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TELECOM ITALIA: QUANDO L’INDUSTRIA FINANZIA LE BANCHE

Gli azionisti di Telecom Italia sono soprattutto istituzioni finanziarie, ben liete di incassare i consueti lauti dividendi in un periodo di crisi. In questo modo però il denaro non va dalle banche alle imprese, come sarebbe naturale, ma fa il percorso inverso. E gli investimenti sulla nuova rete? Tra scarse risorse e perdurante incertezza istituzionale, Telecom rinvia e diluisce gli impegni. Occorre chiarezza sulle scelte di fondo della politica. Pensando anche ai ritardi nell’informatizzazione del nostro paese.

 

In un periodo di crisi, di primo acchito le informazioni che arrivano da Telecom Italia sembrano quasi una boccata d’aria fresca: quasi raggiunti gli obiettivi per il 2008, distribuzione di utili… quasi un anno normale. Buone notizie? Lo dubito.

L’ULTIMA CICALA IN UN MONDO DI FORMICHE

Telecom Italia è stata per anni accusata dagli analisti di esagerare con i dividendi. Per la primavera 2009, la proposta è di pagare agli azionisti oltre un miliardo di euro; le azioni ordinarie avranno quindi un dividendo di oltre il 5 per cento del loro attuale valore di borsa. Nel 2005-2006 si era raggiunto il 6 per cento, un anno fa (una pausa di riflessione?) si era attorno al 4 per cento; oggi, in piena crisi mondiale, si torna verso l’alto.
L’accusa può sembrare paradossale, ma pagare dividendi significa distribuire denaro che potrebbe essere usato vuoi per ridurre il debito, vuoi per investire, due cose di cui il gruppo (e non solo) avrebbe estremo bisogno. E invece, sia la vecchia gestione sia la nuova confermano di volersi porre fuori dal coro, remunerando i rispettivi azionisti anche oltre quanto il mercato indicherebbe come “normale”. Ad esempio, Telecom Italia avrebbe potuto abbastanza tranquillamente prendere una linea più prudente, sapendo di andare incontro presumibilmente a un anno pessimo, come il 2009 sarà un po’ per tutti. In più, oltre tre quarti dei suoi ricavi derivano dal mercato italiano: in periodi ottimi crescono poco, in quelli normali diminuiscono.
Se nel passato era la sete di liquidità del precedente azionista a guidare simili decisioni, forse oggi è proprio la crisi finanziaria a far sì che molte delle banche-azioniste premano per avere quelle risorse che i mercati finanziari rendono così scarse. Il 43 per cento delle azioni sono nelle mani di “investitori istituzionali” che chiedono solo una cosa, ovvero il rendimento. Questi soggetti sono stati spesso accusati di puntare soprattutto sul breve termine, cosa che temo sia ancora più vera oggi, quando la crisi monta e aumenta quindi la loro difficoltà di mostrare risultati positivi. Fin qui, nulla di nuovo.
L’azionista di controllo è Telco, guidata industrialmente dagli spagnoli di Telefónica, ma con il controllo finanziario di soggetti quali Mediobanca, Intesa, Generali. Anche per loro, in un momento come questo, i circa 160 milioni pagati da Telecom Italia saranno prezioso ossigeno. Si tratta di investitori finanziari chiamati a suo tempo a “salvare” Telecom dalle grinfie dello straniero, e che ora se ne servono per rastrellare denaro.
Perché ovviamente, si tratta di denaro “sottratto” all’industria ed è un’altra piccola (?) perversione del momento che stiamo osservando. Non solo, come molti lamentano, le banche lesinano credito all’industria. In questo caso, quando le banche sono azionisti delle imprese, lungi da favorire il finanziamento degli investimenti, sfruttano invece la presenza nell’azionariato per assorbire risorse, riportandole dall’industria alla finanza.

TANTO LA NUOVA RETE NON LA FARÀ CERTO TELECOM…

Ultima considerazione, la vexata quaestio della rete fissa “di nuova generazione”. Èda anni che Telecom Italia chiacchiera di investimenti futuri per somme importanti, investimenti che da un budget all’altro si riducono e si spostano sempre più avanti. Non più di due anni fa, si parlava di circa 10 miliardi entro il 2017, di cui 6 entro il 2012. Ora si parla di circa 6 miliardi entro il 2016.  Ma poco conta, perché  sono solo parole: il sospetto che Telecom abbia da tempo rinunciato a fare veramente questi investimenti è forte, tanto che concentra le risorse sui dividendi.
Il problema è che ciò che può essere un ragionevole investimento per Telecom Italia è ben diverso da quanto serve al paese. Telecom lo sa, tutti lo sanno e si attende ancora di capire cosa intende fare il governo, che a sua volta attende i risultati dello studio commissionato a Francesco Caio. Molto ci si aspetta da questa analisi, che dovrà rispondere a tanti interrogativi. Almeno tre sono le partite aperte.

Ø      È meglio investire solo sulla nuova rete fissa, o passiamo direttamente a un wireless molto più potente di quello di oggi, la cui popolarità sta già crescendo in modo esponenziale? La rete fissa è più funzionale alla televisione, il wireless a internet, e probabilmente sono complementari, ma possiamo permettercele entrambe?

Ø      Se si scegliesse la rete fissa, sarà “fibra fino alla casa” (l’opzione migliore, ma più costosa), o si preferirà puntare su qualcosa di meno ambizioso?

Ø      E chi dovrà realizzarla? E con quali soldi? Il dibattito è aperto, e se la voglia di “pubblico” era forte prima della crisi, possiamo stare certi che non è questo il momento favorevole a una inversione di tendenza.

In questa perdurante e devastante incertezza, gli altri discutono e Telecom – forse, comprensibilmente – non investe. Ma i grandi investimenti sulle reti sono necessari al paese, e per questo occorre quella chiarezza che il governo (dopo anni di assenza del nostro sistema politico) ha il dovere di dare.
Ma servono anche e forse soprattutto grandi sforzi per l’informatizzazione della nostra società. L’utilizzo del pc in Italia è ampiamente inferiore a quello di paesi simili, e fin quando questo non cambia, le reti serviranno a poco. Eppure,  molto più dei vari ponti sullo Stretto e di tunnel destinati a restare sotto utilizzati, potrebbe rivelarsi un vero e importante motore per sfruttare la ripresa. Quando arriverà…

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16 commenti

  1. Gabriele Andreella

    Le domande tecniche sugl’investimenti futuri sono doverose e legittime… rimane però da domandarsi se siano rivolte all’interlocutore giusto – se egli abbia cioè orecchie per sentire. Temo non le abbia. Perchè non ha interesse ad averle. Le avrebbe se fosse costretta ad una competizione sul mercato – se con le risposte a quelle domande dovesse rendere conto a qualcuno. Ma non è così, poichè Telecom agisce in un sostanziale monopolio (al più oligopolio) e può dunque permettersi di regolare (meglio: rallentare a piacimento) l’innovazione tecnologica, introducendo di rado qualche upgrade col quale raggranellare denaro oltre il dovuto (se ci fosse concorrenza il WiMax avrebbe spedito a calci, fuori dal mercato, tutte quelle inutili chiavette internet che tanto successo stanno avendo esclusivamente grazie ad un cartello tra imprese). Qui la questione tecnologica non può essere scissa dalla concorrenzialità del mercato. Che non c’è. Mentre l’Antitrust (un ossimoro in Italia) fa finta di fare il suo lavoro pizzicando ogni tanto qualche aumento della pasta. Una presa in giro.

  2. manuela villimburgo

    Solo per fornire un dato d’esperienza circa lo stato della rete telefonica italiana: nel corso dei due anni che sono occorsi per far sostituire un paio di pali esterni e ormai quattro, senza esito, per far sostituire i fili, ho chiacchierato inevitabilmente con imprese appaltatrici telecom scoprendo che solo il 10% delle richieste d’intervento strutturali vengono soddisfatte ogni anno. Per il resto vanno avanti rattoppo dopo rattoppo con, immagino, un accumulo di problemi tecnici destinati io credo a un inevitabile crollo. Ah, sto parlando dalla Toscana e non dal profondo Sud. Il fatto è che le zone rurali e la provincia sono per Telecom la periferia dell’impero. Altro che digital divide! Ai tempi che fiat si leccava le ferite per aver distratto i capitali verso la finanza si disse: è bene che alla fine i soldi si separino dalla stupidità… Oggi vorrei tanto che i pali e fili si separassero da telecom. Che li prenda qualcuno interessato esattamente a pali e fili! Oppure disfiamoci di pali e fili.

  3. Romano

    La vicenda telecom, la rete di nuova generazione, e la necessità di distribuire un dividendo di questa entità, mi pare siano la reppresentazione di quanto sia grande il potere della finanza nel nostro paese, non dimentichiamo che lo stesso Sig Bernabè nel suo discorso di investitura disse che uno dei suoi compiti era di far lievitare il titolo e dare piena soddisfazione agli azionisti. Ma mi pare ovio che sia Telecom che qualsiasi altro attore della partita in questo frangente di assoluta incertezza cerchi di non farsi escludere da nessun ragionamento ma non farsi coinvolgere nel finanziare eventuali progetti. Da qui si capisce quanto sia artificiosa tutta la querelle su Open Acces con Agicom, il riaffacciarsi di soluzioni miste con dentro un pò di tutto che tanto piacerebbe ai produttori di apparati e softwer, oppure di mettere in rete tutte le realtà regionali provinciali presenti nel paese per in qualche modo essere alternativi. In tutta questa nebulosa credo che bisognerebbe mettere almeno un punto fermo La rete ad alta velocità è indispensabile per poter fornire una infrastruttura degna di un paese che immagina il fututro per i cittadini le aziende all’avanguardia.

  4. Alessandro Baschieri

    Assolutamente daccordo con Scarpa. il caso Telecom, fin dalla sua sciaguratissima OPA purtoppo poteva solo seguire questo copione. Investimenti nessuno, solo sulla punta delle penne dei giornalisti che si bevono impavidi i power point esibiti dei vari piani strategici presentati come piovesse da elites che di comunicazioni capiscono poco o nulla se non quattro nozioni raffazzonate prima delle conference su bignamini gualciti e non aggiornati. La Telecom non ha assolutamente risorse finanziarie e intelligenza ingenieristica interna: è stata ripetutamente svuotata dalle razzie dei barbari che in gessati grigi l’hanno gestita e questo la dice lunga sulla presunta capacita’ di intendere i processi industriali da parte degli oracolieri bancari ed in particolare di Mediobanca. Le nostre elites bancarie di fronte ad una azienda se possono la scarciofano e la indebitano, mascherandosi dietro a dottrine stile EVA, ma farla crescere no, quello è proprio loro estraneo. Telecom avrebbe potuto anche successivamente alla sua privatizzazione acquistare Vodafone con la cassa e due spiccioli, si preferi’ azzopparla con un debito monstre.

  5. Vincenzo

    Come per ALITALIA fra non molto verrà che chiederà il salvataggio di TELECOMITALIA

  6. leonardo berti

    In molti articoli pubblicati negli anni da LaVoce.info si elogia l’economia di mercato e l’indipendenza delle imprese private dalla “politica”. Ora siamo arrivati a chiedere chiarezza sulle scelte di fondo della politica su Telecom. Ma non è Telecom un’azienda privata? Vogliamo che la “politica” le imponga gli indirizzi di investimento? Perché allora non si include Telecom nella lista delle nazionalizzazioni da fare per il bene del “sistema economico” tanto di moda in questo periodo. E magari si chieda pure un bravo boiardo che pensi ai ritardi dell’informatizzazione del nostro paese. Capisco il momento critico ma non bisogna esagerare nel chiedere l’intervento “politico”. Potrebbe fare più male che bene.

    • La redazione

      Caro lettore,
      elogio il mercato, non lo idolatro. Quanto allo spazio della politica, ci DEVE essere, ma quale? Credo sia sbagliato che la politica si inventi dei piani di ristrutturazione di un’impresa privata (leggi: piano Rovati). Credo sia sbagliato che la politica interferisca nella scelta degli azionisti ai quali vendere un’impresa privata. Che sia sbagliato (e privo di effetti) che la politica provi a dire a Telecom Italia cosa fare, quanto investire ecc.
      Ma credo sia normale che, come ci si pone il problema della TAV e delle altre infrastrutture del paese, ci si chieda quale rete di tlc vogliamo avere. Questo è un problema politico nel senso più alto e genuino possibile. Dopo di che si potrà valutare se quanto Telecom Italia intende fare è o meno sufficiente. Se non lo fosse, si potrà valutare come far sì che lo diventi (es.: (brutalmente, spero di no!) dando a TI la differenza tra quanto TI volesse fare e quanto si ritenesse opportuno fare; oppure favorendo con incentivi la costituzione di una impresa che
      faccia lei il tutto, o parte; valutando se ci debbano essere investitori privati oppure soldi pubblici; costruendo il quadro di regole sull’utilizzo della rete, tale che gli investitori privati trovino
      redditizio metterci loro i quattrini; ecc….).
      Le possibilità sono tante, e quelle che ho elencato non sono tutte, nè tutte desiderabili … Ma il fatto che la costruzione della infrastruttura più importante del nostro paese sia oggetto di dibattito politico mi pare naturale. Anzi: lamento il fatto che si discuta magari di querstioni sterili e non di queste, che sono molto più importanti…
      Il problema – su questo sono d’accordo – è poi evitare che il settore pubblico si metta a fare anche quanto non gli compete. Ma questa è un’altra storia…

      Carlo Scarpa

  7. edoardo geninatti

    La tendenza di Telecom, che ben si rintraccia anche all’interno di altre importanti compagnie internazionali, risponde ad una logica ben consolidata nel panorama imprenditoriale italiano: il mordi e fuggi. La decisione di spostare importanti risorse da investimenti e risanamenti di bilancio a remunerazioni sembra presagire, non solo in Telecom, un crollo imminente del sistema socio-economico: non solo genera nei non addetti ai lavori, come chi scrive, una sensazione di ansia e di incertezza, ma credo trasmetta al mercato anche una sensazione di insicurezza generalizzate del sistema, in cui le risorse devono essere allocate per colmare gap precedenti in altri soggetti (banche ed istituzioni finanziare sotto pressione).

  8. Francesco Bonazzi

    Caro Scarpa, complimenti per l’analisi sui dividendi Telecom, che purtroppo non è venuta in mente a nessun altro commentatore. Non so se sia un buon segno che i professori abbiano più coraggio dei giornalisti. Sulla rete, forse sarebbe il caso di ricordare che a Palazzo Chigi siede un signore con interessi ben precisi, anche in chiave anti-Murdoch. E Caio, ex manager di un concorrente Telecom, rischia solo di fare la foglia di fico.

  9. Disperato

    Concordo con lo spirito dell’articolo e con la maggior parte dei commenti sin qui arrivati. TI è gestita (ed è stata gestita) in maniera totalmente inadeguata ad un paese del Gx. L’infrastruttura dati/voce è oggi perlomeno tanto importante quanto le autostrade, ma sembra che nessuno lo sappia (non sicuramente la classe politica africana che ci ritroviamo) o, se lo sa, voglia provvedere di conseguenza (la proprietà di TI che dovrebbe guardare a 5-10 anni e non a domani mattina). Ma va bene così, scivoliamo velocemente verso l’Africa, che con tutto il rispetto.

  10. Antonio Aghilar

    Al di là del fatto di distribuire un dividendo che chiunque (anche un amministratore di condominio…) avrebbe evitato di distribuire di questi tempi, c’è poi la questione legata ad un robusto aumento di Capitale (sempre che sia vero che si vogliono fare degli investimenti…) che pare al momento il Tesoro proprio non sia disposto a sottoscrivere. Sulla questione della Rete poi, (scorporo si, scorporo no) c’è tanta di quella "nebulosità" che forse l’unico modo per argomentare in proposito dandosi un minimo di credibilità…sarebbe farlo con davanti una sfera di cristallo… Articolo coraggiosissimo: sono sempre più un vostro Fan, ma…povera Italia!

  11. Un realista

    Caro Scarpa, non vedo il motivo di tutto questo scandalo o sorpresa. L’investimento in NGN non ha praticamente ritorno a breve termine, e il ritorno a lungo è quantomeno molto incerto; se lei avesse un milione di euro, li investirebbe davvero in una casa che può affittare tra 5-10 anni, solo perchè i benpensanti dicono che il paese ha bisogno di più case? Delle 2 l’una: o telecom è un’azienda privata che investe con logiche da azienda privata, o è un’azienda pubblica che investe con logiche politiche (non necessariamente di bene comune), anche rimettendoci. Se i privati, gli enti locali o lo stato pensano che gli investimenti in fibra siano importanti, mettano, come si dice in inglese, i propri soldi dove è la propria bocca. Cordialmente, G

    • La redazione

      Caro lettore,
      nessuno scandalo. Resto per altro convinto che la ragione per la quale la politica aveva attirato alcuni azionisti “finanziari” in Telecom Italia non fosse di drenare risorse da TI verso di loro, ma eventualmente viceversa. E – di nuovo – la politica ha sbagliato a volere influenzare l’azionariato di un’impresa (come aveva fatto alla privatizzazione di TI, come ha fatto in Cai, ecc. – gli esempi sono tanti).
      Quanto al fatto che TI non investa nella NGN2 quanto investirebbe lo stato, sono d’accordo. A loro non conviene, c’è troppa incertezza, ecc. e quindi non lo fanno: nulla di strano. Ma anche qui resta il fatto che la stessa impresa (sempre privata) due anni fa aveva piani – sempre insufficienti rispetto alle esigenze del paese – ma comunque leggermente più ambiziosi di quelli odierni. Se poi queste considerazioni le affianchiamo a un altro fatto che non ho menzionato (le dismissioni delle partecipazioni estere), e il quadro è quello di un’impresa che sembra ritirarsi nel proprio orticello, accontentandosi delle proprie rendite senza puntare ad altro.
      Non è uno scandalo, ma non è neppure gran che, ammettiamolo…

      carlo scarpa

  12. marco

    Scusate ma nessuno si pone il problema che il sig. Bernabè deve difendere il suo posto di lavoro che vacilla? Cosa migliore da fare, con un governo che vuole qualcun altro al suo posto, che assicurarsi un bel parterre di azionisti contenti che certo non favoriranno un ribaltone con questo bel assegno che gli viene consegnato? Poi ci sarà l’accordo con Telefonica per cedere la partecipazione di Tim Brasil a scambio della loro in Telco. E così ci troveremo la bella cara Telecom Italia concentrata solo sul bel paese e piena di debiti. Negli stessi ultimi dieci anni in cui Telecom ha pagato due Opa a debito, su se stessa, e ridotto il perimetro di competizione con ricavi pressochè altri competitor o si sono ristrutturati (BT) oppure hanno usato la leva dell’indebitamento per espandere la loro posizione in altri paese (Telefonica). Comunque noi siamo contenti così e ci teniamo questa meravigliosa classe dirigente…..

  13. S.GAIA

    Buonasera professore, approfitto della possibilità di commento per due motivi: il primo riguardo l’articolo, sono assolutamente d’accordo nell’affermare che la mossa di distribuire dividendi non è certo delle migliori, ma non mi sorprende tutto ciò, poichè è ormai da parecchio tempo che vedo un disegno da parte di chi detiene il "potere" nella nostra "italietta", disegno che punta a tenere le persone poco informate. Chi conosce la rete sa che passano notizie che ai tg casualmente non arrivano, sa che quando il nostro presidente viene assolto ci sono le prime pagine, e quando corrompe si intravede forse un trafiletto. La diffusione capillare di internet è un investimento per il paese, ma non per chi sta sopra. Il secondo motivo è ovviamente per salutarla e augurarle buon lavoro.

  14. antoniop

    Telecom e come Fiat sono le aziende che prosciugano il denaro che le banche non possono dare alle PMI e depistano le stesse PMI presso gli usurai che sono bravi a recuperare i "crediti" in modo molto illegale. Ma le banche non si sporcano le mani e fanno dividendi. Draghi dovrebbe avere il coraggio di dire che è sul libro paga delle banche in quanto le banche sono i soci di maggioranza della banca d’italietta. Trermonti cerca di essere dall parte dei cittadini.

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