sanno i suoi consiglieri. Non è però disposto a rischiare le sue carte con una sconfitta come quella che nel 1994 (quando i Repubblicani vinsero con “Il Contratto con l’America”) cambiò la presidenza Clinton solo due anni dopo la sua prima vittoria, sceglierà perciò di essere molto cauto nell’avviare il processo che dovrebbe portare a una riduzione delle diseguaglianze economiche di oggi. Per questo la sua vittoria è probabilmente più significativa di quanto non lo sembri oggi, per quanto importante essa appaia. Se gli Stati Uniti sono il paese della libertà e l’Europa quello dell’uguaglianza, oggi si sono mossi in direzione dell’Europa. L’uguaglianza come ideale politico ha un prezzo, ma lo si vede e lo si paga solo nel lungo periodo. La nostra ipotesi è che Barack Obama, non potendo calcolare ancora quanto sia alto quel prezzo, procederà con cauti esperimenti invece che con la coraggiosa baldanza che ha caratterizzato la sua corsa alla presidenza. Ma l’uomo, avendoci sorpreso già un paio di volte, potrebbe farlo di nuovo.

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23 commenti

  1. Tommaso Gabrieli

    Condivido gran parte dell’analisi, ma desidero fare un commento sulla questione dell’uguaglianza. Secondo me l’ideale (e la promessa) di Obama non è l’ideale di uguaglianza che molti hanno (ancora) in Europa, cioè tutti uguali, bensì la vera anima dell’american dream, cioe’ che tutti abbiano uguali opportunità di perseguire la propria felicità. Già nel discorso di ieri sera c’è molto di questo e poco dell’altro. Al tempo stesso molti (e soprattutto gli autori) sanno bene che per fare questo nel suo programma ci sono politiche redistributive (molto per gli standard US), ma personalmente mi appaiono più un mezzo che un fine. In questo senso vedo una grande occasione sia per l’America che per l’Europa: la possibilità di (ri)sperimentare che l’ideale di libertà americano può essere al tempo stesso un ideale di uguaglianza, cioè che tutti abbiano uguali opportunità. Nella “iperliberista” America Raeganiana due ragazzi non certo ricchi e privilegiati trovano posto in costosissime top universities e 20 anni dopo diventano la prima first family afroamericana,come gia’ scritto dagli autori una bella occasione per riflettere.

  2. Bruno stucchi

    Riassumendo, in otto anni, (se verrà rieletto e se tutto va bene) Obama dovrebbe: 1- Risolvere la crisi economica mondiale; 2- Uscire con grazia e dolcezza dall’Irak; 3-Sistemare elegantemente l’Afghanistan; 4-Risolvere la secolare questione mediorentale; 5-Idem per l’Iran; 6- En passant, salvare il Pianeta dall’AWG (se esiste; se non esiste, dimostrare che esiste); 7-Inventare un sistema sanitario USA; 8-Accontentare i democrats e contorni, più altri trascurabili dettagli (l’intendenza seguirà). Eh, auguri!

  3. andrea

    Vorrei rimarcare alcuni punti davvero discutibili del vostro articolo, peraltro equilibrato. Che i grandi mezzi di comunicazione non contino e` inverosimile: sono proprio essi ad aver stroncato e ignorato Ron Paul, che ha battuto il record di contributi su Internet. Un’elezione solo su Internet avrebbe visto Paul presidente. Che l’EFCA sia “di sinistra” e` ugualmente risibile. La democrazia si basa sul voto segreto , che impedisce le pressioni e la violenza. Perche’ allora non rendiamo pubblico anche il voto politico, magari in Sicilia? O forse brogli e pressioni sono di sinistra quando esercitate dai sindacalisti? Infine la rozza esemplificazione dell’Europa come terra dell’uguaglianza. A quale nazione d’Europa vi riferite, data la grande disparita` di leggi, distribuzioni dei patrimoni e indici di Gini? Non certo al paese piu’ rappresentativo d’Europa, la Germania, dato il suo enorme numero di miliardari e il suo enorme numero di disoccupati (anche non contabilizzando, come fa scorrettamente il governo tedesco, quelli iscritti a un corso di formazione).

    • La redazione

      Non abbiamo scritto che "non contano", abbiamo parlato del "principio della fine": sono due cose diverse. Paul ha raccolto inizialmente molto entusiasmo, che non e’ riuscito a trasformare in supporto di lunga durata. Non tutte le ciambelle riescono con il buco, neanche in rete. L’EFCA lo vogliono quelle parti politiche che si autodefiniscono di "sinistra", partito democratico in primis. Se vuoi definire il partito democratico di destra,
      fai pure. Non ci siamo particolarmente affezionati.
      L’Europa, complessivamente, ha indici di disuguaglianza economica inferiori a quelli degli USA, Germania compresa. Non solo: sul piano ideologico tutte le forze politiche e culturali europee amano sottolineare questa contrapposizione.
      Non e’ certo nostra, e non e’ nemmeno ovvio che noi ci si creda. Noi abbiamo semplicemente utilizzato una dicotomia che abbonda nei media europei.

  4. Paolo Barbieri

    Con l’elezione di Obama quale 44-esimo Presidente, gli Stati Uniti d’America hanno la reale possibilità di rinnovarsi su tutti i fronti,da quello interno alla politica internazionale. Vi è però una questione fondamentale da evidenziare. Si deve evitare, a mio parere, di vedere nel nuovo Presidente un ruolo messianico, le aspettative sono molte ma i cambiamenti hanno bisogno di tempo. Così come l’eccitazione, la speranza, la passione nei confronti di Obama è cresciuta c’è il rischio che il tutto si trasformi in un boomerang vedendo che nell’immediato non si riscontrino i cambiamenti sperati, anche perchè sarà difficile conciliare i molteplici interessi in seno alla nuova amministrazione. Perciò, come sottolineato nell’articolo, saranno fondamentali i primi passi che il nuovo Presidente farà, sperando davvero che “yes we can” si trasformi in “yes we did”.

    • La redazione

      Chi vivra’ vedra’. Ci auguriamo traspaia, da quanto abbiamo scritto, il nostro scetticismo sui poteri messianici di Barack Obama.

  5. Luca Noto

    Gli USA rimangono un paese leader nella democrazia per tutti i motivi da voi elencati. La vittoria di Obama è stata entusiasmante, ma da italiano mi ha emozionato il primo commento di McCain dopo i risultati: “Obama, il mio presidente…”.
    Questa è l’essenza della democrazia, ed ciò che ancora manca alla cultura italiana e soprattutto a chi ci rappresenta nelle istituzioni.

  6. Tommaso G.

    Anche la vittoria di Bush 4 anni fa (e 8 anni fa) fu la vittoria del metodo democratico, o no? Io penso che sia migliore il metodo democratico europeo, dove non esiste un corpo centrale monocratico di potere che decide per 500 milioni di persone, ma esistono governi nazionali che si occupano al piu’ di 80 milioni di persone alla volta, e poi si mettono assieme per decidere cosa possono fare in comune (nelle istituzioni europee). Il pericolo della democrazia USA e’ che concentra nelle mani di un uomo solo (e del suo gruppo di gestione) le sorti di circa 300 milioni di altre persone. E’ vero che dopo 4 anni puo’ essere cacciato, ma intanto in 4 anni (eventualmente +4) di danni ne puo’ fare; Bush docet.

    • La redazione

      Ai 300 milioni di cittadini americani piace cosi’, e lo ritengono democratico da piu’ di 200 anni a questa parte. Esistono abbondanti volumi che argomentano la superiorita’ democratica di tale sistema, ma non li abbiamo scritti noi quindi non e’ il caso di tirarli in ballo. A noi basta un argomento piu’ semplice: siccome questo e’ il sistema che i cittadini USA usano per governare se stessi, ci sembra democratico che se lo scelgano da soli, no?Comunque, il nostro punto era un altro: era che in un regime democratico funzionante anche un signor nessuno puo’ diventare presidente, altrove (in parecchi "altrove") no.

  7. carlo geneletti

    Per carità, siamo tutti estasiati dalla vittoria di Obama. Ma da qui a dire che essa è il segno che la democrazia americana funziona ce ne vuole — e questo, per favore, non implica che funzioni quella italiana. Obama ha vinto il 53% dei voti popolari e il 68% dei grandi elettori. Il sistema a due livelli in questo caso ha funzionato, ma nelle elezioni del 2000 no. E non è democratico. Le elezioni presidenziali 2008 sono costate 1,6 miliardi di dollari. Chiunque non riesca a mobilizzare fondi di questa natura è escluso dal parteciparvi. Obama ha ricevuto più fondi piccoli di privati, ma ne ha anche ricevuti da corporazioni. Il sistema di finanziamento privato delle elezioni assoggetta il potere politico alla pressione degli interessi economici. Finalmente il ruolo dei mass-media. Non so perchè l’articolo non menziona il ruolo di Fox News. Da quello che ho capito, e da quello che Obama stesso ha detto, è stato un ruolo importante. Avrebbe, così dice Obama, convinto un 2% degli elettori, a non votarlo.

    • La redazione

      Fox News non e’ nostra (peccato) e fa il proprio lavoro, no? Esattamente come MSNBC. Il problema non e’ che questa o quella televisione privata sia faziosa: e’ sgradevole, ma difficile da eliminare. Il problema e’ se ci sono o non ci sono tante campane fra cui il pubblico possa scegliere. Questo negli USA c’e’, altrove meno.
      Infine, se il sistema italiano non e’ democratico e quello USA nemmeno, quale sarebbe quello democratico?

  8. Mario Perugini

    Ottimo articolo, molto equilibrato. Un’unica osservazione. Riforme “zapateriane” a costo zero – aborto, ecc. – per cominciare? Sarebe il modo migliore per andare in crisi dopo due mesi, non dopo due anni come Clinton. L’America non è la Spagna, basti pensare che la California ha votato in maniera bulgara Obama e nella stessa urna ha approvato la Proposition 8 che vieta i matrimoni omosessuali. Lo stesso Obama ha esplicitamente (e “cristianamente”) affermato che il matrimonio è solo fra uomo e donna. Altro che economia, se toccasse i fili elettrici delle questioni etiche (ma non lo farà) ci ritroveremmo fra quattro anni i “value voters” di ambo i partiti a votare in massa Sarah Palin. Non c’è posto per le ideologie liberal alla Casa Bianca, chi lo pensasse si prepari a rimanere deluso.

    • La redazione

      Possibile, ma non probabile. Un conto e’ il matrimonio omosessuale, un conto la legittimazione dell’aborto fatta in modo equilibrato, o la ripresa della ricerca sulle cellule staminali, temi sui quali esiste un consenso maggioritario.

  9. Luciano

    Povera Italia, dopo la seconda guerra mondiale le toccava anche Berlusconi; con il suo "abbronzato" ci ha fatto capire che nello scenario internazionale non contiamo più niente. Non riesco ad entrare nel sito del New York Times come hanno fatto molti italiani, ma firmo qui per scusarmi per la bassezza (in tutti i sensi) del primo ministro (e non presidente).

  10. Federico Spanò

    Bisognerebbe tener conto dei fondamenti di questa situazione: a mio modesto avviso, è evidente che non c’è stata una vittoria di Obama quanto invece un’inevitabile e meritatissima sconfitta dei conservatori. L’argomento che l’amministrazione Bush, per 8 anni, non abbia fatto che accelerare i già condannati USA rimane valido – voglio dire, resto convinto che McCain o qualsiasi altro conservatore saerbbe stato un pessimo presidente, perchè in questa fase gli USA non si possono più permettere politiche di destra; ma penso anche che il partito conservatore stesso abbia lavorato per non trovarsi a governare quando ci sarà la crisi vera, e che dal canto loro gli elettori abbiano votato Obama principalmente per disperazione. Più che una vittoria, la vedo come un forzoso passaggio del testimone, e temo che i prossimi anni saranno di grande sofferenza per il nuovo presidente. Se poi ne uscirà decentemente, avrà dimostrato di essere anche l’uomo giusto con le posizioni politiche giuste. In caso contrario, ci possiamo aspettare che la politica USA vada in fibrillazione, come accade quando non si ha la forza per gestire una situazione critica. Francamente preferisco sperare di no.

  11. encas45

    Spero Obama riesca a far ritornare gli USA al loro spendore ed alla loro potenza; spero anche che riesca ad influenzare le politiche degli Stati amici e nemici, sopratutto il nostro, l’Italia, che, con l’attuale governo sta facendo il percorso del gambero. Altro che tagli e miliardi di € alle banche, ora vi sono migliaia di persone che non arrivano a fine mese. Ok., è cambiato il modo di intendere l’economia, ma i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri; basta vedere il calo dei consumi e tutto il resto, ovvero le persone che ci governano; le ultime notizie si commentano da sole. President Obama ha ringraziato i Capi di Stato per i loro auguri, ma non il nostro: a buon intenditor, poche parole.

  12. carlo giulio lorenzetti

    Giusto salutare la vittoria di Obama come uno straordinario successo della democrazia americana e della sua inesauribile capacità di rinnovarsi e di superare le crisi che periodicamente investono l’economia e la società. Ma altrettanta attenzione e merito andrebbero riconosciuti al senatore McCain e al nobile discorso da lui pronunciato subito dopo la sconfitta : un esempio straordinario di generosità, di autentico spirito bipartisan e di amore per il proprio Paese. Parole sulle quali non sarebbe male che i nostri uomini politice e, per primo, il presidente del Consiglio, meditassero un po’!

  13. Marco Solferini

    Una volta ho letto su di una rivista che i tassisti Cubani riconoscono i turisti Italiani perché sono sempre quelli con lo sguardo e l’espressione più infelice. Che in Italia ci sia un alto stato di insoddisfazione è un dato di fatto per il quale non ci sarebbe bisogno di coniare statistiche. E’ una nazione lavoristicamente e, soprattutto a livello carieristico, lottizzata e spesso, purtroppo, controllata. Ovvio che nasca una frustrazione di fondo. Altrettanto evidente come sia facile per qualunque buon venditore utilizzare termini come “libertà” o “democrazia” per coinvolgere e portare la cara vecchia acqua al proprio mulino. Non ho idea se gli Italiani facciano bene ad entusiasmarsi per l’elezione di un Presidente Americano o viceversa debbano temere per un rapporto con il nostro Governo che potrebbe scricchiolare, ma sono convinto di una cosa: dai tempi dell’Imperatore Cesare, non è mai successo che qualcuno risolvesse i nostri problemi al nostro posto e con “nostro” intendo i comuni mortali, cioè i “semplici” cittadini di una Repubblica fondata sul lavoro.

  14. Carlo Catalano

    La principale differenza fra la politica fiscale annunciata da Obama e quella annunciata da Mc Cain è che quest’ultimo, tenendo fede alla tradizionale impostazione di centro-destra, segue la teoria, dominante negli ultimi 15 anni, secondo la quale occorre moderare l’imposizione fiscale sui redditi elevati in quanto sono questi che producono risparmio che si traduce in investimento e genera quindi crescita economica di cui tutti beneficiano, mentre il primo, tenendo fede alla tradizionale impostazione di centro-sinistra, segue la teoria secondo la quale occorre una politica fiscale fortemente progressiva, e quindi redistributiva verso i redditi medi e medio bassi, in quanto sono queste fasce di reddito che generano i consumi poichè oltre una certa soglia di reddito netto si genera tesaurizzazione e non consumo. Io credo che la verità stia nel mezzo e dipenda da un giusto equilibrio fra le due posizioni. In questo momento storico l’impostazione di Obama mi appare più adatta a risolvere l’attuale crisi che a mio avviso è stata generata anche da una eccessiva redistribuzione dei redditi verso l’alto derivante dalla progressiva riduzione delle aliquote marginali massime.

  15. Andrea

    Alcuni giorni fa ho partecipato al forum del Riformista (nella sezione il Bestiario) esprimendo la mia opinione sulla domanda posta dal giornale: "c’è un Obama italiano?". Purtroppo non ho avuto il piacere di veder pubblicato il mio intervento perché – e di questo me ne sono reso conto solamente dopo – mi ero permesso di fare una critica abbastanza esplicita a Massimo D’Alema. Provo a ripetere qui, seppure in estrema sintesi, il mio pensiero. Intanto non vedo all’orizzonte un Obama Italiano. Non lo vedo non tanto perchè non ci siano anche nel nostro Paese persone in gamba, innovative, coraggiose ecc. ma perchè queste qualità non sono richieste e quindi non sono premiate. I politici sono gli stessi da un secolo, nei media si vedono sempre le stesse faccie, pensare di fare a meno di Vespa o di Santoro o di Costanzo è impensabile quasi come sostituire Mike Bongiorno o Pippo Baudo. I primari rimangono fino a che non muoiono, idem per i professori universitari, gli insegnanti o i dirigenti della pubblica amministrazione. Morale: siamo vecchi, stanchi, conservatori. E i cittadini/elettori? Pare che tutto questa gli vada bene…di certo non sono coraggiosi come gli Americani…

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